Jankel Adler: Rabbino in preghiera con la Torah
ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 19.31
Havdalah 20.33
Per le altre località vedi http://www.myzmanim.com/search.aspx
PARASHOTH BEHAR SINAI e BECHUQQOTHAI: Vayqra 25,1 - 26,2; 26,3 - 27,34
HAFTAROTH: Yrmeyah 32,6-27; Yrmeyah 16,19 - 17,14
Shalom a tutti.
Nell'approfondimento alla
Parashah Bechuqqothai di 2 anni fa affrontammo il tema
relativo alla simbologia del numero sette nella religione Ebraica.
Eccone un frammento:
Ritorna in questa parashà la fascinazione fondamentale del
numero 7. Sette è il numero sacro agli Ebrei. A cominciare dalla creazione
compiuta in sette giorni. Shabbath è il settimo giorno della settimana, il
giorno del riposo e la sua trasgressione rappresenta per il nostro popolo un
atto di gravità tale, che in Bemidbar viene punita con la morte.
Sette sono le coppie di ogni animale puro che Noach deve
far salire sull'Arca.
Sette i giorni di Pesach. Sette le settimane prima della
festa di Shavuot, quando Moshè riceve la Torah sul Sinài. Sette i bracci della Menorah, Sette
i giorni della impurità, sette i giorni prima della Milà, sette i giorni di Sukkot
prima di Simchat Torah, sette le vacche sognate da Parʽò.
Nella parashà Behar Sinai la
ricorrenza del sette ritorna. Come la terra dovrà riposare il settimo anno così
uno schiavo verrà liberato dopo sei anni di schiavitù.
Ma vediamo come un altro
numero composto del sette assume un valore fondamentale nella Torah. Si tratta
del 50 inteso come 7x7+1. Lo abbiamo già
incontrato parlando di Shavuʽot, che cade dopo le sette settimane del conteggio del ʽomer più un giorno di Shavuot (contare è un’operazione che fa crescere la
consapevolezza di un percorso verso la redenzione).
Lo ritroviamo nella parashah
di questa settimana a proposito del Giubileo, che dopo 50 anni ristabilisce
l’uguaglianza sociale con la redistribuzione delle terre e dei beni:
“Proclamerete libertà nella terra per tutti i suoi abitanti” (Vaykrà 25,10). Il
fatto che venga utilizzata la parola «deror» come espressione del concetto di
libertà indica che ci si deve liberare da qualcosa che opprime perché qualsiasi
transazione che ha alterato la spartizione originaria della terra di Israele
deve essere intesa come un disequilibrio sociale e un allontanamento dalle
prescrizioni divine.
Tornando al nostro numero 50
vediamo come lo Shabbath ricorre ogni sette giorni, l’anno di shemittà cioè
l’anno sabbatico ogni sette anni e poiché un ciclo settennale conta 364 sabati
come i giorni di un anno ecco che lo Shabbath della terra deve durare
un intero anno. Il Giubileo ricorre ogni sette anni sabbatici. Per la
verità dovremmo parlare anche dello
Yovel haYovelim ovvero il giubileo dei giubilei che ricorre ogni 2500 anni: non per caso l’anno 2448 dalla
creazione del mondo iniziò l’edificazione del Mishkan. A questi si potrebbe
aggiungere anche un’avventurosa e millenaristica numerazione, che troviamo
nello Zohar, secondo il quale si potrebbe considerare la possibilità mistica di
un ciclo di settemila anni anche per l’universo, che per seimila anni sarebbe
sottoposto ad un ciclo che verrebbe poi rivoluzionato nel settimo millennio.
Poiché questa considerazione corrisponde a cicli che i geologi e vulcanologi
hanno definito anche in termini scientifici, o quasi (pensate alla caldera di
Yellowstone la cui eruzione, ricorrente ogni seimila anni, provocherebbe un mutamento catastrofico nel
clima mondiale provocando glaciazioni) credo che ci convenga allontanarci di
corsa da questa divagazione millenaristica, che vi ho esposta per mera curiosità
e che vi ho riportata da una conferenza di Rav Caro.
