Boris Dubrov: L'apprendimento della saggezza della Torah 2005
ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 20,01
Havdalah 21.07
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PARASHAH CHUQQATH: Bemidbar 19,1 - 22,1
HAFTARAH: Shofetim 11, 1-33
La parola ebraica chuqqim traduce un’idea di non comprensione. Cose che appartengono alla sfera divina e che non ci è dato di svelare con un approccio razionale. In sé non sono solo misteriose, si utilizzerebbe il termine nistarot, ma appartengono ad una sfera altra cui non è concesso, per il momento, accedere. Molte delle nistarot nel tempo si sono disgelate: in fin dei conti qualsiasi fenomeno elettrico era percepito come velato di trascendenza o magia ed oggi appartiene alla nostra quotidianità. Quello che era occulto oggi non lo è, il dominio della conoscenza e della razionalità ci consente di non dover interpretare fenomeni naturali come il tuono la folgore l’eruzione vulcanica o lo tsunami. I chuqqim sembrano appartenere ad una serie di prescrizioni di origine divina, pertanto non spiegabili con gli strumenti del nostro ragionare. L’utilizzo da parte del popolo ebraico di alcuni riti o la presenza nel racconto biblico di alcuni avvenimenti ha indotto i nostri avversatori a ritenere che nel nostro mondo sopravvivessero pratiche magiche. Tuttavia sia chiaro che nel mondo ebraico la pratica magica e stregonesca non è ammessa. Partiamo comunque dal presupposto che D-o ha creato le cose visibili ma anche quelle invisibili agli uomini per chiarire che dal punto di vista della dottrina positivista non può esserci condivisione di letture razionali dell’avventura del creato.
Il
fatto che nemmeno il Signore ci è svelato in una forma e che preghiamo
Colui che non è conoscibile, pur essendosi rivelato nella storia,
chiarisce subito il nostro rapporto con il transumano e l’irrazionale.
Per questo non è dato a noi tentare di dominare la natura e di
condizionare la forza con chissuf diventare dunque mekasshef, cioè
magoshim. La natura è opera di D-o e a lui sta disporne. Tutti gli
avvenimenti che parrebbero ricondurre a questa sfera nella Torah sono
opera divina e non degli uomini. Moshè è uno strumento nelle mani del
Signore e nelle 22 lettere della creazione. Che Moshè batta la pietra
per farne scaturire l’acqua non è di per sé cosa misteriosa. Ancora oggi
i beduini del deserto usano percuotere la roccia per comprendere dalla
sonorità l’eventuale presenza di acqua, ma che la parola comandata da
D-o si faccia strumento per far
sgorgare acqua non è un prodigio magico ma divino. Non è l’uomo che
opera ma è solo il tramite, esso stesso strumento.
Lo
stesso, lo abbiamo già detto, va ascritto a tutti quegli strumenti che
paiono avere valore apotropaico come amuleti, talismani o oggetti sacri
che sacri in sé non sono, è solo il rapporto fra noi e D-o che comporta
la sacralizzazione. Per un goy una mezuzah è semplicemente una scatolina
con delle parole al suo interno.
Che
poi rimangano tracce di questo complesso rapporto con il mistero del
creato e con il tentativo degli uomini di esserne interpreti questo è
sicuramente possibile. Si pensi all’espressione “mazel tov” espressione
benaugurale certo, ma che rimanda alla buona stella dell’astrologia e
alle incerte cosmologie degli umani.
D’altronde
si comprenda come gli uomini abbiano sempre tentato di far
corrispondere i propri umili destini a quelli superni, ad accordare il
micro al macrocosmo.
Il
tentativo di dare alla parola un valore superiore, quasi a trasformarla
in linguaggio divino, lo abbiamo fatto con la musica, con i giochi
sonori di allitterazioni e rime, con le flessioni rituali della voce,
col canto, per questo si intende la parola incantesimo come atto magico.
Tuttavia
il nostro rapporto con il divino e con il creato è e deve rimanere solo
quello di umili interpreti, strumenti del quotidiano prodigio
dell’esistenza. Tutti gli altri tentativi di ergere noi stessi ad
attanti della trasformazione sovrumana sono destinati a fallire e a
configurarsi come atti magici, per questo condannati dalla Torah e da
tutta la letteratura rabbinica successiva: “Chiunque fa queste cose è in
abominio agli occhi dell’Eterno”.
In
questa logica anche la questione della parah hadummà, della vacca rossa
deve essere letta come un intervento che appartiene alla sfera divina e
che non ci è dato comprendere. Forse un giorno, se il Signore lo vorrà,
la storia o la scienza ce ne daranno ragione.
Shabbath shalom
Israel Eliahu
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