ORARI DI SIRACUSA
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PARASHAH VAYQRA: Vaiqra 1 - 5
HAFTARAH: Yeshaʽah 43,21 - 44,23
Shalom a tutti.
Fino
alla distruzione del secondo Tempio per opera dei Romani di Tito, le
pratiche cultuali (avodah) che esprimevano il sentimento religioso
ebraico secondo il dettato Toraico, facevano riferimento al Santuario
stesso. Qui si offrivano i sacrifici, sia quelli quotidiani che quelli
festivi.
Da
allora, poiché il Tempio non è stato ricostruito e non si può adempiere
ai precetti che riguardavano i sacrifici, si usa leggere i brani che
comunque ne insegnano la normativa così che la parola, la lettura, si
sostituisca alla prassi non più praticabile, ma anche, come ammonivano i
saggi perché si abbia familiarità con le dinamiche degli adempimenti,
per conoscere il rituale e farci trovare pronti, dacché ogni giorno
preghiamo per la ricostruzione del Bet haMikdash.
Da allora la preghiera ha sostituito i sacrifici.
Troviamo nell’edizione dello Zohar a cura di Giulio Busi che nel
sacrificio l’odore che si levava dalla vittima era segno di
rappacificazione fra la terra e il cielo, ottenuta attraverso l’atto
violento dell’immolazione. Poiché, dopo la distruzione del tempio, il
sacrificio cruento è stato sostituito dalla preghiera, sono ora le
parole ad esalare una fragranza che invoca misericordia e ancora il
sacrificio e il suo sostituto dopo la distruzione del tempio, cioè la
preghiera, provocano un doppio movimento di energia sefirotica: da una
parte il fedele “deve salire di grado in grado fino a che dal basso non
si è arrivati in alto” dall’altra le forze celesti dopo essere state
sollecitate dall’offerta scendono in direzione della terra “quando il
dono scende dall’alto verso il basso è chiaro che si tratta del dono del
Re”.
Così
la preghiera ha mutuato le modalità e le disposizioni dai riti cultuali
del Tempio con i due sacrifici quello mattutino e quello pomeridiano.
La preghiera del mattino Shachrit, dall’ebraico shachar luce mattutina, e
Minchah del pomeriggio, dal nome dell’offerta di farina che accompagnava
il sarificio. A queste si aggiunga la preghiera di Mussaf cioè
aggiuntiva, che corrisponde al sacrificio dei giorni festivi.
Proprio
perché la preghiera serale non rimandava ad alcun sacrificio è stata
considerata per molto tempo meno importante delle altre.
Nella
preghiera di Minchah, dopo la lettura del Salmo 84, troviamo Korbanot,
cioè le norme per i sacrifici e le offerte. Così pure in Shachrit dopo
l’Aqedah. Passi tolti dalla Torah e dal Talmud, dalla Mishnah, dove
vengono illustrate le modalità dei sacrifici.
Dunque
se è pur vero che secondo la tradizione erano stati i Patriarchi stessi
ad aver istituito la scansione delle preghiere giornaliere, Avraham il
mattino, Ytzchaq il pomeriggio e Jaʽakov la sera, è pur vero che le
nostre preghiere, compresa Mussaf, sono sempre basate sulla scansione
cultuale dei sacrifici. Il termine sacrificio compare nel Tanak quasi
200 volte a ribadire quanto fosse centrale nell’ebraismo e dunque quanto
sia oggi centrale la preghiera.
Certo
che se si vede il sacrificio dalla parte degli animali si pensa ad una
mattanza, ma dobbiamo considerare la dedicazione sacra come un’elevazione. Anche se il paragone può sembrare irriverente pensate al
valore che attribuiamo al sacrificio di persone che si sono immolate per
salvare qualcun altro o per la patria o per un ideale. Per esse
utilizziamo la parola sacrificio senza connotazioni negative anzi ad
esse abbiamo dedicato piazze e monumenti.
Tuttavia,
poiché per molti aspetti la questione dei sacrifici è complessa, se
analizziamo la questione con l’etica contemporanea è anche problematica,
vi voglio proporre anche questo testo del Rabbino Capo di Gran Bretagna
Rabbi Jonathan Sachs che potete trovare a questo Link, nel sito di Ritorno alla Torah e che vi consiglio vivamente di leggere:
Tratto da un commento di Rabbi Jonathan Sacks, Rabbino Capo di Gran Bretagna.
La
concezione biblica dei sacrifici è considerata l'elemento più complesso
e controverso di tutto l’Ebraismo. All'interno del Pentateuco, i
sacrifici svolgono un ruolo importantissimo, e le leggi relative ad essi
sono espresse molto dettagliatamente. Non meno significativo è anche il
luogo in cui queste leggi si trovano, cioè nel Levitico, il libro posto
al centro della Torah.
Il
motivo di questa centralità dei sacrifici e del servizio sacerdotale è
certamente legato all'affermazione della missione del popolo ebraico,
che viene annunciata subito prima della Rivelazione e della stipulazione
del Patto sul Monte Sinai: "Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa" (Esodo 19:6).
