Michoel Muchnik: Shabath
ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 19.22
Havdalah 20.19
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PARASHAH KI TAVÒ: Devarim 26,1 - 29,8
HAFTARAH: Yeshaʽyah 60
Shalom a tutti.
Ogni giorno, appena aperti gli occhi dal sonno, ringraziamo Kadosh Barukh Hu: Modè ani lefanekha Melekh chay veqayam...
Ogni giorno, appena aperti gli occhi dal sonno, ringraziamo Kadosh Barukh Hu: Modè ani lefanekha Melekh chay veqayam...
Poi
cominciamo la nostra giornata con le berakhoth, le benedizioni.
Dapprima la netilat yadaym, l’acqua lustrale di purità, poi le
benedizioni mattutine. Perché non dobbiamo mai dare niente per scontato.
Tutto quello che possediamo, sia beni spirituali che materiali, la vita
stessa deve essere riconosciuta come privilegio dell’esistere.
Ringraziare Kadosh Barukh Hu
per averci tolto il sonno dagli occhi vuol dire prendere ogni giorno
coscienza della propria condizione, riconoscere il nostro «debito» col
Signore e dedicare dunque a lui la nostra giornata.
La
nostra giornata è scandita da benedizioni. Quasi ogni gesto che
facciamo ma anche ogni emozione, come lo stupore davanti alla bellezza o
al profumo o alla bontà di un frutto, è accompagnato da una berakha.
Nel Talmud, trattato Berakhot, 35 leggiamo: “È proibito all’uomo di godere di questo mondo senza benedizione”.
Questo
non è solo un esercizio di memoria ma comporta la presa di coscienza
che stiamo godendo di un beneficio, che in altri momenti, se ci
mancasse, avvertiremmo come privazione. Non dobbiamo ricordare la
bellezza di qualcosa solo quando non c’è. “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria” scriveva l’Alighieri.
Questo
godere della vita è stupefacente ed è un valore per l’ebraismo; un
valore positivo. Tuttavia, non deve essere la finalità del nostro
esistere. Se così fosse dimenticheremmo la nostra responsabilità di
rendere merito a haShem. Non siamo noi gli artefici di questo mondo, ne
siamo, spesso immeritatamente, soltanto i fruitori. È questa la
funzione che assolvono le berakhoth. La stessa ‛Amidà che recitiamo 3
volte al giorno è un compendio della nostra testimonianza di
riconoscenza a Kadosh Barukh Hu.
“Tutti
lodino e benedicano il Tuo grande Nome con sincerità, per sempre,
perché è buono, D-o della nostra salvezza e del nostro aiuto per sempre, D-o di bontà. Benedetto Tu haShem, il Tuo Nome è buono ed è giusto ringraziarti”.
Le berakhoth vanno recitate soltanto quando qualcosa ci è gradita o comunque è fonte di piacere e di beneficio.
Se
è vero che le berakhoth rispondono ad una esigenza quasi minimale del
quotidiano è vero anche che una sola è comandata dalla Torah, si tratta
della Birkhat hamazon, la benedizione dopo i pasti; le altre sono
istituzioni rabbiniche codificate; questo ci fa riflettere anche sul
fatto che, in fin dei conti, possiamo essere artefici di berakhoth
personali in un intimo colloquio con haShem. Se non tutto ci pare
riconducibile ad una formula codificata, facciamo nostro il potere della
parola e testimoniamo il nostro stupore o la nostra soddisfazione al
Santo Benedetto con parole appropriate ma nostre.
Ogni
berakhah è una responsabilità personale e va recitata a voce alta quando
le condizioni lo consentono o comunque pronunciata sulle labbra. La
parola interiorizzata non testimonia la nostra ebraicità; anche la
parola va «indossata» per ricordare a noi e agli altri che apparteniamo
al Signore.
Proprio
come succede con gli tzizzioth, o i tefillin o la mezuzah che
acquistano sacralità nel momento in cui noi, con Kavanah, attribuiamo
loro il ruolo di mediatori con l’Eterno. Nulla di per sé è santo se non
il Signore.
La
normativa codificata è varia e a volte complessa, potete trovarla nello
Shulchan ‛Aruch, nel Kitzur S. ‛A., nel vostro siddur, nel Talmud, e in
molta letteratura ebraica d’uso come Lekhayim edito da Mamash, libro
prezioso per la quotidianità ebraica. Vi suggerisco anche “Berakhoth:
introduzione alle benedizioni” editato da Carucci nell’80.
Vediamo
per esempio una berakhah fra le più ricorrenti: la benedizione per le
cose nuove She-hecheyanu weqiyemànu wehigghi‛ànu la-zeman ha-zeh,
Benedetto Tu o Signore D-o nostro Re del Mondo che ci ha fatto vivere,
ci ha
mantenuto e ci ha fatto giungere a questo tempo. Questa berakhah si
recita per le feste della Torah o in particolari mitzvoth delle
festività come suonare lo shofar, leggere una meghillàh o accendere i
lumi della chanukkiah; prima della Milah e del Pidion ha-ben, il
riscatto del primogenito. In ogni caso in quelle occasioni che hanno una
ciclicità dilatata ma anche per il consumo di primizie annuali, eventi
straordinari come l’incontro di un amico o una persona cara che non si
vede da molto tempo, si riceve un regalo etc. Insomma quando l’evento ha
connotazioni di novità. Ad esclusione delle scarpe nuove o di vestiti e
accessori se sono di pelle animale o dei libri nuovi (forse perché
venivano rilegati in pelle?) ed anche per il Sefer Torah.
Ma,
come ben sapete, ci sono berakhoth per il vino, il pane, i vari tipi di
cibo, per l’affissione della mezuzah, per le funzioni corporali, per i
viaggi, per il prelievo dalla Khallà, per il Miqweh, per
la netilath yadaym, per i miracoli, per il tuono, il lampo,
l’arcobaleno, per i profumi, per il pericolo scampato, per chi vede i
sapienti, per chi vede l’oceano, per le creature belle e per le cose
strane e inusitate… etc. Insomma, impariamo a servirci, davanti allo
stupor mundi, di questo strumento che ci fa partecipare al miracolo
della creazione con la coscienza di essere privilegiati dall’esistere.
Shabbath shalom
Israel Eliahu
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