ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 17.34
Havdalah 18.33
PARASHAH KI TISSA: Shemoth 30,11 - 34,35
HAFTARAH KI TISSA: Melakhim I, 18, 1-19
Shalom
Prima di
affrontare l'approfondimento settimanale vi propongo la lettura del seguente
Midrash; come già sapete un midrash,
dalla radice darash ricercare, è un racconto
omiletico che approfondisce l'indagine esegetica dei testi Sacri. Il midrash
haggadico ha un contenuto narrativo mentre quello halachico ha un contenuto
giuridico. A volte hanno una funzione didascalica, ma spesso tendono ad
attualizzare e comprendere problemi dell'epoca in cui furono scritti; scevri di
schematismi e voli filosofici affrontano in maniera concreta, reale, i temi che
vengono interpretati. Eccovi il testo che fa riferimento alla nostra
parashà:
"Il popolo vide che Mosè tardava"
(Es. 32, 1).
Era giunta
l'ora sesta (gioco linguistico fra boshes tardava e
ba-shesh era
venuta l'ora sesta) e Mosè non era ancora disceso, mentre quando era salito sul
monte aveva annunciato ai figli di Israele: di qui a quaranta giorni, al
principio dell'ora sesta io tornerò.
Allo scadere dei quaranta giorni, si formò una moltitudine di
quarantamila persone, costituita in gran parte da quegli elementi sospetti che
si erano aggregati agli Ebrei al momento dell'uscita dall'Egitto; li
accompagnavano anche due taumaturghi egiziani, Junos e Jumbros, quegli stessi
che dinanzi a Faraone facevano atti di magia, come è scritto: "ed anche i
taumaturghi dell'Egitto fecero così, con le loro arti magiche" (Es 7,
11). Tutta questa moltitudine si presentò ad Aharon dicendo: ormai Mosè non
torna più.
- No, sta
scendendo dal monte - dissero Aharon e Chur.
Ma quelli non vi fecero caso.
Secondo altri fu il Satan che venne a confondere il mondo e disse
agli Ebrei:
-
Dov'è il vostro maestro Mosè?
- È
salito sul Sinai - gli risposero.
- Ma se è giunta l'ora sesta! -
Ma anche
a lui non fecero caso.
- Ma se è morto! - disse allora il Satan.
Non gli badarono ugualmente.
Allora il Satan mostrò loro, come sospesa fra cielo e terra, la
bara di Mosè, sicché quelli, mostrandola a dito, dicevano:
"Sì, questo è l'uomo Mosè" (Es 32, 1). In quel momento Chur
si levò e rimproverò aspramente il popolo dicendo: "O gente dalla dura cervice,
non ricordate più quanti miracoli il Signore ha fatto per voi?"
Tutti gli si sollevarono contro e lo uccisero. Poi adunatisi alla
presenza di Aharon gli dissero: "se tu ci costruisci un idolo bene, altrimenti
faremo a te quello che abbiamo fatto a Chur".
Vedendo ciò, Aharon si spaventò e prese a intrattenerli con
discorsi. Disse loro: "staccate i monili d'oro che sono agli
orecchi delle vostre donne" (Es 32, 2). Era come chiedere una cosa
impossibile, alla quale le donne si sarebbero opposte. Infatti, recatisi gli
uomini dalle proprie mogli, queste si rifiutarono e dissero: "D-o ne guardi dal
rinnegare il Santo Benedetto Egli sia, che ha fatto per noi tanti miracoli e
prodigi! D-o ci tenga lontano dal fabbricare un idolo!" E siccome esse non
vollero assecondare la richiesta, "allora tutti gli uomini del popolo
staccarono i monili che avevano ai propri orecchi" (Es 32,3).
Disse Rabbi Jrmeja: quando Aharon vide che portavano i monili levò
gli occhi al cielo e disse "a Te alzo i miei occhi, a Te che dimori nei
cieli! (Sal 123,1). Tu che conosci tutti i pensieri, sai che io faccio
l'idolo mio malgrado". Gettò quindi l'oro nel fuoco, vennero i taumaturghi
egiziani e con le loro arti magiche fabbricarono l'idolo.
Secondo
altri un certo Micha che, a suo tempo, Mosè aveva salvato traendolo fuori da un
edificio dove era stato murato, prese una tavola sulla quale era scritto "sali o
vitello", la gettò nella fornace e ne uscì un vitello che muggiva e saltellava.