Il
rapporto tra Israele e le altre nazioni è paragonato a quello che si
instaura tra un sacerdote e il suo popolo. Come un sacerdote, Israele è
"santo", nel senso di "separato", con il compito di fare da mediatore
tra D-o e il mondo. Le regole di purità rituale, che non fanno parte dei
precetti universali imposti all'intera umanità, costituiscono la
testimonianza di una vocazione nazionale, senza che ciò implichi alcuna superiorità del popolo ebraico.
Come
sacerdote del mondo, Israele è chiamato a condurre una vita
particolarmente vicina a D-o. I sacrifici, indicati anche con il
termine avodah (servizio), sono dunque un elemento rappresentativo dell'identità ebraica. La loro importanza nella visione biblica non può essere negata.
Eppure,
come è noto, molti dei più grandi profeti di Israele si espressero con
affermazioni che possono apparire superficialmente come una critica
dell'intera istituzione dei sacrifici, almeno in relazione alla
condizione morale e spirituale di Israele durante la loro epoca. Amos
infatti dichiara nel Nome di D-o:
"Io
odio, disprezzo le vostre feste, non provo piacere nelle vostre
assemblee solenni. Anche se mi offrite i vostri olocausti e le vostre
oblazioni di cibo, io non le gradirò. [...] Ma scorra il diritto come
acqua e la giustizia come un corso d'acqua perenne" (Amos 5:21-24).
Lo stesso spirito lo troviamo in Isaia, nel passo che leggiamo ogni anno prima di Tisha B'Av:
"Che
m'importa della moltitudine dei vostri sacrifici, dice il Signore.
Smettete di portare oblazioni inutili. [...] Il vostro incenso io lo
detesto. [...] Lavatevi, purificatevi, togliete dalla mia presenza la
malvagità delle vostre azioni, cessate di fare il male. Imparate a fare
il bene, cercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia
all'orfano, difendete la causa della vedova" (Isaia 11:11-16).
Ancora
più notevoli sono le parole di Geremia, che sembrano addirittura
mettere in discussione l'idea che i sacrifici facessero parte del
proposito originario di D-o: "Poiché
io non parlai ai vostri padri e non diedi loro alcun ordine, quando li
feci uscire dal paese d'Egitto, riguardo agli olocausti e sacrifici, ma
questo comandai loro: Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro D-o e
voi sarete il mio popolo. Camminate in tutte le vie che vi ho comandato,
perché siate felici" (Geremia 7:22-23).
Com'è
possibile che Geremia dica una cosa del genere? La Torah non è forse
piena di precetti sui sacrifici? Una delle spiegazioni più famose e
controverse delle parole di Geremia è stata fornita da Maimonide, nella
sua opera filosofica La Guida dei Perplessi.
Secondo Maimonide, il tempo è un fattore essenziale della
trasformazione dell'umanità. Come la natura si evolve gradualmente, così
anche la condotta collettiva della società umana si modifica.
Questo
è il motivo per cui la Torah contiene alcune leggi il cui scopo non è
immediato, e il cui effetto può essere notato solo nel corso di molte
generazioni. Maimonide spiega: "Non è possibile passare istantaneamente
da un estremo ad un altro; per la natura umana è dunque inconcepibile
abbandonare in un attimo tutto ciò a cui è abituata. [...] Nei tempi
antichi, la consuetudine diffusa in tutto il mondo comprendeva il
sacrificio di varie specie animali nei templi
nei quali erano state poste alcune immagini, il prostrarsi davanti a
tali immagini e l'offerta dell'incenso davanti ad esse. La sapienza e la
cura di D-o non hanno imposto il rifiuto e l'abbandono di tutti questi
tipi di culto, perché allora non si sarebbe potuta nemmeno immaginare
una cosa del genere, a causa della natura umana. [...] Perciò, D-o ha
trasferito al Suo culto le pratiche usate precedentemente per
l'adorazione delle cose create. [...] In questo modo
è stato possibile cancellare le tracce dell'idolatria, mentre il vero
principio della nostra fede, l'esistenza di D-o e la Sua unità, è
stato affermato saldamente. Tutto ciò è stato ottenuto senza confondere e
sconvolgere la mente degli uomini con l'abolizione di pratiche a cui
erano abituati".
Questa
interpretazione ci permette di comprendere meglio l'apparente negazione
dei sacrifici da parte di Geremia. Ciò che il profeta intende affermare
è che i sacrifici non erano fini a sé stessi. Essi servivano invece a
stabilire fermamente nella mente delle persone l'obbligo di adorare
soltanto D-o. Eppure, all'epoca di Geremia, il popolo aveva confuso il
mezzo con il fine,vedendo i sacrifici come se non ci fosse in essi alcun
significato profondo.
