giovedì 31 gennaio 2013

SHABBATH 22 SHVAT 5773 / 1-2 GENNAIO 2013

Ernst Oppler: Interno di Sinagoga
 
ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  17.05
Havdalah     ore  18.06
 
PARASHAH YTHRO: Shemoth 18 - 20
HAFTARAH YTHRO: Yeshaʽiahu 6,1-13
 

Shalom a tutti.
Shemoth 9,19: Il Signore disse a Mosè: Ecco io ti apparirò attraverso una densa nube, affinché il popolo oda mentre ti parlo e in tal modo avranno piena fiducia in te anche per l'avvenire".
Le nubi che nascondono D-o possono avere sicuramente il compito di celarlo alla vista cosicché nessuno possa farsene rappresentazione. Ma questo farebbe supporre un D-o altrimenti visibile. In Shemoth 33,20 troviamo: "Non potrai vedere la mia faccia perché nessun uomo può vedermi mentre è in vita". Una errata interpretazione di questo passo lascerebbe supporre una possibile raffigurazione antropomorfica e antropopatica del divino; per quello che riguarda la letteratura rabbina postbiblica non è raro imbattersi in descrizioni VERBALI che rimandano a tali rappresentazioni, basti pensare alla mano o al piede di D-o spesso descritte o al volto che si gira benedicente; ma il comandamento Shemoth 20,4 "Non ti farai alcuna scultura per adorarla né immagine qualsiasi di tutto quanto esiste in cielo al di sopra o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra" non lascia spazio ad interpretazioni sul perché D-o non si mostri apertamente agli uomini.
Per approfondire vi consiglio: Maurizio Mottolese: D-o nel Giudaismo rabbinico. Morcelliana, 2010
Tuttavia è interessante notare come sovente sia compito delle nubi celare la maestà divina.
In Shemoth 13,21-22: "Il Signore li guidava di giorno mediante una colonna di nubi...". Shemoth 16,10: "Mentre così parlava Aron alla congrega dei figli di Israele, questi rivolgendosi verso il deserto, videro apparire la maestà divina attraverso la nube". Poi vedremo successivamente in Shemoth 21,21: "Il popolo rimase lontano dal monte mentre Mosè si avvicinò al denso della nube ove era il Signore". Shemoth 24,15-18: "Mosè salì sul monte e il monte fu avviluppato dalla nube. La divina Maestà si fissò sul monte Sinai che fu avvolto dalla nube per sei giorni e il settimo giorno il Signore chiamò Mosè dal denso della nube... Mosè penetrò nel denso della nube, salì sul monte restando lì quaranta giorni e quaranta notti". Successivamente le nuvole che celano D-o ritorneranno in Shemoth 33,9-10; Shemot 40,34-35; Vaykrà 16,2; Bemidbar 9,15; Bemidbar 10,34 ; Bemidbar 14,14; Bemidbar 17,7; Devarim 4,11; Devarim 31,15; e ancora in Tehillim 99,7; Yechezqiel 1,27-28.
Se è vero che simbolicamente le nubi si collegano alla sfera dell'alto, al mondo celeste e supernaturale, è vero anche che possono essere considerate l'assenza di materia, l'ineffabile, l'incorporeo, il pantamorfo, quindi ciò che è evanescente, imponderabile, qualcosa che non si può fissare nella dimensione dello spazio perché la sua continua dinamica le lega alla dimensione del tempo. Per questo nella loro indeterminazione potrebbero riferirsi a ciò che non è rappresentabile, non dominabile proprio perché aereo non inscrivibile in una forma. Diventano il simbolo del mistero divino, di ciò che non è conoscibile ma ha una sua teofania anche attraverso le nuvole.
Ecco un frammento da Mishkan ha-ʽedut di Moshè ben Shem Tov de Leon XII secolo:"Quando la sefirah Malkhut guida le schiere terrestri si avvolge in un abito e quando guida le schiere celesti si spoglia ed esce dal suo scrigno. E l'abito, quando lo indossa, non lo tiene che per un tempo brevissimo.Grazie al mistero dell'abito di cui si veste, i giusti sulla terra possono avvicinarsi a lei. Questo è il segreto del versetto che dice: - Mosè s'avanzò verso la nuvola nella quale era D-o (Shemoth 20,21) - La nuvola è realmente la veste di cui la sefirah si cinge per guardare il mondo. ... Ecco un esempio valido per l'esperienza di tutti i popoli: le potenze celesti quando vogliono agire sulle potenze terrestri per farle prosperare e guidarle si manifestano in forma (cioè vestendo un abito) fisica. È quello che dice il versetto ottavo del Salmo 147: "È lui, il Signore, che ricopre il cielo di nuvole, prepara la pioggia per la terra,  fa germogliare l'erba sui monti". Infatti senza copertura o veste, i cieli non possono guidare la terra per prepararla ed aiutarla".
Anche nello Zohar ritroviamo questo tema sviluppato in relazione a Shemoth 24,18 e 24,21, che vedremo nella prossima parashah.
"La Shekhinah, avvolta nella sua nube, discende verso Mosè e gli fa dono della nuvola, affinché egli possa fare il cammino inverso al suo per salire verso i luoghi divini".
Dunque le nuvole nascondono D-o e nello stesso tempo sono teofania e per la loro stessa consistenza rimandano alla incapacità di ricondurre D-o ad una forma visibile, così come è comandato.
Ricordiamo anche che le nuvole sono portatrici di pioggia, che di fatto pone il collegamento fra la terra e il cielo. Questa considerazione mi richiama un bellissimo breve saggio di Catherine Chalier: Il trattato delle lacrime. In relazione all'occhio che proprio quando è velato di pianto e la vista appannata come da una nube ...
"Velando la chiarezza del mondo, le lacrime obbligano a ritirarsi lontano dalle evidenze, ordinarie o raffinate, del mondo comune e condiviso. Acuendo il senso della loro estrema fragilità e del fondo notturno che costituisce il loro fondamento, anche quando gli uomini attorno a sé sembrano continuare a trovarvi il loro approdo per meglio sistemarsi o affaccendarsi in questo mondo, esse privano di tale sostegno. L'acqua delle lacrime fa svanire la fermezza e il rilievo delle forme, impedisce lo sguardo diretto e fa vacillare, o addirittura spegne, la brace ardente cui le parole umane attingono il loro slancio...
Ora, in questo momento di dissolvimento, e per effimero che sia, il giudizio che chi piange si credeva autorizzato a emettere su di sé, sul mondo e su Dio, fintanto che si fidava delle certezze della sua sensibilità, del senso comune, o ancora dei propri audaci ragionamenti - questo giudizio cede anche sotto la pressione infima di quest'acqua. La persona che piange rinuncia infatti a giudicare e a sapere, rinuncia alle armi della conoscenza per lasciarsi sorprendere da una passività senza fondo..."
Potete leggere questo breve trattato, un vero gioiello, al link qui sotto.
 
