giovedì 25 aprile 2013

SHABBATH 17 IYAR 5773 / 26-27 APRILE 2013

 
Albert Benaroya: Havdalah

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  19.25
Havdalah             20.26
Per le altre località vedi  http://www.myzmanim.com/search.aspx

PARASHAH EMOR: Vayqra 21 - 24
HAFTARAH Yechezqiel 44, 15-31
 
In questa Parashah vengono date le festività di Israele. Fra queste Shavuʽot. Poiché è la nostra prossima festività colgliamo l’occasione per parlarne. Shavuʽot cade il 6 del mese di Sivan, ma questa data non è stabilita dalla Torah. Quest’anno, nel calendario gregoriano è mercoledì 15 maggio. È una festa prescritta dalla Torah (Devarim16, 16) ed è una delle Sheloshà Regalim, ovvero di quelle feste che comportavano il pellegrinaggio a Yerushala’m, insieme a Pesach e Sukkot. Shavuʽot è diversa dalle altre Sheloshà Regalim, infatti dura un sol giorno, ovviamente due in Galut, in diaspora (per la verità Il Chatam Sofer dice che in effetti non ci sarebbe la necessità di un secondo giorno a Shavuot perché cade 50 giorni dopo Pesach e conoscendo la data di Pesach non c’è il dubbio dell’errore; ma aggiunge che in questo caso il precetto rabbinico mira a rafforzarci per due giorni nel ricevere il Mattan Torah). Questa brevità rispetto a Sukkot e a Pesach accentua ancora di più la sua importanza proprio per il rapporto diretto con D-o nell’evento più importante della storia dell’umanità, ma è anche vero che questa festa viene preparata, potremmo dire maturata per tutto il periodo del ʽOmer.
Shavuʽot letteralmente significa settimane, ma al tempo dell’ebraismo greco fu denominata Pentecoste. Sette sono infatti le settimane che la separano da Pesach, cinquanta sono i giorni. Nella Torah si chiama ʽAtzeret che significa conclusione, ovvero fine dei quel periodo di conteggio del ʽomer detto sefirà, che rappresenta quel tempo di rieducazione, di formazione dell’uomo al fine di essere pronto per ricevere dono della Torah, il Mattan Torah, che nel giorno di Shavuʽot ricordiamo, e che è il momento centrale della rivelazione ebraica. Dobbiamo intenderlo anche come progressiva purificazione, che nella nostra società deve comportare anche una disintossicazione da tutti gli elementi di corruzione del nostro quotidiano. Essere pronti al dono della Torah non è così semplice. Pensate al vitello d’oro, evento idolatrico possibile solo perché una parte del popolo che era fuggito dall’Egitto non era in condizioni di ricevere la legge di D-o. Essere fedeli della Torah non è semplice in un contesto culturale e sociale come quello in cui ci troviamo e con tutte le tentazioni di facile idolatria che ci vengono offerte. Dice Benamozegh “La prima condizione per farsi dappresso alla collina è l’animo libero, padrone di sé. Indipendente da ogni mortale sudditanza”. Jonathan Pacifici scrive che “studiare la Torah è un uccidere il proprio ego. Per mantenere la Torah è necessario un processo rieducativo alla ricerca del proprio io che parte necessariamente dalla Torah del Signore per giungere alla nostra Torah”.  
Benamozegh aggiunge “Ma Israele non solo è libero, ma è uno! … la rivelazione bisogna guardarla, intenderla, interpretarla non con gli occhi, non con la mente dell’individuo, ma con quelli della nazione, non col criterio scismatico, egoistico, dissolutivo di ogni singolo intelletto, ma con quello comune, sintetico, collettivo del popolo, di tutti i tempi, di tutti i luoghi … Davanti alla rivelazione deve sparire l’individuo e restare il popolo”. In queste parole c’è il senso ultimo di Israele, ma con l’umiltà di sapere che essere il popolo eletto significa portare avanti un ministero, una missione di salvezza per l’intera umanità. El ʽolam, D-o dell’universo! Come Adam fu simbolo e fonte di tutto il genere umano, il ritorno all’Adam Kadmon, l’Adam archetipale, l’antico Adamo unitario, sarà per tutti gli uomini perché il Signore a tutti gli uomini ha dato la sua Torah.
Come sempre la festa religiosa, di definizione rabbinica, si innesta su una antecedente festa legata al ciclo della natura e dell’agricoltura. Per questo motivo ha altri nomi: Chag haBikkurim ovvero festa delle primizie, perché in questo giorno si portava al Tempio, al Bet haMikdash, il pane impastato del frumento prodotto in quello stesso anno e le sette primizie della Terra di Israele, cioè frumento, orzo, uva, melograno, datteri, fichi, olive.