A quella vista il popolo cominciò a dire "questo è il tuo Dio o
Israele" (Es 32,4). da Riccardo Pacifici: Midrashim
fatti e personaggi biblici.
Questo midrash è parzialmente assolutorio nei confronti delle
responsabilità di chi volle la costruzione della scultura idolatra.
Alcuni commentatori sostengono che in realtà il popolo non voleva
sostituire con l'idolo il D-o di Israele ma semplicemente la guida Mosè che non
ritornava.
Questa interpretazione non è condivisa da moltissimi chiosatori
che, anzi, leggono le scuse di Aharon come una stonata non assunzione della
propria responsabilità. Dobbiamo inoltre tener conto che la figura del vitello,
del toro, aveva dei vincoli molto radicati nella cultura religiosa di tutti i
non Ebrei, quella moltitudine mescolata che si era aggregata al popolo di
Israele che era uscito dall'Egitto.
Il culto totemico del toro, diffuso già nel mondo preistorico, era
conosciuto presso i Babilonesi che lo adoravano col nome di Ninib o Moloch,
presso i Fenici che lo conoscevano col nome di Hadad, ma era fortemente presente
nei culti idolatri egiziani come incarazione di Osiride, o come il sacro toro
Apis, incarnazione di Ptah. Apis rappresentava la potenza del faraone, uno dei
cinque nomi del quale era "toro possente". Tra l'altro veniva adorato un solo
toro; alla sua morte veniva imbalsamato e si procedeva alla ricerca di un'altra
incarnazione del Dio. Nella morte Apis diveniva un Osiride, Osiris Apis ovvero
quel Serapis che veniva adorato anche da Greci e da Romani.
Secondo alcuni studiosi una derivazione cananeo-palestinese di
questa divinità è rintracciabile anche nelle civiltà nuragiche
sarde.
Dunque
una figura divina talmente diffusa nelle antiche civiltà mediorientali e
mediterranee che non può stupire che potesse essere evocata da un patrimonio
comune radicato in quelle persone che pur non essendo ebrei avevano seguito
Israele fuori dall'Egitto. Si tenga conto anche che un dio egiziano, il
maligno Set, il cui volto era zoomorfo, seppure di un animale difficilmente
classificabile, era considerato il dio del deserto e dei popoli stranieri, un
dio temibile che nel periodo del Nuovo Regno diventò, per gli egiziani, il dio
dell'esercito.
Alla luce di quanto detto dunque l'ipotesi di un sostituto di Mosè
che potesse guidare Israele si fa più labile, mentre appare più marcata la
caduta in un culto idolatrico. Per questo sia Lattes che altri commentatori non
sono particolarmente indulgenti con Aharon.
Quello che si presentò a Mosè al ritorno è la caduta sulla nuda
terra dopo la salita al monte.
Hararat, Moriah, Horeb, Sinai, la montagna è sempre presente nel
cammino di Israele. Dalla pietra dell'Horeb percossa da Mosè scaturì l'acqua
lustrale che dissetò Israele, sul monte Horeb Mosè tese le braccia alzate verso
D-o fino alla sconfitta di Amalek, sul Sinai Mosè ha ricevuto le Tavole, sul
monte Hor Mosè vedrà ai suoi piedi la Terra che stilla latte e miele. Simbolo
della elevazione spirituale, della verticalizzazione del pensiero verso D-o,
della sacralità, la montagna è anche metafora della salita a D-o, dove D-o si
manifesta, dove cielo e terra s'incontrano. Ponte e scala della pochezza e
dell'ansietà della trascendenza umana che tenta di accedere alla dimensione
superna. Dove non ci sono montagne gli uomini le costruiscono, dagli ziqqurat
babilonesi alle Piramidi Egizie e Maya, dalle pagode alle grandi
cattedrali.
Il nostro
blog recita: Il nostro ritorno da lontano ci fa ascendere sul Suo monte
santo.
E questo deve essere un monito perché ad ogni ritorno dobbiamo
tenacemente ripudiare le forme idolatriche di cui la contemporaneità si nutre:
suadenti più dello stesso oro, subdole più del Satan, tessono le fila
dell'inganno. Per questo
D-o nella sua onniscenza, come all'Adam ci chiede "Dove
sei?"
Shabbat
shalom
Israel
Eliahu