Accensione ore 19.46
Havdalah 20.47
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HAFTARAH: Yeshaʽyahu 54,11 - 55,5
Se
volessimo tentare di elencare gli intellettuali Ebrei famosi nel campo
delle scienze, delle lettere, dell’arte, della filosofia, anche solo
degli ultimi due secoli, trascorreremmo ore ed ore in compagnia.
Adler, Marx, Benjamin, Adorno, Babel, Levi, Saba, Schmitz-Svevo, Erenburg, Mahler,
Bruch, Schoemberg, Celan, Chagall, Kraus, Kafka, Freud, Einstein…
potremmo continuare ad libitum. Tuttavia dobbiamo fare una
constatazione, per la verità ebraicamente dolente. La figura
dell’intellettuale ebreo è, non vogliamo dire sempre, ma molto spesso
scollata dalla sua identità religiosa ebraica, tanto che nella Praga
della fine dell’800 si chiamava con l’appellativo ingiurioso Literat l’intellettuale assimilato. I percorsi di assimilazione alla società contemporanea, nel mondo enfatico e ridondante del progresso, e della società “civile”,
che per gli ultimi due secoli ha tenuto bordone alla crescita
intellettuale ebraica, hanno condotto a questa perdita identitaria e in
qualche caso condotto all’odio di sé ebraico, così come
formulato da Theodor Lessing. Eclatante il caso di Marx o di Weininger,
ma anche quello di Kraus. Mahler si fece apostata per non naufragare
nella Vienna di Cosima Wagner. Pensavano di allontanare quel mondo così
lontano, ma poco oltre il confine dell’impero, popolato dalle povere
comunità ebraiche aggrumate negli shtetl dove misticismo e a volte superstizione erano la cordonatura della miseria e della persecuzione. Una piccola minoranza religiosa era emersa per cultura, talento e capacità nel mondo
affollato che aveva fino allora emarginato i suoi membri, isolati, costretti nei ghetti e aveva trovato un riscatto sociale nel mondo che li aveva espulsi ma aveva dovuto pagare un pegno: la perdita di quelle
connotazioni che li rendeva visibili per la specificità culturale,
religiosa, anche nelle dinamiche della diversità del
quotidiano. Era un prezzo folle, un tributo altissimo che in una
manciata di decine di anni avrebbe disgregato il tessuto stesso della
comunità ebraica, anche di quella italiana, impoverendolo di migliaia di
unità. L’assimilazione è un dramma che in poche generazioni ha
spogliato l’ebraismo conducendolo a prassi e riti dei goym per celebrare
il trionfo inutile e vessatorio di una pseudo civiltà al
tramonto. Molti oggi si sentono Ebrei per linea di sangue, per
tradizione, per censo ma non coltivano le leggi della Torah, perché
incompatibili con un mondo che va verso il baratro, e lo fa danzando. La
shoà avrebbe dovuto aprire gli occhi ai tanti che oggi non osservano le
mitzvot o si professano atei, come è emerso da recenti statistiche nel
mondo ebraico italiano. Quando i nazifascisti sono andati a prendere
dalle loro case gli Ebrei hanno guardato al cognome, alla discendenza
genealogica. Hanno prelevato anche già convertiti
al cristianesimo durante le funzioni in chiesa. A che è servita
l’assimilazione? Dramma nel dramma, molti Ebrei hanno riscoperto di
esserlo solo durante le persecuzioni razziali. Levi, Schoemberg fra
questi, ma anche tante altre persone che pensavano che la salvezza
potesse essere il mascheramento. La paura di riconoscere sé
stessi negli altri, nella diversità, ci ha stanati dalle case borghesi
dove la menorah ha convissuto con altri simboli o con i riti della celebrazione collettiva del nulla.
Per
questo Moshè aveva messo in guardia gli Ebrei dal rischio
dell’assimilazione vivendo a contatto con altri popoli; forse non poteva
aver previsto la diaspora e dunque l’acuirsi del problema, ma aveva
comunque posto fondamento alla difesa. Oggi la fascinazione del nulla è
più suadente, più subdola, tesse una tela dalla quale difficilmente ci
si libera.
Certo
se siamo arrivati sin qui vuol dire che il nostro popolo ha resistito
agli inganni greci, romani, anche alla barbarie dei re cattolici; oggi
abbiamo anche l’opportunità di coltivare quella fiamma che non si spegne
mai dentro ad ogni ebreo, anche se i nostri avi sono stati costretti
all’abiura come conversos, come anussim, il Santo Benedetto Egli Sia ci
ha dato l’opportunità di ritornare alla Torah. Le regole non le
stabilisce la modernità ma la Torah.
Shabbath Shalom
Israel Eliahu
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