ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 16.36
Havdalah 17.34
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PARASHAH VAYETZÈ: Bereshith 28,10 - 32,3
HAFTARAH: Hosheaʽ 11,7 - 12,14
Shalom a tutti.
Questa è l'unica
volta che la parola «scala» viene nominata nella Torah. E questo avviene nell'occorrenza
di un sogno. Anche se la raffigurazione successiva ha sempre rappresentato
una scala a pioli di tipo tradizionale, ci dice Busi che la radice nsb, star
ritti, fa pensare più ad una vertiginosa prospettiva verticale che dalla terra
si erge verso lo spazio cosmico. Quindi un veicolo di congiunzione dalla
dimensione umana e terrena a quella superna. Secondo la tradizione ebraica
dell'età tardo antica la scala che penetra le sfere celesti potrebbe essere
metafora delle linee sulle quali si spostano gli astri negli spazi superni,
simbolo archetipale della perfetta bellezza del creato; e per i cabalisti
dell'età successiva rappresenta una complessa macchina teosofica che
distribuisce le forze dell'emanazione del cosmo.
Nel Sefer ha Zohar la scala viene interpretata come la
preghiera "poggiata sulla terra, corrisponde alla shekhinah perché gli
uomini la intonano sulla terra e giunge al cielo, che equivale al Santo, sia
Egli Benedetto", insomma svolgerebbe la funzione dei tefillin, il ponte,
il veicolo della verticalizzazione del pensiero a D-o.
Ma quello che ci interessa maggiormente è che questa
rappresentazione avviene in un pensiero onirico autoriflessivo che,
contrariamente a quanto avviene di solito nell’ampia casistica onirica della
Torah, non viene interpretato ma, anzi, interiorizzato come una esperienza
ineffabile, sublime.
Nella Torah
generalmente il sogno, chalon, ha valenza profetica, traspone
l'occorrenza del quotidiano in una teofania, per questo necessita di
un'interprete.
Scriveva Rabbi Chisdà: "Un sogno non interpretato
è come una lettera non letta". E Yochanan ben Nappacha diceva: "Tutti
i sogni dipendono dall'interpretazione. Le visioni notturne sono una forma
incompleta della profezia".
L'esercizio
dell'anima che si distacca dal corpo ogni notte per ascendere verso la propria
sorgente celeste, come troviamo scritto nel Sefer ha Zohar, parrebbe aver
necessità di una chiave di lettura legata ad un interprete che possa dare un
senso alla visione.
E se la scala è una misteriosa manifestazione del
divino, come pare, si potrebbe supporre che in essa sia celata una realtà
dinamica in potenza, in cui il sogno si definisce quasi come un avvertimento
divino.
Ma è pur vero che
Yishak Israeli alla fine del primo millennio definisce le immagini oniriche
come strumenti dell'intelletto per comunicare le proprie forme all'anima e
Saʽadyah Gaon come visioni che hanno una relazione col vissuto e l'esperienza
sensoriale che nel sogno viene, in qualche modo, ricostruita.
Dunque che connotazione ha il sogno di Giacobbe?
Non è, come sarà
Giuseppe Baʽal hachalomoth, il signore dei sogni, perché Giuseppe, vedremo, possiederà
la chiave di lettura onirica, sarà interprete delle visioni notturne del Parʽoh.
Noi comprendiamo,
come ha scritto Maimonide, che sogni e visioni sono un eccesso, una sovrabbondanza
di influsso divino che deborda suscitando il manifestarsi delle verità superne,
ma Giacobbe nutre un altro sentimento davanti al suo sogno; Giacobbe prova
quello che Heschel chiamerà in «L'uomo non è solo" lo stupore radicale,
quello che si prova di fronte all'ineffabile.
Giacobbe prova il
senso del sublime, quello che forse ancora non gli si era rivelato, che esiste
una dimensione altra dello spirito; quello che raramente riusciamo a definire
compiutamente e a comunicare ad altri.
In definitiva prende
corpo quel sentimento che esiste in noi ma che si maschera nella quotidianità
dei gesti: la consapevolezza dell'ignoto. E comprende che le ricerche
della ragione - scrive Heschel - finiscono sulle soglie del conosciuto. Nel
sogno Giacobbe si inoltra in questa dimensione che confusamente non riesce a
definire, ma che lo meraviglia; e la meraviglia dice ancora Heschel, è all'inizio
di ogni filosofia, di ogni elaborazione del pensiero che si eleva
verticalizzando, verso il divino. Quando ci coglie il dubbio noi poniamo
domande, ma quando ci coglie lo stupore non riusciamo nemmeno a formularle.
Termino con questa citazione da L'uomo non è solo:
"Il senso
dell'ineffabile non assopisce la ricerca del pensiero, anzi, al contrario,
perturba i placidi e dissuggella la nostra impressionabilità repressa.
All'ineffabile ci si accosta attraverso una profonda conoscenza, e non con
ignorante sguardo animalesco. Per coloro che non cadono nell'errore universale
di considerare come noto un mondo ignoto e di dare soluzioni prima di avvertire
l'enigma, l'abbondanza di ciò che è esprimibile non sostituirà mai il mondo
dell'ineffabile".
Shabbath shalom
Israel Eliahu
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