Shabbath Shalom
Israel Eliahu


lunedì 28 gennaio 2013

PURIM DI SIRACUSA 18 Shvat / 28-29 Gennaio (digiuno il 17 Shvat / 27-28 gennaio)



Il Purim di Siracusa, di Israel Eliahu, febbraio 2012,  di proprietà dell'autore

Secondo una tradizione talmudica, attestata in molte comunità ebraiche, si chiamano Purim quegli avvenimenti storici che, per il fatto di essere caratterizzati da interventi miracolosi che ne modificano le “sorti”, hanno il buon diritto di essere ricordati dalla comunità ebraica che ne è stata testimone, in virtù del fatto che rimandano, nella loro articolazione narrativa, al Purim di Ester e alla salvezza degli Ebrei di Persia dal minacciato sterminio. Dunque è la celebrazione di una festa nel ricordo di un evento, solitamente uno scampato pericolo da una grave minaccia; è il ringraziamento che una comunità rivolge a D-o e la consacrazione del ricordo per le generazioni a venire; una celebrazione liturgica e festosa, collettiva e comunitaria. A questo è dovuta la dimensione contenuta dell’evento che appartiene al genere dei Purim qetannim. Il Purim di Saragusa o Siracusa appartiene a questo genere. La celebrazione prevede la lettura pubblica di una megillà, ovvero un rotolo di pergamena in cui viene narrato l’evento che si vuole ricordare. Inoltre possono esservi preghiere particolari e veri e propri poemi commemorativi come Kina Glossa, della comunità di Giànnina che vi proponiamo in traduzione siciliana, che racconta l’avvenimento di Siracusa seguendo la diegesi narrativa della Megillat Saragusanos. Il Purim di Siracusa, nato in Sicilia nel XV secolo, ebbe diffusione, dopo l’editto di espulsione del 1492, fra gli Ebrei Siciliani fuggiti dall’isola che trovarono rifugio in oriente e in particolare a Salonicco e Giànnina, nei territori dell’impero ottomano. Qui gli Ebrei si organizzarono in comunità chiamate, in giudeo – spagnolo, Kal dall’ebraico Qahal. A Salonicco esistevano ben tre comunità provenienti dalla Sicilia: Sicilia Vecchia, Sicilia Nuova e Bet-Aharon. Dagli appartenenti a quest’ultima comunità, in particolare con la famiglia Saragusi, si mantenne la tradizione di festeggiare il nostro Purim, anche quando il rito Siciliano andava perdendosi, soppiantato da quello sefardita. Si hanno testimonianze della celebrazione della festa fino all’inizio del XX secolo. La sera si leggeva la Megillat Saragusanos e la giornata successiva si trascorreva in festeggiamenti. Dopo l’olocausto e la dispersione delle famiglie Saragusi scomparve inesorabilmente la memoria della festa del Purim di Siracusa, pur trovandosi alcune tracce, quale Purim di Saragozza in Francia e in Israele. Per molto tempo infatti gli studiosi hanno ritenuto che questo speciale Purim si riferisse alla città di Saragozza, equivocando sul nome del Re Saragosanos e sulla lingua, il giudeo spagnolo ovvero il ladino, portato dagli ebrei fuggiti dalla Spagna e che progressivamente si impose come lingua dominante. Si deve per primo allo studioso David Simonsen, nel 1910, la legittima e documentata restituzione agli Ebrei siciliani e a Siracusa di questo Purim. La tesi fu poi condivisa da altri studiosi fra i quali ricordiamo Yosef Mejuhas, Cecil Roth fino al Dott. Dario Burgaretta. Oggi il mondo accademico riconosce, senza ombra di dubbio alcuna, l’appartenenza di questo Purim alla storia della nostra città. Ecco in sintesi l’evento, così come viene narrato dalla nostra megillat. Ai tempi del re Saragusanos era usanza che, quando questi visitava il quartiere ebraico della città, abitato da più di 5000 uomini adulti, le guide e i capi spirituali della comunità, i maggiorenti, si recassero in processione verso il re, portando, in segno di sottomissione e rispetto, i rotoli della Torah. Tale abitudine fu seguita per i primi 12 anni del regno del re Saragusanos, ma nel 13° anno gli Ebrei decisero, per rispetto nei riguardi della Torah, di presentare al re solo le custodie vuote dei rotoli. Avvenne però che un Ebreo converso, Chaim Sami, col nuovo nome di battesimo Marcos, denunciò il fatto al re, con la speranza di poter entrare nelle sue grazie. Il re decise di assicurarsi personalmente di quanto il delatore gli aveva raccontato passando all’improvviso nel quartiere ebraico l’indomani, il 17 del mese di Shevat, con l’intenzione di uccidere, nel caso di una conferma delle accuse, tutti gli Ebrei della città. Ma nella notte il profeta Elia apparve al custode della Sinagoga avvertendolo della minaccia incombente. Così i rotoli della Torah furono riposti nelle custodie, e quando l’indomani il re chiese di vederli, questi gli furono mostrati. Il delatore, risultata falsa e menzognera l’accusa di lesa maestà, fu punito dal re con la pena capitale, mentre gli Ebrei beneficiarono del favore e della benevolenza del re.
Israel Eliahu.


Moviti parola
Moviti parola a raccuntari e prodiggi a prufissari, i Siciliani arruspigghiari e cô vinu falli 'mbriacari.
Manciati e biviti Sarausani, ca ognunu hâ fari festa! U nostru D-u fa li maravigghi e li fa cu li Sapientuni.
U suvranu annuminatu Saragusanos onuratu, da Israeli assai amatu e cu gloria 'ncurunatu, tuttu d'oru apparatu, di giuielli vistutu, cu l'onuri di li Sapientuni iddu ci addumannò la bbinidizzioni: cu li Scritti di lu Criaturi ci facissuru orazzioni.
Pirò Marcu u scilliratu ca Israeli ha rinnigatu, na la menti pinsò a lu tradimentu di la so genti e di purtarli tutti a farli ammazzari, parrannu ammalizziatu cu lu putenti suvranu. Lu Signuri pozza castiari pi comu merita!
Pi la to vita, miu signuri re, ascuta i me' paroli. I Iurei t'ambrogghiunu, ti fanu cuntentu e jabbatu, senza li Scritti ti fanu l'onuri e nun preiunu pi la to' saluti.
U re 'nfunciatu voli 'ncuntrari i Iurei e voli viriri cu li soi occhi e tuccari cu manu li Scritturi.
Mentri calava lu scuru ca cummogghia tutti li cosi, lu Patri Eternu di la misericordia infinita ca ama i soi criaturi rranni e nichi mannò Eliyau u missaggeru ad Efraym u sò servu.
Arruspigghiti, prestu, vai a metiri li Scritturi dintra a li narteci e a sistimari u Qal ma nun parrari cu nissunu!
'Ncuminciava a spuntari u suli quannu Marcu u tradituri fici strata pi 'ncuntrari i priaturi. U re cu li soi fidati tutti armati 'ncuminciò una a una a visitari i sinagoghi e a farisi ammustrari li Scritturi e tuccò cu manu ca tuttu era a postu comu D-u aveva cumannatu.
Ora i Iurei sunu onorati e pi tuttu lu regnu canusciuti, tutti boni e biniditti pi la giusta via; Marcu fici na brutta fini, fu 'mpiccatu e abbannunatu comu a nu cani rugnusu.
Sarausani Iurei, lechaym, alla saluti, che è u beni chiù prizziusu! Manciati e biviti cu cori allegru e lunga vita ai vostri figghi, u nostru futuru.
Gloria ranni a Diu Signuri ca a li Iurei ha fattu a grazzia. Mannici a Elia u prufeta pi lu Jornu Ranni e lu tò Ggiudizziu.
Traduzione di Giovanni Ferdinando Giudice - Khaim Jehudà, di proprietà dell'autore

giovedì 24 gennaio 2013

SHABATH TU BISHVAT 5773 / 25-26 GENNAIO 2013


ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 16.58
Havdalah            17.59

PARASHAH BESHALLACH: Shemoth 13,17 - 17,16
HAFTARAH BESHALLACH: Shefatim 4,4 - 5,3

Shalom a tutti.

