Per chiarire lo spirito con il quale gli anusim di Siracusa hanno intrapreso il percorso di rifondazione ebraica nel meridione d’Italia ed in Sicilia in particolare, sarebbe sufficiente ricordare le parole di Rabbi Ben Zakkay
Là dove Israele è sospinto, D-o lo segue.
Il percorso che conduce o, nel nostro caso, riporta alla ricostruzione della propria identità ebraica, non è e non deve essere legato solo a memorie di storie familiari lontane, spesso non ricostruibili, né solo a tracce, nomi. Ognuno di noi potrebbe raccontare di segni, strane occorrenze, improvvisi riconoscimenti che testimoniano la nostra provenienza, memorie familiari riconducibili a costumi quotidiani e religiosi con forte aderenza ad un passato ebraico: la nonna che preparava il dayenu, i lumi accesi il venerdì sera, per memorie non presenti ma ricostruibili; il cognome, anche questo è importante, ma non basta.
Quello che dobbiamo fare è cercare dentro noi stessi la nostra ebraicità, la fiamma perpetua di ogni ebreo; mi riferisco a quella ricerca di kedushà che deve partecipare e impregnare la quotidianità di ogni ebreo.
Noi non siamo nel modo più assoluto universalisti, né tanto meno ircanisti, non facciamo proselitismo.
Noi vogliamo rappresentare la fiamma che gli ebrei hanno inestinguibile dentro sé stessi, un faro nella Sicilia e nel Meridione d’Italia che da 5 secoli aspetta il ricongiungimento al proprio popolo, alle proprie radici religiose e culturali, all’unica vera fede monoteista in un mondo in cui due polloni eretici hanno tentato inutilmente di cancellare Israele.
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Maimonide facendo proprie le categorie aristoteliche nel suo sistema ci spiega chiaramente cosa significa appartenere ad Israele.
Ci dice Maimonide che Israele è una forma eterna, una essenza, un assoluto, immaginate una struttura portante che ha bisogno della materia per concretizzarsi .
Noi Ebrei, come individui, siamo la materia, l'attributo scaturito dal principium individuationis. Ognuno di noi partecipa transitoriamente alla costruzione materica di questa forma eterna che è Israele.
Questo ridimensiona il nostro pensiero autoreferenziale, il nostro egocentrismo individuale e l’antropocentrismo che impregna la cultura occidentale.
Quando in Genesi troviamo il racconto della Torre di Babele comprendiamo chiaramente come gli uomini vollero conquistare il potere contemporaneamente all’elevazione al cielo attraverso la costruzione dei gradini. “Presero dei mattoni al posto delle pietre“:
un gioco linguistico in ebraico che vuol significare che questi uomini non erano più essi stessi pietra viva, ma fabbricanti di mattoni, avevano perduto il senso ultimo della costruzione. Vedevano solo il senso esteriore e non il luogo del compimento interiore; la fama, la vanagloria e il potere al posto del Makon, del Shem il luogo e il nome divino. Noi vogliamo continuare ad essere pietre e non mattoni, liberati finalmente dal giogo dell’Egitto, con la consapevolezza che ogni giorno, ogni Ebreo, ognuno di noi, deve ricominciare il percorso che lo fa uscire dall’ Egitto.
Noi non dimentichiamo che i padri insegnano che è fondamentale l'osservanza della legge, delle 613 mitzvot, ma devono farlo tutti gli Ebrei: se il nostro fratello non ottempera alla legge vanifica anche il nostro compiuto dovere, se tutti gli Ebrei non osserveranno la legge della Torah il nostro contributo non condurrà da solo al compimento di Israele, non ritorneremo all'Adam Kadmon, non giungerà il Mashiach a liberare i tempi.
Dunque la nostra partecipazione al disegno divino non sarà legata alla compiutezza escatologica. Sappiamo che dobbiamo essere parte di questo disegno che è collettivo, perché deve condurre alla "forma eterna“, divina che è Israele.