Scrive Rav Di Segni: “È stato
osservato che l’ebraismo è una religione e una cultura che si distingue da
altre per aver costruito i suoi monumenti non nella dimensione spaziale ma temporale.
Per questo rilievo dato al tempo diventa essenziale non solo la misurazione ma
anche la classificazione, in cui si stabiliscono frequenze e ricorrenze, e una
gerarchia di importanza e sacralità”.
Per questo anche il numero 50
coglie una simbologia frequente e stratificata nella Torah ricorrendo 150
volte. Anche il dono della Torah, come abbiamo visto precedentemente, cade dopo
50 giorni dall’uscita dall’Egitto, dall’acquisizione della libertà dalla
schiavitù.
Ed ora prendete la vostra
Torah e andate a Bereshith, all’inizio. Prendete la prima tau, quella che trovate alla fine della parola
Bereshit. Ora calcolate da questa altre cinquanta lettere e troverete una vav poi altre cinquanta e troverete una resh e ancora altre cinquanta e troverete una he.
Abbiamo formato la parola Torah! Non vi basta? Andate in Shemoth. La prima tau è
alla fine della parola shemoth. Ora ricalcolate le prime quattro lettere a cicli di 50. Sorpresi?! Ancora
Torah. Dunque è possibile che 50 sia il numero che richiama la Torah.
Per concludere vorrei però
fare una considerazione implicita in questa parashah che tratta proprio del
rapporto fra l’uomo e la terra che il Signore ci ha data: Eretz Israel.
In Vayqrà 26,32 leggiamo: “Io stesso desolerò la terra e desolati saranno su di essa i vostri nemici che vi risiederanno”. Ora la storia ci insegna che altri popoli che dopo il galut si sono stabiliti sulla terra che il Signore ha dato al Suo popolo Israele non hanno saputo e potuto prendere alla terra le ricchezze che Eretz Israel sta dando allo Stato di Israele. Non ci sorprenda dunque che Rashi avesse già prefigurato questa situazione commentando il versetto sopraccitato. Rashi infatti scrisse che Eretz Israel sarebbe rimasta in condizioni di abbandono, incolta, finché gli Ebrei non vi avessero fatto ritorno. Non era solo profezia ermeneutica, ma la parola stessa di D-o.
In Vayqrà 26,32 leggiamo: “Io stesso desolerò la terra e desolati saranno su di essa i vostri nemici che vi risiederanno”. Ora la storia ci insegna che altri popoli che dopo il galut si sono stabiliti sulla terra che il Signore ha dato al Suo popolo Israele non hanno saputo e potuto prendere alla terra le ricchezze che Eretz Israel sta dando allo Stato di Israele. Non ci sorprenda dunque che Rashi avesse già prefigurato questa situazione commentando il versetto sopraccitato. Rashi infatti scrisse che Eretz Israel sarebbe rimasta in condizioni di abbandono, incolta, finché gli Ebrei non vi avessero fatto ritorno. Non era solo profezia ermeneutica, ma la parola stessa di D-o.
Questo ci impone quindi di
considerare come esista un rapporto fra terra e popolo di Israele, come se
insieme si integrassero in unum. Come se fossero due componenti di una stessa
entità. Vi cito da un fondamentale libro a cura di Ester
Rostagno: Il giubileo rigenerazione
della terra e dell’anima
edito nel 2000 da Lulav. Libro breve ma
denso, la miglior lettura possibile sul Giubileo e la Shemittà e che vi
consiglio di procurarvi.
“Eretz Israel
ha una sua individualità”. “Eretz Israel espelle coloro che commettono
determinate colpe comportandosi esattamente come l’organismo umano che si
libera di ciò che non gradisce. Quando si pensa alle mancanze che causano
l’esilio immediatamente si ritiene di dover fare riferimento alle relazioni
umane illecite, all’idolatria e all’omicidio ma la Torah nella parashah Behar
insegna che un altro peccato causa l’espulsione dalla terra, ossia
l’inosservanza, da parte dell’uomo, di tutte le norme inerenti alla shemittà
che priva la terra stessa della possibilità di rispettare il suo Shabbat,
perché è detto: la terra dovrà riposare
uno Shabbat”.
