ORARI DI SIRACUSA
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PARASHAH SHEMINÌ: Vayqra 9 - 11
HAFTARAH SHABBATH PARAH: Yechezqiel 36:16-38
Shalom a tutti.
Il prossimo è
Shabbath Parah, Parah Adumah, la Vacca Rossa.
Questo Shabbath
che segue quello di Purim, Shabbat Zachor, segna l’inizio formale dei
preparativi spirituali e non, che conducono a Pesach.
Si legge sul
secondo Sefer una porzione della Parashah Chuccath, Numeri 19:1-22.
La Haftarah è una
lettura da Yechezqiel 36:16-38.
Se guardate nella
Torah della edizione Giuntina, una nota suggerisce che il legame fra la Haftarah e la porzione
della Parashah Chuccath consista nel fatto che la prima tratta di purificazione
spirituale, la seconda di purificazione del corpo dopo aver toccato un
cadavere, col rito della Parah Adumah.
Vi ricordo che
dopo il decesso i nostri avi non consideravano un corpo ma un cadavere ciò che
restava dall’abbandono della vita e che l’anima veniva col corpo restituita al
mistero.
Ed un mistero è
il rituale della Vacca Rossa, dacché al termine del rito chi era impuro non lo
è più e chi ha eseguito il rito lo diventa, seppur temporaneamente.
Questo precetto
che D-o ci ha dato è incomprensibile, lo fu allo stesso Moshè. Rientra in
quella categoria di precetti che definiamo Chuqim, precetti che appaiono ai miseri nostri occhi
come sovrarazionali, paradossi che la nostra mente coglie come tali e che ben
sappiamo non essere, poiché leggi del Signore; le cose misteriose che
appartengono a D-o e che trascendono la nostra possibilità di intendere.
Tuttavia questo
può aiutarci a cogliere la relazione con la derashah ordinaria di questo
Shabbat: Sheminì. In entrambe le letture ci troviamo di fronte alla più
insondabile delle esperienze umane: la morte. Quello che noi accettiamo
biologicamente ma che sfugge al contenimento in ambiti razionali, quando
affrontiamo il problema in termini spirituali od escatologici. Un mistero
insondabile di cui invece riusciamo a cogliere il senso della chimica e della
fisica. Ma lo sgomento davanti alla morte è profondo, ci costringe ad
investigare quello che è ignoto perché appartiene ad un futuro insondabile. Eppure
anche la nostra vita segue un vettore temporale insondabile. Ma della morte, ci
dice Qohelet, nessuno può parlare poiché nessuno è mai tornato. Eppure sappiamo
che l’Adamo primigenio era stato creato senza che dovesse conoscere la morte. A
noi è rimasta l’anima, permeata di divino che si libera dal corpo.
Così nella
Parashah Sheminì ci troviamo di fronte alla misteriosa morte dei figli di
Aharon, colpevoli di aver introdotto un fuoco estraneo, probabilmente per non
aver bruciato gli incensi composti secondo la prescrizione divina. Anche in questo caso siamo di fronte ad un
mistero insondabile, poiché i cadaveri dei due fratelli vengono poi raccolti.
E Aharon tacque
poiché di ciò di cui non si può parlare si deve tacere (celeberrimo aforisma
Wittgensteiniano).
“Chiunque indaga
quattro cose, meglio per lui se non fosse venuto al mondo: ciò che è sopra, ciò
che è sotto, ciò che è davanti, ciò che è dietro” (Mishnah, Hagigah II).
Shabbath shalom
Israel Eliahu
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