Procedendo nella lettura settimanale della Torah abbiamo visto come dalla narrazione si definiscono alcuni dei principi, dei precetti e dei simboli fondanti l'Ebraismo, perni sui quali si costruisce da sempre la nostra quotidianità e cordonatura sulla quale è tessuta la vita ebraica nell'osservanza dei precetti della Torah. Ne ricordiamo solo alcuni:
- La milah, suggello del patto fra D-o e Avraham e tutta la sua discendenza, il suo popolo. Simbolo di affermazione dell'identità ebraica, tema che affronteremo prossimamente nell'episodio di Sefora. Milah che nel misticismo giudaico e in particolare nel Sefer Yetzirah, rappresenterà il punto di contatto fra lo schema delle dieci sefiroth e il corpo dell'uomo, fra macro e microcosmo.
- La lotta di Yaʽakov con l'«angelo», cui si può far risalire il divieto di consumare il nervo sciatico degli animali.
- Gli stipiti delle case degli Ebrei che vennero segnati dal sangue dell'agnello del sacrificio, cosicché il Signore potesse riconoscere le loro dimore e scamparle dalla distruzione. A questo evento si può far risalire il precetto di annunciare l'ebraicità di una casa con la mezuzah. Il significato letterale della parola è appunto stipite. Se inizialmente la prescrizione divina fu applicata come santificazione della casa (ricordo però che va per così dire attivata toccandola e benedicendola e non lasciata come un orpello distintivo) nel medioevo si caricherà di valore apotropaico e cabbalistico, trovando spazio anche in un capitolo dello Zohar.
- Le azzime e il relativo tabù del lievito nel periodo che coincideva con la festa delle azzime dell'antico calendario agricolo. Divieto che rappresentava la cesura fra un raccolto ormai esaurito e quello nuovo ma che si carica di un altro valore, quello della memoria, derivato dalla fretta degli Ebrei nel fuggire dall'Egitto e non aver lasciato il tempo al pane di lievitare.
- In questa parashah ricordiamo la manna מן. La parola deriva da "che cos'è", la domanda che gli Ebrei si posero davanti a questo cibo che li soccorreva. In effetti per definirla si ricorre a similitudini: ... una cosa minuta, tonda, come la brina sulla terra. (Es 6,14) ... come il seme del coriandolo (Num 11,7) ... il gusto di schiacciata fatta col miele (Es 16,31). Seppure, come sottolinea Lattes, il fenomeno possa essere ricondotto a cause naturali, è pur vero che la Torah ne coglie la sua trasfigurazione simbolica. Infatti simbolicamente la manna si collega e rappresenta l'istituzione dello shabbat, non cadrà di sabato ma ne cadrà una doppia porzione il giorno precedente. Nel duecento Nachmanide vedrà racchiusa nella manna la sostanza divina di cui si nutrono gli angeli fattasi materia e che partecipa il fulgore della shekinah שכינה agli uomini.
Dunque in ogni passo della Torah riconosciamo i principi di gesti e comportamenti e riti che ci accompagnano. Così come, lo abbiamo già detto, anche l'uscita dall'Egitto deve corrispondere al nostro quotidiano percorso nella vita.
Ecco dunque l'ingiunzione che traluce dalla scrittura: Zakhor, ricorda. Il verbo zakhar, nelle sue varie forme, ricorre 169 volte nella Torah. L'incontro di D-o e dell'uomo non è come nelle altre cosmogonie e nelle storie mitologiche, sul piano della natura e del cosmo, non è più il dramma pagano del conflitto fra l'uomo e le forze del caos, ma la tensione dialettica che si realizza nella storia, nella rivelazione di D-o che agisce nella storia.
Per Israele l'ingiunzione a ricordare e, specularmente, quella a non dimenticare, è sentita come un comandamento. È la memoria trasmessa dai padri ai figli attraverso il libro che si fa testimonianza, che attiva i lacerti di un mondo che sarebbe solo racchiuso nelle pietre. Che sarebbe il Kotel haMaʽaravi הכותל המערבי senza la memoria?
Per approfondire questo tema vi rimando a
Yosef Hayim Yerushalmi: Zakhor, storia ebraica e memoria ebraica. Pratiche editrice
Ed anche davanti ad Amaleq, alla feroce ed immotivata aggressione degli amaleciti noi abbiamo il dovere, l'imperativo di non dimenticare: perchè ʽAmaleq è sempre più forte, sempre in agguato, a volte si palesa nel suo abito di guerra, altre volte è subdolo, nascosto, si occulta, si maschera, si traveste.
Semplice riconoscerlo nelle divise naziste o nei movimenti che ad esse si ispirano. Meno semplice quando si è di fronte alla nuova maschera dell'antisemitismo che è l'antisionismo, che proviene da ambienti e persone di estrazione antifascista. Semplice quando ci si trova di fronte all'agguerrito ʽAmaleq, più difficile quando ci si trova di fronte a ideologie che ti chiedono di cancellare la tua identità e diversità ebraica con l'assimilazione, l'omologazione retaggio della haskalà illuminista. Se Marx negava agli ebrei il diritto di formare un proprio stato perché sarebbe stato solo una nazione di mercanti (ma era probabilmente l'avversione personale per il mondo giudaico-rabbinico dal quale proveniva) Lenin, pur chiamando l'antisemitismo il socialismo degli imbecilli, chiese agli Ebrei di negare le istanze che li riconducevano all'Israele ideale per confluire nell'internazionale proletaria. Bisognava, secondo lui, battersi per l'emancipazione ebraica fino a cancellarne le istanze particolaristiche .
Oggi da più parti si chiede agli Ebrei di rinnegare la propria discendenza che ci lega ad Eretz Israel e verso la quale ogni Ebreo deve tendere.
Per noi crescere con la Torah, farsi Torah significa costruire ogni giorno un'identità ebraica che si confronta dialetticamente con gli altri, sa condividere ma non si adegua a costumi che non le appartengono. Conosce il rispetto per il deuteragonista come per il compagno di strada, ma la memoria di ʽAmaleq e di Masada resta. In questi giorni di celebrazioni spesso si assiste a metabole del dramma, in una compartecipazione ad una tragedia epocale condivisa; ma spesso abbiamo dovuto ascoltare la blasfema retorica di chi, ancora impregnato del sovietismo più deteriore, quello della svolta del '67, tenta di somigliare, con una equazione terrificante, l'olocausto alla questione palestinese. Un sindaco emiliano si è rivolto ai giovani, raccolti per commemorare la shoah, paragonando l'ideologia nazista, che ha condotto all'olocausto degli Ebrei, alle politiche del governo italiano; opportunismo politico molto discutibile e sicuramente di macabro gusto. Ancora, un esponente di certa faziosità politica ha esplicitato a chiare lettere Israeliani = Nazisti secondo una equazione che dal '67 non ha mai smesso di circolare negli ambienti cui appartiene la persona di cui sopra.
Ricordatevi sempre degli Umberto Terracini, dei Pier Paolo Pasolini che dall'interno della compagine politica cui appartenevano hanno combattuto contro questa deriva, nell'Italia schiacciata sotto il malleus degli Alatri e dei sicofanti filo sovietici. Se è vero che nei paesi islamici il libro più venduto dopo il Corano è ancora oggi I protocolli dei savi di Sion e successivamente il Mein Kampf di Hitler, è anche vero che ʽAmaleq dell'occidente è portatore di una pseudo-cultura a volte sotterranea a volte palese, che riprende i temi della plutocrazia capitalista giudeo massonica ed è trasversale a tutte le ideologie politiche.
Noi non abbiamo bisogno di confrontarci con queste derive ideologiche che qualificano chi le esprime, il nostro sistema di riferimento, la nostra legge è la Torah, il nostro popolo Israele la nostra terra è quella che D-o ci ha destinato.
Orgogliosi della nostra diversità, fermento intellettuale e culturale di tutte le nazioni che ci hanno "ospitati" in una storia controversa e dura, spesso feroce, fuori dalla nostra patria che era, è e sarà Eretz Israel.