Si chiama anche Chag haZakir cioè festa della mietitura e in questo giorno è prescritto di leggere la Meghillat Ruth, il cui narrato si svolge proprio al tempo della mietitura e che per la nostra Comunità ha un valore particolare in quanto racconta di quel legame miracoloso che conduce le persone alla fede ebraica. La Meghillat Ruth è un testo che troviamo fra gli agiografi; racconta, come sapete, la storia di Ruth la Moabita che va in sposa ad un Ebreo. Rimasta vedova decide autonomamente di condividere la vita di Israele restando con la suocera Noemi, abbracciando la fede ebraica e successivamente si risposa con un altro Ebreo, Boʽaz, dando origine a quella stirpe da cui nascerà il Re Davide e dalla quale, secondo i nostri Maestri, discenderà il Mashiach.
Ma il carattere principale per il quale noi festeggiamo Shavuʽot è perché in questo giorno noi ricordiamo e celebriamo -ed ecco un altro nome di Shavu’ot- il tempo del dono della Torah: Zeman Mattan Toratenu. Questa è, come scrive Benamozegh, la ricorrenza della Rivelazione, l’eterna verità del Sinai. La grande teofania in cui D-o, per bocca di Moshè, “parla a tutti noi, nella lingua che ognuno di noi sa comprendere, che ci entra dentro nel cuore, nel midollo della ossa” perché, scrive ancora il grande rabbino “la verità si esprimeva nel misurarsi e proporzionarsi e modularsi secondo le forze fisiche e morali di ognuno, secondo il sesso e l’età, l’intelletto e le condizioni”. Dicono i dottori del Talmud che non fu solo l’ebraico la lingua della rivelazione sinaitica ma settanta lingue, tutte le lingue della terra degli uomini cosicché tutti la comprendessero”. Vi leggo questo passo dalla prima delle cinque lezioni di Benamozegh su Shavuʽot che potete trovare in un volume edito dall’Editore Belforte:
“È infine dalla Tradizione che sappiamo come tutto nella Rivelazione del Sinai esprimeva quella prerogativa grande, suprema, unica, che ha l’ebraismo di farsi tutto a tutti; di farsi come Elia piccino coi piccini per dar loro vita, di essere latte pei bimbi, miele pei giovani, vino per i vecchi, olio per i malati, di essere come la manna che prendeva tutti i sapori per contentare tutti i gusti, di essere poesia per i poeti, storia per gli storici, legge per i legali, erudizione per gli eruditi, morale per i filantropi, teologia per i teologi, di avere un linguaggio per il popolo, un altro per i dotti, un terzo pei positivi, un quarto per i contemplativi, di essere letterale, anagogico, allegorico, teologico (ricordate i 4 livelli Peshat, Remez, Darash, Sod, insomma il Pardes) e nel Peshat cento forme, e nel Remez e nel Daresh e nel Sod cento e cento forme e altre così e senza fine quante sono le generazioni e gli individui che si succedono, sempre restando uno, sempre lo stesso…” Ecco, vedete, il dono della Torah è per ciascuno di noi “come l’acqua piovana che scende dal cielo e diventa vino nelle viti, olio nelle olive, sapori umori e odori e farmaci infiniti nelle infinite famiglie di frutti di fiori…”
Ecco che questo ricordare il Mattan Torah è responsabilità di ognuno di noi, perché tutti personalmente siamo stati chiamati da D-o a testimoniare il dono di esistere e di vivere secondo le leggi della Torah.
A proposito di fiori, sapete che a Shavuʽot è tradizione, secondo il minhag di molte comunità, di portare fiori nelle case e in Sinagoga per ricordare con gioia il dono della Torah.
La tradizione vuole che le parole divine fossero accompagnate da un profumo, una fragranza celeste che riempì il creato, ma non è questa l’unica motivazione a questa usanza che non sembrerebbe specificatamente ebraica. Pensate ad esempio come nei cimiteri ebraici non sia consentito l’omaggio dei fiori proprio perché simbolo di esteriorità. Va detto comunque che nel medioevo, in testi cabalistici ed in particolare nello Zohar, la rosa assume un significato particolare con corrispondenze fra la disposizione dei petali ed alcuni versi di Bereshit, nella costruzione di un fiore simbolico. Scrive Giulio Busi che nel Tiqqune ha-zohar, un testo degli inizi del trecento, l’autore determina una relazione fra i componenti della corolla e le lettere del Tetragramma in una lettura rovesciata. Scrive Busi: “Ben lungi dall’essere il risultato di un semplice capriccio simbolico, questo Nome speculare è in realtà del tutto coerente con lo statuto simbolico della rosa mistica, segno visibile della sefirat Malkhut (del Regno) che secondo la tradizione cabbalistica è lo specchio opaco nel quale si riflette l’emanazione superna: la rosa accoglie metaforicamente la potenza divina e ne manifesta l’intensità”.
