Gustave Doré: Morte di Korah
ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 19.58
Havdalah 21.04
PARASHAH QORACH: Bemidbar 16 -18
HAFTARAH: Shmuel I, 11,14 - 12,22
Qorach
è un demagogo. Ci sono quelli che hanno tanto e non vogliono dividerlo
con nessuno, ci sono quelli che hanno niente e vogliono dividerlo con
tutti. Qorach fa parte di questi imbonitori che vellicano la parte più
sensibile e aggressiva dell’animus degli uomini da poco e che si
nascondono dietro il volto anonimo della massa per promuovere istanze
che, a ben guardare, mostrano solo una caramellosa glassa da
rivendicazione sociale e ben poco di etico. In questo
caso, ben poco di religioso. Un amico Rabbino americano, che è anche, buon
per lui, psichiatra, mi raccontava che periodicamente si presentano nella
sua Sinagoga vari Messia, grandi riformatori, e una pletora di profeti
urbani con forti disturbi della personalità e la ormai nota Sindrome di
Gerusalemme. Generalmente ai Messia si limita a fare osservare che fino
ad ora non hanno combinato un gran che; con gli altri ci vuole più
pazienza.
In
altri tempi anche Shabbetay Tzevi seppe conquistare il cuore delle
masse ebree; finì per convertirsi all’Islam, ma un grande studioso ha
riconosciuto in lui il germe dell’Haskalah, l’illuminismo ebraico,
quello che può essere considerato il viatico per l’assimilazione, spesso
confusa con una sorta di normalizzazione per coloro che danno da
mangiare al coccodrillo sperando di essere divorati per ultimi.
Qorach
resta sempre un demagogo! Sceglie la figura commotiva della vedova, ne
sfrutta una sola sfaccettatura, quella dei doveri, dimenticando però che
la Torah tutela questa figura proprio su un piano sociale, quello dei
diritti. Ma a Qorach non interessa! Il suo j’accuse deve arrivare a
graffiare l’amor proprio e l’individualità grassa, che fanno il nido non
nel cuore delle persone ma nella bieca insolenza dell’orgoglio, del
desiderio del potere. Perché loro e non io? Qualche annetto dopo, caro
Qorach, te lo avrebbe spiegato sorridendo Trilussa nella poesiola
dell’aquila e del gallo, L’uguaglianza:
Fissato ne l'idea de l'uguajanza
un Gallo scrisse all'Aquila: - Compagna,
siccome te ne stai su la montagna
bisogna che abbolimo 'sta distanza:
perché nun è né giusto né civile
ch'io stia fra la monnezza d'un cortile,
ma sarebbe più commodo e più bello
de vive ner medesimo livello.-
L'Aquila je rispose: - Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
volemo fa' amicizzia? So' disposta:
ma nun pretenne che m'abbassi io.
Se te senti la forza necessaria
spalanca l'ale e viettene per aria:
se nun t'abbasta l'anima de fallo
io seguito a fa' l'Aquila e tu er Gallo.
Sì perché Qorach è un levita figlio di Izhar, fratello di Amram, e dunque Qorach è cugino di Moshè e
Aaron. Perché loro e non io? Inaccettabile, dato il vincolo di parentela; dimentica però un piccolo
particolare. Che Moshè, come lo fu Avraham è stato scelto da D-o. Non si è arrogato il diritto di
condurre con sé il popolo ebraico verso la terra che stilla latte e miele. È stato chiamato da
D-o. Si può dire che non c’era bisogno di un Qorach o di 1000 Qorach equipollenti?!
In
un Midrash il profeta Eliahu ad una piccola e misera Qehillà che lo
aveva ospitato augurò di avere un solo capo; ad una ricca Qehillà che lo
aveva cacciato come vagabondo augurò di avere molti capi. Perché dove
ci sono molti che comandano non c’è pace.
“Le
religioni idolatriche hanno molti dei, molte leggi, molti sacerdoti,
molti luoghi di riunione; noi invece abbiamo un solo D-o, una sola
Torah, una sola legge un solo altare e quindi un solo Sommo Sacerdote.
Ora voi siete duecentocinquanta e aspirate tutti al Sommo Sacerdozio” così risponde Moshè secondo il Midrash.
I
commentatori hanno scritto molto su Qorach. Io mi limito a ricordarvi che
Qorach è sempre vivo. Si nasconde nell’ombra, pronto ad accendere la
miccia della sovversione, a volte in nome della utopia, del relativismo,
del “progresso della società civile” chiedendo al popolo ebraico di
rinnegare la propria cultura e la propria legge perché ai loro occhi
pare inattuale; chiede di mettere in discussione dialetticamente quanto
il Signore ci ha comandato, come se la Torah non fosse universale, come
se non contenesse già la via della giustizia assoluta per gli uomini
secondo gli intendimenti divini.
Scrive Maimonide:
“I
saggi e i profeti non hanno aspirato ai tempi Messianici per governare
il mondo, né per essere glorificati dalle nazioni e neppure per
mangiare, bere e godere. Tutto quello che sperano è di consacrarsi senza
ostacoli alla Torah e alla saggezza. In quel tempo non vi sarà né
carestia né guerra né gelosia né discordia, perché la terra sarà
posseduta nell’abbondanza. Il mondo intero non avrà altra preoccupazione
che la conoscenza di D-o. Allora i figli di Israele saranno saggi
rispettati, conosceranno le cose nascoste e perverranno alla conoscenza
del loro creatore, fino ai limiti della capacità umana”.
Shabbath shalom
Israel Eliahu