Boris Dubrov: Shtetl, 2005
Chissà! Forse fra le due razze erano i poveri vecchi ambulanti ebrei quelli che soffrivano di più e raccoglievano generalmente i più meschini guadagni. Poiché il miserabile spaventapasseri col cappello a tricorno, come lo raffigura la caricatura cristiana, che si trascina gridando con voce nasale "roba vecchia!", ha in sé una vita interiore ardente, tale da rivaleggiare per intensità, per valore, per humor persino, con quella dei più sottili motteggiatori di piazza.
Per Moshes «viaggiare» significava errare per villaggi e cittadine sconosciuti, devoti a una divinità forestiera, sempre pronti a vendicarne la crocefissione, o attraverso paesi di cui conosceva la lingua press'a poco quanto la donzella saracena che la leggenda fa sposare al padre di Tommaso Becket. Questo voleva dire per lui recitare le sue preghiere nei vagoni ferroviari pieni di gente, avvincendosi i filatteri ripiegati in sette intorno al braccio sinistro, cingendosi la fronte di una grossa cinghia di cuoio, a tutta sorpresa dei compagni di viaggio qualche volta poco comprensivi. Questo voleva dire nutrirsi di solo pane e di tè scuro bevuto dalla sua tazza, poiché carne, pesce e tutte le buone cose della vita cucinate dai goyim gli erano severamente precluse dalla legge tradizionale, anche se fosse stato meno infelice. Questo voleva dire inalberare un drappo rosso in mezzo a una mandra di tori. Questo voleva dire passare mesi e mesi lontano dalla moglie e dai figli, in una solitudine solo rallegrata qualche volta da uno shabbat trascorso in una città dove esisteva una Sinagoga. Questo voleva dire alberghi infimi e losche locande, dove era spesso mandato a letto sanguinante e indolenzito da chiassosi burloni o, magari, spogliato sfrontatamente di ogni sua mercanzia, obbligato ad abbassare i prezzi già modesti, malmenato perché sapevano che non avrebbe osato ribellarsi. Questo voleva dire sopportare derisioni e canzonature in una lingua che capiva solo quando occorreva e rendersi conto che era crudele, benché alcuni lazzi gli fossero divenuti familiari a forza di sentirli ripetere. Un giorno, interrogato su dove fosse Moshè quando si era spenta la luce rispose in yddisch che la luce non poteva spegnersi poiché "È detto nel versetto che intorno al capo di Moshè, nostro grande legislatore, era perpetua l'aureola luminosa". Un vecchio tedesco che si trovava per caso a fumare nell'osteria quando il mercante ambulante diede questa commovente risposta, rise di cuore e battendo amichevolmente sulla spalla dell'ebreo, tradusse la sua battuta agli altri presenti. Questa volta trionfò lo spirito e i bevitori, un po' vergognosi, fecero a gara ad offrire birra amara all'ebreo astemio. Ma Moshè Ansell era più abituato alla coppa dell'afflizione che a quella del benvenuto, senza neppure accorgersi di essere eroico: sopportava la sua parte di sofferenza nella lunga agonia della sua razza condannata ad essere zimbello degli infedeli. Morire per la propria religione è indubbiamente più facile che vivere per lei; ciò nonostante Moshes non si lamentava mai, né perdeva la sua fede. Esser bersaglio di sputi era condizione stessa di vita per l'ebreo moderno privato di Israele e del suo Tempio. Il mendico afflitto e stanco, sbattuto, vilipeso, è ancor più caro al Signore Idd-o che lo ha scelto fra tutti i popoli. Me se gli insulti torturavano l'anima di Moshes in questo mondo, era certo che nell'altro sarebbe assiso su un trono d'oro a cantare salmi per l'eternità.
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