“Ogni
impedimento posto al regolare compiersi della Shemittà, avrà come conseguenza che
la terra non fruttificherà più il necessario ed espellerà coloro che vi
abitano”. “Rambam (Hilkhot Teshuvà 9) osserva che …
essendo Eretz
Israel stata dotata di un attributo speciale da D-o può dare compensi a coloro
che vi risiedono in base al comportamento mantenuto. È necessario comprendere
che la terra e il popolo sono strettamente connessi tra loro e la sicurezza
dell’una dipende e garantisce la sicurezza dell’altra.”
Ora se consideriamo questo,
risulta evidente come sia vincolante questo legame di Israele con la sua terra,
rapporto indissolubile il cui compimento, dopo
la dispersione, sarà prologo all’avvento dei tempi messianici. Ricostituire
l’unità di Israele significa ricongiungersi, rifondarsi nella terra,
riconsacrarsi nel ritorno ad Eretz Israel.
Se è vero, come abbiamo detto
in altra occasione, che dove va Israele ivi D-o lo segue è anche vero che
chiediamo al Signore “Facci ritornare e noi ritorneremo” (Lamentazioni 5,21).
Nel
versetto “Tornerete
ciascuno al suo possesso e tornerete ciascuno alla sua famiglia” (Vayqrà
25,10) il ritorno è reso con la radice verbale shuv, la stessa di
teshuvah ad
indicare il pentimento e la conversione del cuore e non è certo per caso
che
l’anno giubilare si proclama il giorno di Kippur al suono dello shofar.
Questo
ritorno ad Israel significa riappropriarsi di quella libertà di cui il
Signore
ci aveva beneficiati e che abbiamo perduta. In altre parole siamo noi
che
dobbiamo riconcilarci con la terra onorandola, rispettandola,
lasciandole quel
riposo, simbolo della comprensione dei cicli naturali ma soprattutto
della
giustizia sociale, dell’etica condivisa. Cercare nel potlach o nel
socialismo
comunitario e nel movimento dei kibbutzim l’etica comunitaria di Israele
non
prescinde dalla legge divina, è già scritto tutto nella Torah. La parola
di D-o
ci insegna come coltivare l’anima coltivando la terra, come nutrire la
speranza
del ritorno al Signore lasciando il nutrimento ai poveri nella tzedaqah,
nella
giustizia e non nella snervata carità del
piagnisteo. Giustizia, è questo che il Signore ci chiede.
In Esodo Rabbà, XV, 21 è
scritto: “Il Signore ti sarà luce eterna. E quando qualcuno si ammalerà, il
Santo Benedetto Egli sia ordinerà al sole di portargli la guarigione nei suoi
raggi (Malakhi 4,2). Farà scaturire da Yerushala’m acqua sorgiva nella quale ogni
ammalato troverà guarigione; come è detto: “Ogni cosa vivrà dovunque arriverà
il fiume” (Yechezqiel 47,9). Farà produrre frutti agli alberi ogni mese e l’uomo che
mangerà sarà guarito, come è detto: “Produrrà nuovi frutti ogni mese e i suoi
frutti serviranno per cibo e le foglie per guarigione” (Yechezqiel 47,12). Tutte le
città cadute in rovina saranno riedificate e non rimarrà al mondo alcuna plaga
deserta. Yerushala’m sarà riedificata e gli idolatri verranno e vedranno la
gloria di Israele come è scritto: “Le nazioni verranno alla tua luce (Yeshaʽyah 60,3).
Pianto e lamenti cesseranno nel mondo come è detto: “Non si sentirà più in essa
la voce del pianto” (Yeshaʽyah 65,19).
Cesserà la morte nel mondo,
come è detto: ”Ha inghiottito la morte per sempre” (Yeshaʽyah 25,8). Non vi saranno
più sospiri, gemiti e angoscia, ma tutti saranno lieti, come è detto:
“I riscattati nel Signore torneranno e si recheranno, cantando, a Sion” (Yeshaʽyah,
25,10).
Questo tempo, questo
riscatto, è il senso ultimo della shemittà e del giubileo come metafora del
tempo messianico, quando la giustizia sarà ripristinata per tutti e per sempre.
Shabbat shalom
Israel Eliahu
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