A Siracusa siamo certi di partecipare a questo progetto, ed in questo senso e con questi sentimenti, con la forza della nostra fede, con l’osservanza dei precetti cerchiamo di crescere, di costruire giorno dopo giorno, con la preghiera e con l’osservanza ortodossa e non con la politica; con la forza della legge della Torah e non con idee velleitarie e corporative. Le idee ci sono già, sono scolpite nel nostro corredo genetico che non si chiama DNA ma Torah, dobbiamo solo applicarle. Tutto il resto avrà, Baruch haShem, un suo compimento nel tempo.
Il percorso personale di ognuno di noi è stato lungo, progressivo, una conquista innestata su una formazione intellettuale già adulta, ma noncompiuta. Abbiamo affrontato resistenze di natura sociale dovute all’osservanza delle mitzvoth, di alimentazione, di mutamenti che ai non ebrei paiono incomprensibili, contrasti familiari e relazionali, lavorativi .
Insomma abbiamo dovuto sradicarci dalla vita precedente per ritornare alla nostra vera vita, quella ebraica.
Ma quello che ci preme sottolineare è che non è una certificazione rabbinica a fare di noi ritornati degli Ebrei.
Non basta un foglio di carta a ricondurre una persona alla fede dei padri. Il nostro è un camminare quotidiano nella luce della Torah è il concretizzarsi di una appartenenza ancestrale, archetipale, una riconduzione del nostro essere più intimo ad una legge che richiede osservanza dal primo all’ultimo gesto che si compie, che regola ogni nostro pensiero o comportamento, alla legge della Torah.
Non si è ebrei se non lo si è completamente; non ci sono deroghe alla politica, alle relazioni sociali e alle connessioni diplomatiche se non nella stretta osservanza della legge. Non esiste un’etica relativa che si conforma ad altri modelli. Siamo diversi, sì e orgogliosi della nostra diversità. E se deviare da comportamenti e formulazioni di pensiero può portare a benefici di qualsiasi altra natura a noi non importa. La Halakhah è il nostro sistema di riferimento.
Avremo commesso errori, bene, ricominceremo daccapo la salita al monte santo; abbiamo pagato una disgregazione dovuta alla lontananza, ci avvicineremo, siamo e saremo comunità. Il passo è compiuto, il cammino è costante, faticoso ma gioioso, ad ogni mitzvah chiediamo come premio solo una mitzvah più impegnativa.
Noi crediamo che la nostra crescita personale e collettiva sia indissociabile dalla frequentazione della comunità e del beth hakeneset, sappiamo di dover offrire anche sostegno spirituale, preghiera, formazione, informazione e cultura. Ma prima di tutto dobbiamo offrire gli strumenti per ricongiungere ogni individuo che si rivolge a noi, al proprio io ebraico. Chiarire quelli che sono i principi irrinunciabili che connotano un ebreo osservante rispetto ad un osservante dell’ebraismo.
Per questo non basta essere ebrei, bisogna essere ebrei secondo Halakhah, secondo la legge della Torah, e se non c’è la corrispondenza interiore non c’è ebraismo, non c’è nessun pezzo di carta che varrà di fronte a Kadosh Barukh hu.
A noi non basta vogliamo che il percorso che offriamo sia un percorso di ritorno a qualcosa di presente nel nostro personale dna per ricongiungersi ancora al dna di Israele. Vogliamo condividere in ogni più piccola fibra il compito che Adonai ci ha dato che è quello di essere il suo popolo, sulle cui spalle cade la responsabilità di essere luce per l’intera umanità.
Ci siamo dovuti ricostruire, formare, anche fra mille difficoltà, ma sempre nella gioia della Torah, ridando voce e storia a tutti gli ebrei anche a quelli che ancora sono nascosti ma che, B H, stanno tornando a far sentire la loro voce e la loro preghiera.
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