Enrico Caruso, 14 settembre 1920
Il nostro ritorno da lontano ci fa ascendere al Suo Monte Santo
sabato 30 novembre 2013
giovedì 28 novembre 2013
SHABBATH 27 KISLEV 5774 / 29-30 NOVEMBRE 2013 - MIQQETZ - Si annuncia Rosh Chodesh
Boris Dubrov: Festa di Chanukkah, 2006
ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 16.24
Havdalah 17.25
Per le altre località clicca Q U I
PARASHAH MIQQETZ: Bereshith 41,1 - 44,17
HAFTARAH: Melakhim I, 3,15-28
Come già evinto dal colloquio
sulla scorsa parashah, che riguardava l’anima, quando si prendono in
considerazione argomenti complessi è opportuno sempre contestualizzare i
concetti e collocarli nel tempo in cui sono stati espressi. Un’analisi del
testo Toraico non può essere avvicinata arbitrariamente ad un concetto
estrapolato da testi medievali e cabbalistici. Questa settimana, occupandoci di
Giuseppe, cercheremo di capire qualcosa sul tema dei sogni nel mondo ebraico.
Anche in questo caso dobbiamo tener conto di come storie, cultura e linguaggio
modifichino la percezione e l’analisi della questione “sogno” nelle dinamiche
temporali della storia delle idee.
Nella Torah incontriamo il
tema del sogno per la prima volta quando il Signore si palesa nel sonno ad
Abimelekh per ammonirlo di restituire la moglie Sara ad Avraham, rivelando al
sovrano che Avraham è un profeta, cosa che non era stata prima compresa.
Poi incontriamo Jaʽakov con
due sogni, quello della scala e quello
con il quale esperisce lo stratagemma per ingannare Labano nella
divisione del gregge.
Scrive Giulio Busi: ”I sogni di Jaʽakov così come quello di Abimelekh non
sono metafore che alludono ad altro da sé, e neppure hanno bisogno di una spiegazione
che li proietti nel futuro, ma hanno un carattere che non necessita di altri
interpreti all’infuori della coscienza del protagonista. Tuttavia la funzione
del sogno nella scrittura è quella di rappresentare una realtà in fieri, di cui
le scene oniriche costituiscono una
specie di mimo simbolico anticipato”.
Come dire che il sogno
racchiude uno sviluppo futuro che viene in qualche modo anticipato; come nel
caso di Abimelekh è un avvertimento.
Tuttavia i sogni necessitano
di una lettura, di un interprete: vediamo come Giuseppe acquisti fama e fortuna
proprio grazie alla sua capacità di intendere il segreto dei sogni, ma che
proprio i suoi sogni avevano generato prima l’ostilità e la condanna da parte
dei fratelli. D’altronde Nabuccodonosor condannerà a morte i suoi sapienti
proprio per non aver saputo leggere, tra le pieghe della narrazione onirica, la
giusta interpretazione. Yochanan ben Nappaha, un saggio del III secolo, arrivò ad
affermare che i sogni, in realtà, dipendono dall’interpretazione che ne viene
data. Secondo i saggi del Talmud, che operano in un contesto in cui
l’ermeneutica è la regola, il sogno è veicolo incompleto della profezia.
Chi ci segue da tempo ricorderà che nella “meghillat Saragusanos” del
Purim di Siracusa in sogno appare il Profeta Eliahu per salvare dalla strage la popolazione
ebraica della città siciliana.
Mosè Maimonide riteneva che alcuni passi criptici
della Torah fossero raccontati come espressione di una forma onirica, ad
esempio quello dell’asina parlante, e che nel sogno il processo di profezia venisse
avviato ma non concluso se non con l’elaborazione successiva.
il Rabbino Yishaq Israeli
riteneva che i sogni provenissero dall’interiorità ed espletassero ciò che in
realtà giaceva nella psiche dell’uomo, cioè uno “strumento dell’intelletto per comunicare le proprie forme all’anima”.
Secondo Elʽazar di Worms i
sogni provengono dall’anima e durante la
notte vengono rielaborati da un angelo.
Allora si riteneva che l’anima durante la notte lasciasse il corpo, il
sonno infatti veniva considerato un sessantesimo della morte, e che ascendesse
ad una sfera più elevata, tanto che Cordovero pensava che al rientro potessero
accadere anche complicazioni dovute a promiscuità con altre anime di fantasmi-di defunti che avrebbero potuto innestarsi nel processo di rientro dando
origine a fenomeni di possessione come il gilgul. È interessante che Cordovero
ritenga che ogni risveglio corrisponda ad una nuova nascita e che le berakhoth mattutine siano in
realtà un ringraziamento per non essere rinato con l’anima di qualcun altro, ad
esempio una donna, un goy o uno schiavo (Chajes: Posseduti ed esorcisti nel
mondo ebraico. Bollati Boringhieri, 2010). Vi richiamo al cappello iniziale.
Il carattere divinatorio del
sogno è ben noto alla cultura ebraica, tanto da rendere sempre necessaria una
sua traduzione, ed è ben noto come abbiamo anche strumenti rituali che
consentono di volgere in bene un sogno nefasto.
Chi ha fatto un sogno cattivo
deve recitare un determinato rituale, che potrete trovare in ogni siddur,
davanti ad almeno tre persone. In casi di estrema gravità del sogno è bene fare
anche un digiuno.
“Hai trasformato il mio
lamento funebre in danza, hai slegato il mio sacco e mi hai cinto di gioia” si
dice fra l’altro, citando il salmo 30.
In fine ricordiamo il legame che lega Schlomo Sigmund Freud, ebreo,
padre della psicoanalisi, alla interpretazione dei sogni, con la chiara
consapevolezza che questo interesse, questa attitudine derivano dalla
ermeneutica ebraica e dalla interpretazione onirica che ogni ebreo osservante
praticava e tuttora pratica, così quello che da un punto di vista cristiano era
uscito dalla finestra come superstizione
e oscurantismo è rientrato
dalla porta come psicoanalisi.
C’è una vecchia boutade che
così recita:
Ci avete perseguitati,
rinchiusi, massacrati, offesi, umiliati, deportati, uccisi per 2000 anni, ma noi
ci siamo vendicati mettendo a nudo tutte le vostre miserie, le vostre colpe, le
vostre angoscie con la psicoanalisi e da voi stessi non vi libererete più.
Shabbath shalom
Israel Eliahu
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