Ancora un Midrash costruito sul verso “Come una rosa fra le spine” (Shir Hashirim 2, 2) racconta di come un giardino incolto fu salvato in virtù del fatto che un re vi trovò una rosa profumata e se ne deliziò. Dice il midrash: “Analogamente, tutto il mondo non fu creato se non in grazia della Torah. Dopo 26 generazioni il Santo, Benedetto Egli sia, osservò il mondo, per rendersi conto di ciò che aveva  prodotto, ma non vi trovò che acqua: la generazione di Enoch: acqua; allora chiamò i distruttori perché venissero a demolire il mondo, ma in quel momento scorse una bella rosa, cioè Israele, la colse, ne gustò il profumo quando pronunciò i dieci comandamenti, se ne deliziò quando tutto Israele disse: “faremo e ascolteremo ciò che D-o ha comandato” (Shemot 24, 7).
Allora il Santo, Benedetto Egli sia, disse: “Per questa rosa sarà risparmiato il giardino, vale a dire: per merito della Torah e di Israele il mondo sarà salvo” (Vajkra Rabba 23).
Come dicevamo l’addobbo di fiori è relativo al minhag di ogni comunità. A Roma Shavuot viene anche chiamata Pasqua Rosa.
Poiché questo costume deriva per lo più da midrashim, è ovvio chiedersi se è lecito derivare una halachà da un Midrash. A tale proposito Rav Somekh risponde che questo è possibile purché “non sia in contraddizione con altre fonti halachike”.
A Shavuʽot è  consuetudine comune consumare latticini. Questo è dovuto, come è da tutti accettato, al fatto che Israele è il paese del latte e del miele ed è questa la promessa che fa il Santo Benedetto al Suo popolo e la Torah è lo strumento che costruisce Israele. La tradizione dice che lo studio della Torah ha il sapore del latte e del miele; ma si dice anche che il latte è l’alimento materno e il popolo di Israele è come un bambino cui la Torah dà nutrimento.
Un’altra spiegazione è riferita al fatto che quando gli Ebrei ricevettero la Torah non erano ancora esperti della shechità, la macellazione rituale e quindi si astennero dal mangiare carne. Qualcuno aggiunge che il valore numerico della parola chalav (latte) è 40 secondo la gematria, come i 40 giorni trascorsi da Moshè sul Sinai.
Il latte è bianco e il bianco è anche il colore della trascendenza, dell’elevazione spirituale, della purificazione ed è questa la condizione in cui noi dobbiamo giungere a questo appuntamento con la redenzione e la sacralità. Questi cinquanta giorni che ci hanno condotti da Pesach al Mattan Torah sono un periodo di costruzione spirituale che ci conduce dal rosso del sangue di Pesach al bianco di Shavuʽot. Dalla Testimonianza che il Signore ci ha condotti fuori da ogni Egitto alla nostra confermazione nella sua legge.
Potete trovare anche nello Zohar un capitolo in qualche modo connesso con queste tematiche: Del bianco e del rosso delle rose e del profumo della preghiera. Potete trovare l'edizione critica del testo completo per cura di Giulio Busi edito da Einaudi nella collana I Millenni.
Shavuʽot è giorno festivo per cui si seguono tutte le regole dello yom tov, con l’accensione dei lumi, il Kiddush e l’Havdalà.
La particolarità è che la prima sera di Shavuʽot  si attende la comparsa delle tre stelle prima di recitare Arvit per fare in modo che il conteggio del ʽOmer sia completo, come è scritto: “Saranno sette settimane complete” (Vaykrà 23,15).
Chiudiamo con questo insegnamento tratto dal Talmud Bavli, Shabbat 31°:
Una volta un pagano andò da Shammaj e gli disse:
“Mi converto al giudaismo a condizione che tu mi insegni tutta la Torah mentre io sto su un piede solo”.
Con un bastone in mano Shammaj lo cacciò subito.
Il pagano andò allora da Hillel e di nuovo espresse il suo desiderio:
“Mi converto al giudaismo a condizione che tu mi spieghi tutta la Torah mentre sto su un piede solo”.
Hillel lo accolse nel giudaismo e lo istruì in questo modo:
“Quello che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri! Questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va e studia!”.
Shabbat shalom
Israel Eliahu

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