Zalman Kleinman: Danza chasidica
La disputa
Nei tempi che furono, molte
questioni di natura dottrinale, religiosa, etica o filosofica si risolvevano
con Dispute ovvero tenzoni dialettiche
su argomenti controversi dalle quali emergeva vincitore l’uno o l’altro dei
contendenti.
In una cittadina del centro
Italia un vescovo cattolico era così accanitamente ostile agli Ebrei che per
disfarsene definitivamente, non potendo in quel momento appellarsi ad altre
leggi cittadine, decise di sfidare il rappresentante della comunità ebraica
mettendo in posta il diritto stesso alla permanenza degli Ebrei i quali, qualora
avessero perduto la disfida, avrebbero dovuto allontanarsi per sempre.
Ovviamente gli Ebrei non
avevano il diritto di rifiutare la sfida ma, poiché le capacità argomentative
degli Ebrei, ricchi di studi di Talmud Torah in ermeneutica e materie religiose
erano ben note, il vescovo impose la regola che la disputa si dovesse svolgere con
il solo utilizzo di gesti simbolici, nel più assoluto mutismo, certo così di
neutralizzare la temuta verve dialettica ebraica.
Per quanto gli Ebrei fossero noti anche per la continua gestualità
espressiva, nessuno trovava il coraggio di assumersi una responsabilità così gravosa in una sfida tanto
bizzarra. Né il Rabbino né altri dotti né i maggiorenti si candidarono a
rappresentare la Comunità Ebraica, temendo di cadere in un tranello dagli esiti
nefasti.
Poiché qualcuno doveva pur
presentarsi e le candidature andavano vacanti si decise allora che il prescelto
fosse Samuele, un sempliciotto che faceva lo straccivendolo, ma l’unico che si
era offerto volontario, confidando che il Signore Id-dio nella sua benevolenza
illuminasse, in virtù di quell’eroico gesto, la mente confusa del poveretto.
"Sei meshughe - gli diceva la
moglie - ti farai umiliare come al solito e ci toccherà di andare raminghi per
l’Italia e chissà dove altro. Tutti si ricorderanno di te solo per i guai che
ci procurerai".
"Che vuoi fare allora? - diceva il pover’uomo - qualcuno dovrà pur provarci, altrimenti ci cacceranno lo
stesso. Speriamo che Kadosh Baruch Hu si ricordi del suo figlio devoto".
Arrivò il giorno stabilito,
nel luogo deputato alla tenzone: la piazza davanti alla chiesa, che incombeva
greve sui poveri Ebrei che si erano riuniti per assistere alla sicura disfatta,
con i fagotti già pronti per fuggire altrove.
Dall’altra parte stava il Vescovo
con il suo codazzo di pretini e di fedeli.
La disputa ebbe inizio. Il
corpulento vescovo si piazzò nel centro della piazza e con un ampio gesto del
braccio disegnò un mistico cerchio nell’aria. Poi compiaciuto e tronfio attese
la risposta di Samuele lo stracciaio. Samuele sembrò con un salto attraversare
il cerchio sospeso nell’aria e penetrarlo. Sbalordito il vescovo aggrottò le
ciglia e il sorriso sarcastico sembrò mutarsi in un ghigno.
Allora l’alto prelato fece un
passo avanti e alzando la mano mostrò ai convenuti pollice, indice e medio della mano destra e attese.
Samuele scrutò accigliato il porporato, si fece largo fra i suoi e mostrò il
dito indice indicando verso l’alto. Poi, quieto rientrò nei ranghi.
Dall’altra parte la folla dei
fedeli cristiani ondeggiò intuendo che la sicumera e la protervia del loro
paladino stavano scemando.
Ansimando, turbato e
sorpreso, il vescovo prese un pane e un calice di vino, spezzò il pane e bevve
il vino, certo questa volta che la irriducibile intuizione ebraica avrebbe
mostrato il suo lato debole.
Ma Samuele non si perse certo
d’animo e con un gesto che parve studiato ma d’effetto estrasse da un maletto
di panno una umile mela, e con olimpica tranquillità la morse.
Stremato e grondante sudore
il vescovo si accasciò sulle ginocchia e coprendosi il volto con la stola
ammise di aver... perduto... Fu un tripudio! Gli Ebrei trascinarono Samuele in
trionfo per le vie della Giudecca fra canti e lazzi rivolti agli incirconcisi.
Rimasto solo con i suoi
prelati il vescovo pianse. "Ma... sua eminenza... che è successo, che
significavano quei gesti ieratici ed enigmatici?"
"Ebbene, quando ho tracciato
il cerchio io significavo che il Signore è ovunque sulla terra e nel
firmamento. Lui mi ha risposto che anche la terra che calpestano gli Ebrei è in
D-o".
Si tormentava le mani il rosso
prelato.
"Poi con le tre dita ho
mostrato la santa trinità, e lui mi ha risposto che
D-o è uno ed indivisibile.
Quindi ho mostrato i simboli di nostro signore il suo corpo e il suo sangue e
l’Ebreo mi ha ricordato che siamo tutti fratelli nel peccato originale. Ed io
mi sono sentito umiliato e perduto, senza più poter argomentare altro". Poi
chinò la testa nello scoramento, chissà se risentito o assorbito in nuove
riflessioni.
Nella Giudecca continuavano i
festeggiamenti e fu il turno di Samuele a spiegare le dinamiche che avevano
condotto al trionfo il meschino.
“Quello ha fatto un cerchio per dirmi che avremmo dovuto andarcene
dalla città ed io ci sono saltato dentro per
dirgli che saremmo rimasti a tutti i costi. Poi mi ha fatto vedere le dita per
darci tre giorni di tempo per lasciare le nostre case. Così ha fatto! Allora io
gli ho risposto che non ci contasse proprio, mostrandogli il dito. È stato a
quel punto, quando ha tirato fuori da mangiare che ho capito che avrebbe
lasciato perdere, così ho tirato fuori anch’io… la mia povera cena”.
Libero adattamento di Israel
Eliahu
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