Accensione ore 19.53
Havdalah 20.54
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PARASHAH ʽEQEV: Devarim 7,12 - 11,25
HAFTARAH: Yeshaʽyahu 49,14 - 51,3
In
questa parashah emerge ancora una volta il progetto religioso e
politico di Israele e la raccomandazione di Moshè ad una coesione di
tutti gli Ebrei sotto lo stesso vessillo universale che è la legge della
Torah.
L’idea di Israele, secondo la visione di Maimonide, è quella di una identità collettiva che, risolta la frammentazione del principium individuationis, si compatta sulla idea aristotelica intesa come struttura, come ossatura.
In
questa idealità si intravede, secondo Martin Buber, la secolarizzazione
socialista della escatologia ebraica. Escatologia religiosa certo, che
trascendendo il messianismo si ricompone in una utopia da realizzarsi nella storia. Per questo il modello collettivistico del sionismo primitivo realizzato nel kibbutz non rimanda solo ad un modello utopico
comunitario ma ad un’idea che trova suo fondamento nel progetto divino
su Israele; progetto che non è tensione ad un futuro ultramondano ma
concreta realizzazione in terra di un mondo di giustizia sociale che da
qualche millennio si propone come modello plasticamente sopravvivente
alle devastazioni e ai mutamenti della storia e delle idee che sono
fiorite e miseramente scomparse nell’avvicendarsi delle epopee umane.
Questo modello, quello che la legge della Torah dispone, è stato
trafitto da ideologie che poco hanno a che fare con lo spirito di una
religiosità, che trova compimento in Israele e non in universalismi
transnazionali.
“Il messianismo si è affermato -scrive Lévinas- soprattutto ad opera dei profeti, come
irresistibile spinta verso un futuro di giustizia qualitativamente
diverso dal presente, capace di orientare la storia e di alimentare la
speranza di redenzione”.
Buber
pensa che questo sogno escatologico possa essere realizzato nella
storia: “Escatologia significa compimento della creazione, utopia
esplicazione delle possibilità di un ordinamento giusto latenti nella
convivenza umana. Più importante è un’altra differenza. Per
l’escatologia profetica, anche se nella sua forma elementare, si assegna
all’uomo una rilevante parte attiva nell’avvento della redenzione,
l’atto decisivo viene dall’alto; per l’utopia tutto è soggetto alla
cosciente volontà umana, tanto che si potrebbe addirittura definirla
come un’immagine della società in cui non vi sono altri fattori
all’infuori della consapevole volontà dell’uomo”.
Dobbiamo
realizzare politicamente il regno di D-o fra gli uomini, concretizzare
le istanze che non sono solo religiose, contenute nella Torah, come
concreta estensione di una teologia sociale. La religione deve essere la
garanzia della politica, il suo scheletro. Ognuno di noi, nel
compimento di Israele, deve essere strumento della volontà divina e
della sua legge, i cui dettami sono assoluti e perenni.
Se
secondo Buber uno stato non è mai morale, se è necessario evitare le
pastoie di uno stato etico è comunque necessario che il fondamento di
uno stato Ebraico debba essere una legge che fondi sé stessa sugli
assoluti teologici. I Devarim sono divisi chiaramente su quanto dobbiamo
a D-o e quanto dobbiamo agli uomini. Se stessimo su un piede solo ad
ascoltare la Torah, come sapete, faremmo presto. La giustizia sociale è
riflesso e conseguenza di quanto è espresso negli assoluti che abbiamo
riletto nella Parashah della scorsa settimana. Nulla da togliere, nulla
da aggiungere. Se l’osservanza da parte dell’intero Israele fosse totale
avremmo concretizzato un processo di giustizia sociale, politica e
religiosa.
Shabbath shalom
Israel Eliahu