Quanto è accaduto oggi è simile alle persecuzioni
del passato, e tutto quello che è accaduto ai padri
si è verificato anche per i loro discendenti. In
occasione degli antichi avvenimenti, le generazioni
di allora composero le loro selichot e raccontarono
le loro storie. Ma la storia è la stessa. E così io mi
sono detto: andrò a spigolare nel loro campo "che
l'unghia del dito mignolo delle generazioni lontane
vale molto di più del ventre di quelle successive"
(Yoma, 9b). Inoltre recitare le loro preghiere farà
sì che le nostre vengano accolte, poiché le parole
pronunciate da chi è piccolo non si possono
comparare a quelle dei grandi. E così le loro labbra
si schiuderanno nella tomba, e le loro parole
saranno come una scala lungo la quale le nostre
parole saliranno al cielo.
Yom Tov Lippman Heller (1578 -1654)


Questo shabath è anche Tu biShvat ט״ו בשבט il Capodanno degli alberi.
Tu biShvat è una festa minore durante la quale è possibile lavorare, ma si evitano manifestazioni di tristezza; sono ad esempio vietate le orazioni funebri.
La festa risponde ad un ordine, un seder, che fu definito nel 1600 da Rabbi Yitzchak Luria. Si usano mangiare i frutti della terra di Israele: uva, fichi, melograni, olive, datteri, mandorle, pistacchi, noci, agrumi ma anche qualsiasi altro frutto sia generato da alberi. Il consumo dei frutti viene intercalato dalla lettura di brani della Torah e di commenti rabbinici. Si beve vino sia rosso che bianco.
Potete anche scaricare o stampare il seder a questo link
http://www.archivio-torah.it/libretti/seder_tubishvat.pdf
Sulle origini bibliche della festa vi trascrivo di seguito alcune note
La Torah racconta di come venne distribuita la terra di Israele alle dodici tribù di Israele. In particolare alla tribù dei Leviti e dei Cohen non venne assegnato alcun territorio dal quale ricavare sostentamento, ma vennero istituite le decime con le quali le altre tribù dovevano concorrere al sostentamento dei Leviti e dei Cohen.
In particolare, come sorta di tassa sul prodotto doveva essere versata la decima parte del prodotto dell'anno. La destinazione delle decime veniva decisa secondo il ciclo dei sette anni del calendario ebraico. Ogni anno una prima decima andava interamente alla tribù dei Leviti, e sulla parte rimanente di prodotto veniva applicata un'ulteriore decima che veniva differenziata a seconda dell'anno: nel terzo e sesto anno del ciclo essa veniva donata ai poveri; nel primo, secondo, quarto e quinto invece restava al produttore che, però, la doveva consumare personalmente a Gerusalemme. Il settimo anno, in quanto anno sabbatico, i prodotti della terra non venivano raccolti.
Qui il discorso ci condurrebbe a parlare del giubileo, ma avremo modo di farlo in altra occasione; chi volesse approfondire può cercare questo libretto: Ester Rostagno (a cura di) - Il giubileo rigenerazione della terra e dell'anima. Edtrice Lulav, 2000
L'osservanza di questa regola prevede, però, la definizione di una sorta di inizio d'anno fiscale per calcolare a quale anno siano da riferire i prodotti della terra. A questo scopo si può identificare come inizio di anno il momento in cui le precipitazioni terminano e le piante da frutta fanno sbocciare i primi fiori. In terra d'Israele questi eventi cadevano durante la prima quindicina del mese di Shevat e la data per la ricorrenza, Tu bishvat, venne fissata al 15º giorno del mese di Shevat.

