ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 17,48
Havdalah ore 18,46
Parashah Va-iqrà Levitico I, 1 - V, 26
Haftarah di Va-iqrà Isaia 43,21 - 44,23
Con questa Parashah comincia ויקרא Va yqra, il libro che in Italiano è stato tradotto come Levitico. In Ebraico Va yqrà (potete trovarlo scritto anche Vaikrà) significa propriamente E (D-o) chiamò.
Si tratta di 27 capitoli che si riferiscono a leggi che lo stesso Mosè ha dato ad uso dei Leviti, della tribù di Levi, cui era stato dato il compito di sorvegliare il Mishkhan e dei Cohanim.
È un libro essenzialmente legislativo. Leggi che regolano il culto, la giustizia sociale, la morale, leggi sulla purità (norme alimentari, unioni vietate) e le istituzioni religiose come appunto i sacrifici di cui si occupa la nostra parashah.
La distruzione del tempio e la dispersione in galut hanno segnato la fine del culto sacrificale e il korban è stato sostituito dalla preghiera, rimarcando ancora di più la dissoluzione del concetto di spazio nell’ebraismo a favore della dimensione temporale e aniconica.
Il profeta Osea aveva vaticinato “L’offerta dei giovenchi sarà sostituita dalle parole delle tue labbra.” (Osea 14, 3)
Scrive Kopciowski: “Il culto sinagogale ha continuato a costituire così come un tempo il culto sacrificale … una ‘avodah she-ballev, un culto del cuore, un korban che avvicina all’eterno. Il nostro culto deve continuare ad essere, come all’epoca in cui si sacrificava sull’altare del Tempio, un fuoco che sale verso D-o, una fiamma che illumina la nostra anima, che riscalda il nostro cuore, che proietta la sua luce intorno come un’aura divina”.
Questa dimensione verticale dell’offerta, del rapporto quasi personale con D-o rappresenta il distacco dai culti sacrificali idolatri, realizzato attraverso una serie di regole e prescrizioni che liberavano i sacrifici dai legami con culti di altre popolazioni permeati di atti di magia o contro i propri simili.
Nel culto sono rimaste molte tracce del korban, si pensi al valore simbolico della zampa d’agnello nel seder di Pesach o all’afiqomen, entrambi in memoria e sostituzione del sacrificio di Pesach; o alla therumà che viene prelevata dalla pasta del pane in memoria della porzione che veniva data al Cohen; oggi si usa bruciarla recitando la relativa berakha: ........... lehafrish challà therumà.
È interessante vedere come molti sacrifici siano legati alle leggi della purificazione, in particolare quelli che interrompevano per un tempo determinato la partecipazione alla vita comunitaria e cultuale. Ad esempio si diventava impuri toccando un cadavere o una carogna animale; per malattie della pelle o la lebbra come metafora del deterioramento del corpo; con atti connessi alla vita sessuale.
Per liberarsi da questi stati e ritornare al culto e alla vita comunitaria si ricorreva a sacrifici di riconciliazione, di purità.
In tutti questi casi si può notare il grande senso di giustizia sociale che garantiva l’accesso ai riti e alla vita religiosa a tutte le categorie sociali, compresi coloro che non possedevano animali per il sacrificio, che potevano essere sostituiti con un decimo di efah di farina.
Ad esempio, alla nascita di un figlio la donna diventava impura per sette giorni se aveva partorito un maschio o quattordici se una femmina; inoltre veniva esclusa dal Santuario per venti giorni o quaranta. Doveva quindi offrire come sacrificio espiatorio una tortora e come olocausto un agnello, ma se la famiglia era povera erano sufficienti due tortore o colombi, l’una come espiazione l’altra come olocausto.
Il lebbroso che si riteneva guarito dopo essere stato allontanato dalla comunità o confinato in luoghi destinati ai lebbrosi, doveva essere sottoposto ad alcuni riti simbolici. Prima di riammetterlo alla comunità i Cohanim portavano una coppia di uccelli, naturalmente considerati puri, come colombi o tortore, una fronda d’issopo simbolo della purezza, un pezzo di legno di cedro simbolo dell’incorruttibilità, della lana porporina simbolo della vita e un vaso di terracotta pieno di acqua di sorgente simbolo di purità. Uno degli uccelli veniva sacrificato sul vaso cosicché il sangue colasse nell’acqua, poi l’issopo, il cedro e la lana legati assieme e intinti nell’acqua. Anche l’altro uccello veniva bagnato nell’acqua. Poi il lebbroso veniva spruzzato sette volte per renderlo libero da ogni impurità e l’uccello veniva lasciato al libero volo. Nel Salmo 51, 9 troviamo “techatte'eni ve'ezov ve'ethar techabbeseni umissheleg albin. Aspergimi con issopo e sarò puro, lavami e diventerò più candido della neve”. Il rito proseguiva poi con la riammissione del lebbroso alla comunità, e l’ottavo giorno si offriva un sacrificio espiatorio.
Ma questa è materia delle prossime Parashot.
Shabbat shalom
Israel Eliahu
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