Volendo
usare un eufemismo, si può dire che l'interpretazione di Maimonide
incontrò pareri contrastanti tra i pensatori ebrei dei secoli
successivi. La sua riflessione sembrava condurre all'idea che i
sacrifici fossero necessari allo sviluppo del popolo ebraico in un
preciso periodo storico, ma non in ogni epoca. Tuttavia, questo non era
davvero ciò che Maimonide riteneva.
Nella
Guida dei Perplessi, egli dichiara infatti che "Le leggi non possono
essere modificate a seconda delle persone e delle circostanze. [...] Non sarebbe giusto far dipendere i principi fondamentali della Torah dai cambiamenti di tempo e di luogo".
Maimonide
distingue inoltre tra interiorità ed esteriorità nel servizio Divino.
Secondo la sua visione, l'Ebraismo impone forti limitazioni al culto
sacrificale. I sacrifici possono essere offerti solo in determinati
momenti, e soltanto da membri di una certa stirpe (i discendenti di
Aronne), utilizzando animali specifici, ed in un solo luogo (il
Santuario). La preghiera, al contrario, appartiene all'interiorità del
servizio Divino e può essere quindi offerta dovunque, in qualsiasi
momento, e da chiunque. La preghiera si avvicina al culto ideale, mentre
i sacrifici rappresentano quasi una concessione. I sacrifici sono dunque
soltanto un'espressione esteriore di un concetto che si trova nel cuore
dell'Ebraismo, cioè il "servizio di D-o" (avodah).
Uno
degli aspetti più sorprendenti dell'Ebraismo è il fatto che esso non si
pone come una religione fra le tante, ma come qualcosa di completamente
nuovo. Fin dall'inizio, l'identità ebraica ha sempre rappresentato una
sfida ai grandi imperi e alle strutture gerarchiche e sociali.
La Bibbia è
una continua battaglia contro l'idolatria (il sistema imposto dal
potere), il mito (i racconti che giustificano il sistema), e i riti
pagani (gli atti che alimentano il sistema). Nella società a cui
l'Ebraismo si opponeva, quella basata sul conflitto, sul dominio e sulle
gerarchie, il sacrificio era visto come un tentativo di placare gli
dei, di ottenere la loro benevolenza e di procurarsi la loro forza.
Nell'Ebraismo,
il sacrificio è invece qualcosa di completamente diverso. Il D-o di
Israele è il Creatore dell'universo, il Potere supremo, ma anche Colui
che si preoccupa dei deboli (gli schiavi in Egitto, le vedove, gli
orfani e gli stranieri). Un D-o simile non può essere corrotto o placato
con offerte materiali. Il vero significato del sacrificio viene perciò
modificato per diventare un rito che crea un effetto sull'uomo, non su D-o.
La parola korban (sacrificio)
ha il significato di "portare" o "avvicinarsi". Per avvicinarsi a
D-o, nell'Ebraismo, bisogna rinunciare a sé stessi, al proprio potere,
alla propria volontà, all'esistenza autonoma e autosufficiente. È
necessario cedere qualcosa, impegnarsi in un atto simbolico di rinuncia.
Il risultato di un tale "avvicinamento a D-o" ci permette di guardare il
mondo in maniera diversa. Rinunciare al nostro possesso di qualcosa (un
animale, o una parte del raccolto agricolo) significa riconoscere che
tutto ciò che abbiamo appartiene in realtà soltanto a D-o.
Per
questo motivo, quando il Tempio fu distrutto, le altre forme di
rinuncia rimasero valide: quelle che si compiono attraverso la volontà
(con la preghiera), la mente (lo studio della Torah),o i propri beni
(tramite la beneficenza e l'ospitalità verso gli stranieri).
Ma
finché esisteva il Tempio, bisognava confrontarsi con un grande
pericolo. Visti dall'esterno, i sacrifici erano ciò che rendeva il culto
ebraico più simile alle pratiche pagane. Anche se il loro significato
profondo era del tutto diverso, la forma esteriore dei sacrifici
ordinati dalla Torah era di fatto simile a quella prevista dagli altri
culti. Questo problema era la vera causa della critica dei sacrifici da
parte dei profeti. Ad essere contestata non era l'istituzione di tali
riti, ma la degenerazione che portava i sacrifici ad assomigliare ai
culti idolatrici. Senza un costante ammonimento da parte dei profeti,
gli Ebrei rischiavano di vedere i sacrifici come un modo di placare
D-o, per poter essere poi liberi di commettere i loro crimini contro i
più deboli. Dunque l'intenzione con cui si offrivano i sacrifici era
particolarmente importante. Chi eseguiva questi riti con un proposito
ingiusto poteva trasformare un atto sacro in un atto pagano.
Secondo
la mentalità comune, compiere un gesto simbolico è il modo migliore di
esprimere un sentimento o un'intenzione. Il rituale rappresenta infatti
l'azione scenica di un proposito interiore. Nel caso del ravvedimento,
in particolare, bisogna sacrificare qualcosa (che simboleggia la propria
coscienza) per far nascere qualcos'altro, il rinnovamento della propria vita.
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