Shabbat shalom vechag sameach

חג שמח
Israel Eliahu

giovedì 17 gennaio 2013

SHABATH 8 SHVAT 5773 / 18-19 GENNAIO 2013

John Sargent: Pomegranates

ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 16.50
Havdalah 17.52

PARASHA BO: Shemoth 10,1 - 13,16
HAFTARAH BO: Yrmeyah 46,13-28

Shalom a tutti.
Possiamo comprendere quali sono le strade che HaShem ha scelto? In Esodo 33,19 il Signore dirà a Moshè:
"Farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò misericordia di chi vorrò avere misericordia". Che significa questo? Che la volontà divina è imperscrutabile, non è comprensibile o definita con a-priori; come si può allora comprendere l'intervento di Dio nella storia con una esegesi umanamente razionale?
Di fronte a quanto dice il Signore in Esodo 7,3 "io farò indurire il cuore di Faraone" si pone il problema del perché D-o voglia punire Faraone se lui stesso lo ha indotto alla ostinazione nel rifiuto di concedere la libertà agli Ebrei.
Maimonide spiega in questi termini la questione. Il Signore ha privato Faraone della possibilità di pentirsi, perché aveva talmente perseverato nella sua malvagità da non meritare più l'opportunità di salvarsi, da non poter più recedere dalle colpe commesse, dato che aveva già avuto l'opportunità di pentirsi e non l'aveva colta. Vista la cosa in termini escatologici è giusto che un peccatore che per tutta la vita persevera nell'errore e nel peccato possa beneficiare dell'assoluzione semplicemente pentendosi all'ultimo momento? Faraone ha disubbidito ad un'imposizione divina che gli era stata trasmessa come opportunità da Moshè e Aharon. Davanti a questo episodio è evidente che i nostri modesti strumenti di intelligere non possono comprendere le scelte di D-o.
Scrive Filone d'Alessandria nel suo "La fuga e il ritrovamento" a commento dell'enunciato "È negato ai malvagi evadere da questa terra e rifugiarsi in D-o": Il male rimane quaggiù in sede lontanissima dal coro divino per aggirarsi in mezzo alla vita mortale senza possibilità che morte lo sradichi dal genere umano.
Certo però che, vedremo in seguito, la salvezza degli Ebrei rivela un "lato mancante" (Piero Stefani in Il giudaismo rabbinico di fronte alla violenza) proprio nella morte degli Egiziani. Racconta un Midrash che mentre gli Ebrei attraversavano il Mar Rosso e gli Egiziani soccombevano fra i flutti, gli angeli vollero intonare un canto di giubilo ma il Signore li fermò dicendo: I miei figli stanno morendo e voi vorreste cantare?
Dunque ci troviamo di fronte ad una scelta che non può essere compresa nei termini riduttivi di un'etica umana redatta nei tempi e nei modi di una storia di cui non si conosce la portata. Scrive ancora Filone: Una volta il profeta, spinto dalla sua sete di apprendere ricercava anche le cause per cui si compiono nell'universo gli eventi essenziali. Osservando tutto tutto ciò che nel mondo della creazione viene distrutto o generato, scompare o perdura, stupefatto esclama: - "Perché il roveto arde e non si consuma?" ... allora D-o dal suo Santuario leva la sua voce: "Non accostarti qui" cioè non avventurarti in una ricerca simile. Ammira le cose create ma non affannarti a conoscerne le cause che ne determinano la nascita o la morte.
A questo proposito vi trascrivo una leggenda sul profeta Elia tratta da un volume a cura di Matilde Cohen Sarano dal titolo Le storie del Re Salomone. Sansoni Editore.

                                                        Il profeta Elia e Rabbì Jehoshùa
Rabbì Jehoshùa voleva tanto sapere come opera il Profeta Elia, per poter così imparare dalla sua saggezza. Fece molti giorni di digiuno e di preghiera a D-o e il Profeta Elia gli apparve e disse: - Vieni con me! Ma non mi dovrai mai chiedere nulla su quello che vedrai. Se mi chiederai qualcosa ti separerai da me immediatamente. - Va bene - disse Rabbì Jehoshùa. I due si misero in cammino ed arrivarono ad un villaggio. Entrarono in una casa in cui abitavano un marito ed una moglie molto poveri, che avevano una sola mucca e si mantenevano con il suo latte. Il marito e la moglie li accolsero molto bene e diedero da mangiare loro quello che che stavano mangiando loro stessi. Prima di andarsene il profeta Elia fece morir loro la mucca.
- Come? - disse Rabbì Yehoshùa - dopo che ci hanno ricevuti così bene?!...-
- Ricordati del patto che abbiamo fatto - gli disse il Profeta Elia - se non vuoi separarti da me! - e Rabbì Yehoshùa tacque.
Cammina cammina arrivarono in un altro villaggio. Lì c'era la villa di un uomo ricchissimo. Questi non li fece entrare e non diede loro da mangiare. Rimasero nel cortile. Il Profeta Elia vide lì una parete mezza diroccata e, prima di andarsene, pregò D-o e la ricostruì.
Pensò Rabbì Yehoshùa: "Quest'uomo è già tanto ricco... ha già tanti beni... Non ti ha dato da mangiare e tu gli ricostruisci la parete?!" Ma se ne stette zitto.
Camminarono camminarono e arrivarono ad una Sinagoga di ricchi, che non li ricevettero e non li invitarono a dormire lì la notte. Prima di andarsene il Profeta Elia disse loro: - Vi auguro di avere molti capi -Alla fine i due arrivarono ad una Sinagoga di poveri. Entrarono dentro, li accolsero molto bene e diedero loro da mangiare e da bere. Poi li invitarono anche a passare la notte da loro. All'uscita il profeta Elia disse loro: - Che abbiate sempre un solo capo -
Rabbì Yehoshùa non potè più trattenersi. Gli disse: - Che cosa significa tutto questo? Siamo andati da quei poveretti ci hanno dato il loro cibo e tu hai ucciso la loro unica mucca! - disse - Perché??
- Perché stava scritto che la moglie doveva morire - gli disse il Profeta Elia - ed è morta la mucca come Kapparà per lei -
- Bene - disse Rabbì Yehoshùa - ma siamo andati alla casa del ricco non ci ha ricevuto e tu gli hai ricostruito la parete diroccata... -
- Sotto quella parete - gli disse il Profeta Elia - c'era un tesoro d'oro. Se la parete fosse caduta lui sarebbe diventato ancor più ricco. Cosicché gliel'ho ricostruita perché non trovasse il tesoro.
- Sì - disse Rabbì Yehoshùa - Ma quando siamo arrivati alla Sinagoga dei ricchi dove non ci hanno ricevuti perché hai augurato loro di avere molti capi?
- Perché quando ci sono molti capi - disse il profeta Elia - non si può dirigere un posto, nemmeno il governo. Quando ci sono molti capitani la nave affonda. Quando siamo arrivati alla Sinagoga dei poveri dove ci hanno ricevuto tanto bene e ci hanno dato anche un posto per dormire ho detto loro: Che abbiate un capo solo. Quando c'è un capo solo tutti ubbidiscono a quello che dice lui.
Adesso che sai che tutto quello che fa D-o è per il bene, possiamo separarci - e quindi sparì.

Dunque dobbiamo credere nella giustizia di D-o, anche quando la disubbidienza alla Sua parola dovesse determinare una condanna senza appello.
"Per tre ore al giorno il Santo, Benedetto Egli sia, siede e giudica il mondo intero. Quando vede che il mondo merita di essere distrutto per la prevalenza in esso del male, si alza dal trono della giustizia e si siede sul trono della misericordia" (ʽAvodah Zarah, 3b). Se non si fosse seduto sul primo trono, scrive Stefani, non si sarebbe potuto sedere sul secondo trono, sul quale deve esserci ancora incisa la NON equiparazione fra colpevole e innocente, tra carnefice e vittima.
Un D-o che attraverso la Torah ci ha dato l'opportunità di riscattare, con gli ʽAseret haDibberot e le 613 mitzvoth, il peccato di Adam, che fu creato in una prospettiva di eternità e che fu condotto alla morte dalla disubbidienza. Con il peccato di Adam la morte entra nell'esistenza umana. Il male è la conseguenza del peccato, senza peccato non ci sarebbe sofferenza, non ci sarebbe la morte. In Esodo 15,26 leggeremo: "Se ascolti attentamente la voce dell'Eterno che è il tuo Dio, e fai ciò ch'è giusto agli occhi suoi e porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi, io non ti manderò addosso alcuna delle malattie che ho mandato addosso agli Egiziani perché io sono l'Eterno che ti guarisce."
Ma guai a confondere le prescrizioni che D-o ci dà per regolare i nostri rapporti con Lui e con gli altri uomini con ciò che è nell'imperscutabilità della sua mente, della sua volontà, del suo giudizio. Non possiamo misurare la storia e i suoi accadimenti con la modesta prospettiva di noi uomini.
Come potremmo comprendere la morte degli Egiziani davanti a Lo Tirtzach, il 6° comandamento? Ma Lo Tirzach significa Non Assassinare e in questo non rientra la legittima difesa.
Shabbat shalom
Israel Eliahu

lunedì 14 gennaio 2013

27 GENNAIO 2013 GIORNATA DELLA MEMORIA

 
Con questo incontro, il Centro di cultura ebraica Tiqqun vuole offrirvi una riflessione sulla Shoah da un punto di vista teologico ed etico. L’interrogativo posto che vuole una risposta è: Dov’era D-o quando i nazisti hanno sterminato 6 milioni di ebrei? Se lo chiedevano i deportati nei campi di concentramento, ce lo chiediamo noi della generazione successiva. La domanda ha cambiato il modo di pensare D-o dopo Auschwitz. È nata una teologia di Auschwitz? O il problema è strettamente storico ed etico? Cercare di comprendere i criteri e finalità del pensiero divino si scontra con quelli che noi sappiamo essere gli attributi divini. Ogni riflessione sulla teodicea si scontra con l’inconoscibilità di D-o e del suo progetto sul mondo. "Le cose occulte appartengono al Signore nostro D-o e quelle rivelate toccano a noi e ai nostri figli in eterno". Se per la teologia della morte di D-o, da un punto di vista cristiano la domanda che si pone è se il Mashiach è venuto perché il mondo è così malvagio, da un punto di vista ebraico la domanda che si pone è come possa venire il Mashiach in un mondo come quello che ha permesso Auschwitz. Quindi il problema tende a spostarsi su un piano disperatamente legato alla responsabilità umana; ma poiché questa formulazione non risponde al quesito principale, cioè perché D-o onnipotente non ha fermato la barbarie nazista, allora si sono date altre risposte. La prima, in area riformata, è che la conseguenza di questo massacro è l’aprirsi di una nuova epoca per l’umanità e ha consentito il ritorno in Eretz Israel. Per questo si vede la Shoah come l’attuazione di un disegno divino (a chi scrive incomprensibile nella sua oggettivazione) che prevedeva l’offerta sacrificale del popolo ebraico. Questa interpretazione aggiunge frustrazione ad una weltanschauung già fatalmente compromessa su un piano morale. In fondo anche la haqedat Ytzchak non aveva condotto all’olocausto, ma si era risolta come prova di obbedienza. Nell’ebraismo ortodosso si è sostenuto invece che l’assimilazione della popolazione ebraica europea fra '800 e '900 e la progressiva perdita identitaria e religiosa conduceva alla ʽavodah zarah, all’idolatria che il Signore ha pesantemente punito nel racconto della Torah, perché l’idolatria è il peccato assoluto contro D-o. Quindi la Shoah sarebbe servita a ricompattare Israele. Anche questa tesi è, a mio giudizio pur essendo io ortodosso, insostenibile. Non vedo nessun disegno provvidenziale dietro al massacro. Dunque rimane solo questa possibilità per un’ermeneutica di Auschwitz. Esther panim, il nascondimento del volto di D-o, che sarebbe dovuto alla sua impotenza. Perché quando D-o ha donato all’uomo il libero arbitrio avrebbe perso il contatto con la sua creatura. Hans Jonas sostiene che D-o è buono ed è giusto ma non onnipotente. Il margine della autodeterminazione umana è il limite della potenza divina. Maimonide stesso aveva compreso che l’attributo dell’onnipotenza entra in collisione con la libertà che è il bene più prezioso che D-o ha dato all’uomo. Lontano dunque dal concetto di predestinazione agostiniana, l’uomo segue un percorso che lui stesso determina. Dunque tutte le teofanie scompaiono? Ma l’uscita dall’Egitto, non era stata una manifestazione divina? E il D-o provvidente che ha guidato il Suo popolo fino alla terra che stilla latte e miele? Davanti a questa immane tragedia, ritorna il quesito che pone la storia di Giobbe a cui non sappiamo rispondere. Forse l’arrivo del Mashiach ristabilirà l’ordine perduto, darà delle risposte. Al momento l’unica risposta, sostiene Eli Wiesel, è che la generazione della Shoah continui a testimoniare quello che è accaduto. ʽAd Matai Helohai, cioè fino a quando o Signore? Chiudo con le parole di Manganelli: "L’ebreo è esule; e noi crediamo di non esserlo? L’ebreo è costretto a misurarsi con le tenebre giacché da millenni è l’oggetto privilegiato dell’ombra, il buio interiore dell’Occidente che lo investe. Ma noi quale rapporto scegliamo con le nostre tenebre? La domanda è posta ad ognuno di noi. Ed anche se assordiamo con i ringhi e i guaiti della nostra paura, questa domanda ritorna. Sei ebreo? Se risponderemo di no, la nostra sorte sarà il terrore di noi stessi, la follia".
 
 
  

domenica 13 gennaio 2013

CHARLES CAMILLE SAINT-SAËN: SAMSON ET DALILA, libretto di Ferdinand Lemaire


 
Dal II atto: Mon coeur s'ouvre à ta voix. Plácido Domingo e Olga Borodina, Metropolitan Opera 1998, direttore James Levine
 
Mon cœur s'ouvre à ta voix comme s'ouvrent les fleurs
Aux baisers de l'aurore!
Mais, ô mon bien-aimé, pour mieux sécher mes pleurs,
Que ta voix parle encore!
Dis-moi qu'à Dalila tu reviens pour jamais!
Redis à ma tendresse
Les serments d'autrefois, ces serments que j'aimais!
Ah! réponds à ma tendresse!
Verse-moi, verse-moi l'ivresse!

Ainsi qu'on voit des blés les épis onduler
Sous la brise légère,
Ainsi frémit mon cœur, prêt à se consoler
À ta voix qui m'est chère!
La flèche est moins rapide à porter le trépas,
Que ne l'est ton amante à voler dans tes bras!
Ah! réponds à ma tendresse!
Verse-moi, verse-moi l'ivresse!
 










sabato 12 gennaio 2013

GIOACCHINO ROSSINI: MOSÈ, libretto Andrea Leone Tottola "Dal tuo stellato soglio"


MOSÈ

Dal tuo stellato soglio

Signor, ti volgi a noi:
pietà de' figli tuoi,
del popol tuo pietà!

DONNE,

Pietà de' figli tuoi.

AMENOFI

UOMINI

Del popol tuo pietà!

ARONNE

Se pronti al tuo potere

sono elementi, e sfere,
tu amico scampo addita
al dubbio, errante piè!

DONNE,

Pietoso D-o, ne aita.

AMENOFI

UOMINI

Noi non viviam, che in te.

ELCÌA

La destra tua clemente

scenda sul cor dolente,
e farmaco soave
gli sia di pace almen.

DONNE,

Il cor, che in noi già pave,

deh tu conforta appien.

UOMINI


TUTTI

Dal tuo stellato soglio,

Signor, ti volgi a noi:
pietà de' figli tuoi,
del popol tuo pietà!

giovedì 10 gennaio 2013

SHABATH 1 SHVAT 5773 / 11-12 GENNAIO 2013

 
Karla Waller 

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  16.43
Havdalah      ore  17.45
Per le altre località vedi  http://www.myzmanim.com/search.aspx
 
 
PARASHAH VAERA: Shemoth 6,2 - 9,35
HAFTARAH VAERA: Yechezqiel 28,24 - 29,21

Shalom a tutti.
Ancora una volta i midrashim sviluppano un tema che è oggetto di riflessione particolare.
Alla parashà precedente (Shemot, 5, 1-2) davanti a Faraone si presentarono Mosè e Aharon: - Siamo gli inviati del Santo, benedetto egli sia. -
- E che cosa volete? -
- Così ha detto il Signore: manda via il mio popolo (Es 5,1). -
Allora Faraone si adirò e disse: - Chi è il Signore perchè io abbia ad ubbidirlo, mandando via Israele? Io non conosco il Signore e non manderò via Israele. -
Poi soggiunse: - Aspettate, voglio cercare nel mio libro. -
Entrò allora nel suo tesoro, ne trasse una lista di divinità e cominciò a leggere: - dio di Moab, dio di Sidon, dio di Ammon. Il nome del vostro D-o non c'è. -
Risposero allora Mosè e Aharon: - Si possono forse cercare i vivi vicino ai morti? Le divinità di cui tu parli sono divinità morte, mentre il nostro D-o è il D-o vivente -
Allora Faraone chiede: - E' giovane o vecchio, quanti anni ha, quanti paesi ha assoggettato? Quanti sono gli anni del suo regno, ma soprattutto come si chiama? -
Ricordiamo che Faraone ritiene sè stesso un dio tanto da dire:
- Io sono il signore del mondo, ho creato me stesso e il Nilo -
Questo midrash viene raccolto da tutti i commentatori, da Augusto Segre a Elie Wiesel.
Certo è che la risposta attribuita ai due fratelli è fondante una teologia, ma non basta a Faraone che in fondo chiede di vedere il loro D-o e i due non solo non sanno collocarlo in un tempo e in uno spazio, ma non sanno nemmeno il suo nome.
"Egli ha teso il cielo ed ha posto le fondamenta della terra, la sua voce si manifesta attraverso scintille di fuoco, Egli scuote i monti e spezza le rupi, il suo arco è fuoco, le sue frecce sono fiamme, la sua lancia è una face ardente, la sua spada è il lampo. Egli crea le montagne, copre i cieli di nubi, fa scendere la pioggia e la rugiada, fa spuntare le erbe e maturare i frutti, risponde al grido delle partorienti, prepara il feto nell'alvo materno e poi lo fa uscire alla luce del mondo, depone i re e li innalza al trono".
Chi è dunque questo D-o senza nome? Dov'è il suo regno sulla terra? Come si può credere a chi non si vede? E' una delle obiezioni più frequenti che le menti semplici degli atei o degli agnostici oppongono anche oggi ai credenti.
Ma noi, come possiamo comprendere colui che è oltre il mistero e la meraviglia, per usare le parole di Herschel, come parlare di colui che non ha nome e che chiamiamo con molti nomi?!
Maimonide scriveva: "Questi concetti così profondi, che quasi trascendono la comprensione della nostra mente, non possono essere espressi facilmente a parole. Le parole sono una delle principali fonti di errore perchè, qualunque sia la lingua che noi usiamo, troviamo il disturbo delle restrizioni che essa impone alla nostra espressione... Ragionate in cuor vostro sui vostri letti e tacete".
Secondo Maimonide è impossibile addurre prove dell'esistenza di D-o (Ricordiamo che Maimonide ragiona in chiave Aristotelica). Se si muove dalla realtà fisica non si giunge a provare l'effettiva realtà di D-o, nè vi si giunge movendo da realtà astratte che siano frutto della propria mente. Bisogna comprendere la verità nella sua totalità. A proposito di Maimonide Scrive Joseph Sermoneta: "E' errato tentare di giungere sino alle dimostrazioni fondamentali sulle quali dovrebbe basarsi la rispondenza tra un discorso umano e razionale da un canto e la fede in qualcosa che appartiene ad una sfera che non ci è dato conoscere dall'altro. La nostra realtà infatti non è la realtà di D-o".
"Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere", scriverà secoli dopo Wittgenstein, ebreo.
E oggi il grande architetto Peter Eisenman, ebreo, deriva le sue poetiche costruttive, i codici dell'architettura ebraica, dalla negazione della presenza. Cancellate le percezioni sensibili di un antropocentrismo dominante nella cultura greco-cristiana, Eisenman crea lo spazio della "assenza della presenza", di un Dio irrapresentabile e perfino innominabile. "Astratte sono tutte le figure del corpus symbolicum ebraico, l'astrazione è la grafia originaria". Lo spazio nella sua tensione ebraica fra memoria e messianesimo diventa un ontologia, luogo della conoscenza della dimensione universale di D-o e non delle determinazioni particolari, gli enti."
Dunque che può dire Faraone dinanzi a questa presenza della assenza di D-o?
Sfida, sul piano della concretezza, la parte di sè che non sa comprendere, il sublime, la risposta al mistero. Non sa elevarsi sopra la sua propria sapienza, nel limite dei suoi confini, la materia.
Scrive Herschel: "Nella speculazione tradizionale la meditazione intorno a D-o si è svolta via eminentiae, cioè secondo il procedimento dal noto all'ignoto. Il nostro punto di partenza, invece non è il noto, il finito, l'ordine, bensì l'ignoto nel noto, l'infinito nel finito, il mistero nell'ordine ....... La certezza della realtà di D-o non deriva dall'esperienza ma dalla nostra incapacità di sperimentare ciò che viene offerto al nostro spirito. Non è l'ordine dell'esistenza che provoca la nostra comprensione, bensì ciò che vi è di trascendente nella contingenza di qualsiasi ordine, le allusioni alla trascendenza contenute in tutti gli atti, in tutte le cose. La nostra certezza scaturisce dalla meraviglia e dall'assoluto stupore, dal timore provato di fronte al mistero e al significato della vita al di là del nostro discernimento razionale".
Per questo Faraone chiede prove a Mosè e Aharon, ma non comprende nemmeno l'intervento di D-o nella storia nelle calamità che si abbattono sulla sua terra e sul suo popolo.
Eppure nel Sefer haKuzari Yehuda haLewi fa dire al saggio Ebreo chiamato nella disputa, che la conoscenza di D-o non deriva dalla contemplazione del cosmo, ma da quella della storia del popolo ebraico che, a differenza delle altre religioni monoteiste, crede in un D-o nazionale, quello di Avraham, Ytzhak e Ya'akov, perchè solo nella Storia si coglie l'intervento divino nelle attività umane. Un D-o che agisce nella storia e che ha scelto il popolo di Israele come suo popolo. Quando il re dei Kazari gli chiede come mai parli di un D-o nazionale e non di un D-o creatore, il saggio Ebreo risponde che il D-o universale e creatore è quello dei filosofi, dell'intelletto e al filosofo contrappone la figura del Profeta, intesa come superamento della speculazione filosofica.
Questa però è l'intenzione di chi deve dimostrare la potenza di D-o, quella che useranno lo stesso Mosè e Aharon nei confronti di Faraone con la successione delle piaghe, ma il D-o di Mosè è ancora quello senza nome e figura che a lui si rivela.
Shabbat shalom
Israel Eliahu  

mercoledì 2 gennaio 2013

SHABATH 23 TEVET 5773 - 4/5 GENNAIO 2013

 
 

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  16.37
Havdalah     ore  17.39
Per le altre località vedi  http://www.myzmanim.com/search.aspx

PARASHAH SHEMOTH: Sh. 1,1 - 6,1
HAFTARAH SHEMOTH: Yrmeyah 1,1 - 2,3


Con la parashah Shemot inizia il nuovo libro della Torah, appunto Shemot o Esodo.
Il primo interrogativo che questo racconto ci pone è quello del perché da una situazione di privilegio, come quello della vita degli Ebrei ai tempi di Giuseppe, ci si trova ora in una situazione di sudditanza e schiavitù. Siamo di fronte alle radici dell'odio antico, l'odio contro il popolo ebraico.
Scrive Piero Stefani: "Nel corso dei secoli l'autodefinizione ebraica si è articolata in riferimento a tre ambiti: Torah, Popolo e Terra. Una triade irrinunciabile che in sostanza non si è data mai in una situazione storica in cui questi tre fattori fossero fra loro saldamente integrati.

Ogni antigiudaismo e ogni antisemitismo colpisce in un modo o nell'altro l'unione di questi tre termini, dando di volta in volta il predominio ad uno di essi. L'antigiudaismo cristiano ha dato maggior peso alla Torah, l'antisemitismo moderno al popolo, l'antisionismo contemporaneo alla terra. La triade Torah, Popolo, Terra si presenta così nella storia come spazio attorno a cui si è coagulata una violenza subita che ha ben pochi riscontri nella storia del mondo".

Ma questo può spiegare le radici dell'odio antico? Perché Faraone teme gli Ebrei e vuole soggiogarli?

I numeri che esprime la Torah sulla popolazione Ebraica ai tempi di Moshè andrebbero meglio interpretati. Suggerisce Auerbach che se ci fossero stati realmente 2 milioni e mezzo di Ebrei in Egitto non avrebbero avuto bisogno di affrancarsi, semplicemente lo avrebbero soggiogato.

Possiamo estendere alla storia ebraica nel mondo antico quello che Manganelli definisce, in riferimento alla cultura occidentale, come la paura o meglio l'orrore di stessi o di quello che non si è, ma riconosciuto negli altri?

"Ora, l’ebreo è sempre stato l’uomo dell’altrove, e in questo senso è stato lo scandalo, giacché egli era ciò appunto che all’occidentale si chiede di essere, e che l’occidentale rifiuta di essere. L’antisemitismo non è un fenomeno di malvagità politica, troppo lunga è la sua storia per non sospettare che nasconda qualcosa di terribile, una sorta di follia che sempre colpisce chi froda se stesso e mente sul proprio destino. E l’Occidente è vissuto di frode. Ora la presenza ebraica continuamente e con molta dolcezza - ciò che fa impazzire - tocca e svela la frode.
Vorrei fosse chiaro che non di una dottrina, di una fede ebraica sto cercando di parlare, ma di una condizione, una collocazione nel mondo, e soprattutto, come dire, una angolatura dell’anima; come se gli ebrei guardassero da un’altra parte, verso cose che noi non osiamo guardare".

Ma perché Faraone non vuole liberare gli Ebrei che se ne vogliono andare alla ricerca di un'altra terra?

Se mai vi fosse capitato di leggere il racconto di Hugo Bettauer La città senza Ebrei, forse avreste la risposta. Ecco in sintesi il racconto: Il parlamento austriaco promulga un editto per scacciare gli Ebrei dall'Austria e Vienna entra subito in crisi. Le banche, le industrie, i negozi, i leggendari teatri e i celebri caffè chiudono. La moda propone solo squallidi loden tirolesi e la letteratura diventa da strapaese montanaro. Il mondo economico e culturale implode. Allora gli Ebrei vengono richiamati a gran voce e tornano in una festosa cornice di tolleranza. Come sapete la verità fu ben diversa e anche il nostro autore fu ucciso nel 1925 da un giovane nazista.

* * * *

Ebbene ci dice Augusto Segre in "Mosè nostro maestro" che secondo un Midrash la nuova generazione succeduta a Giuseppe aveva iniziato un processo di assimilazione mescolandosi con la popolazione egiziana, assumendone i costumi. Si cominciò a trascurare anche la mitzvah della milah allora il Signore disse: "Poiché non osservano più questa mitzvah verrà meno la simpatia che godevano in questo paese e saranno odiati".

Si presenta il drammatico percorso degli Ebrei in galut: odiati per la loro autoreferenzialità, isolati socialmente e intellettualmente per la loro diversità, percepiti come un elemento estraneo ad un sistema sociale; oppure detestati qualora abbiano tentano l'assimilazione in una cultura o popolazione ospitante perché percepiti come la metastasi di un sistema nel quale non ci si riconosce e che invece tenta di fluidificarsi.

Gli Ebrei, si dice, sono come i granelli di lievito in grado di far fermentare un sistema o una società, contribuendo in modo determinante al suo progresso e al suo sviluppo. I meccanismi di autodifesa di popolazioni "autoctone" si attivano nel momento in cui si percepisce come conflitto una pacifica e salutare coesistenza.

Ma tutto questo potrebbe spiegare le tragedie della storia ebraica?

Certo che nella parashah di questa settimana si delinea una situazione che sarà iterata nella storia e si ripresenterà nelle forme più terribili che l'umanità possa ricordare.

La storia che vede Moshè ergersi guida del popolo di Israele, per la prima volta nel racconto della Torah non è più quella di una saga familiare ma quella di un popolo che trova la sua identità e coesione nella fede nel D-o unico. Da questo momento comincia il cammino del popolo Ebraico nella storia dell'umanità, il cammino che ci porterà ad abbattere il principio di soggettività, il principium individuationis, per raccoglierci in un'unica indissolubile identità, quella di Israele, che prelude alla venuta del Mashiach, paradigma del percorso che ognuno di noi deve compiere ogni giorno per affrancarsi dal proprio Egitto.

Shabbath shalom

Israel Eliahu