Cominciamo da lontano, questo ci darà la possibilità di comprendere la contemporaneità di un popolo “dalla dura cervice”, unico sopravvissuto fra tutti i popoli che la storia ha ingoiato negli ultimi millenni. Sopravvissuto a lotte guerre, persecuzioni, catastrofi, senza mai avere perduto un principio: quello della identità religiosa, quella di ʽAm Israel, di unità anche quando mutavano lingua, patria, dogmi, maestri. Sola, rimaneva immutabile fonte di credo di sapienza e di giustizia, ma anche libro della memoria del zachor, RICORDA: la Torah.
Partiamo dunque dalla Torah, dal
primo dei devarim, i comandamenti.
“Io sono il Signore Id-o tuo
che ti feci uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi.
Non avrai altri dei al mio
cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine qualsiasi di tutto quanto esiste in cielo al di sopra o
in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra.
Non ti prostrare loro e non
adorarli poiché Io, il Signore D-o tuo, sono un D-o geloso, che punisce il
peccato dei padri sui figli sino alla terza e alla quarta generazione per
coloro che mi odiano. E che uso bontà fino alla millesima generazione per
coloro che mi amano (Esodo, 20, 1-6).
I primi due devarim sono
quelli che governano il rapporto degli uomini con D-o. Il Signore punisce sopra ogni altra cosa
la ʽavodà zarà, cioè l’idolatria. Pensate dunque che bella sorpresa per Moshè, al
suo ritorno dal Sinai, trovare un idolo, un vitello d’oro. Ma il vitello d’oro,
ci spiega il midrash, non è altro che l’eredità idolatra del bue sacro agli
Egizi, ed una pur piccola parte del popolo dell’esodo era Egiziana. Dunque la
commistione di due religiosità differenti, di due credo diversi, fonde il primo
ostacolo al cammino del popolo d’Israele nel deserto. Per questo D-o
attraverso il suo profeta Moshè mette in guardia e proibisce i rapporti con
altri popoli qualora possano portare
al rischio di idolatria. Vero è che basta l’accensione di un fuoco estraneo e
quindi idolatra a decretare la morte di Nadav e Avihù, figli di Aharon (Levitico 10,1 e seguenti
Parashah Sheminì).
Vediamo nella Parashah Vayshlach, come Jaʽakov rifiuta di seguire il fratello Esav per ricostruire la
famiglia sulla stessa terra, nonostante l’offerta fosse il completamento della
rappacificazione, proprio perché Esav si era sposato con una cananea, cosa alla quale poi cercò di rimediare, dato il dispiacere causato
ai genitori, sposando una discendente d'Ismaele, quindi di Avraham.
Fu quella la terza moglie, Basmat, detta anche Machalat, nome o soprannome che evoca appunto un desiderio di perdono, in questo caso per aver sposato una goya.
Fu quella la terza moglie, Basmat, detta anche Machalat, nome o soprannome che evoca appunto un desiderio di perdono, in questo caso per aver sposato una goya.
È proprio attraverso il
coniugio, le relazioni sessuali, il matrimonio misto che il rischio di assumere
comportamenti idolatri si fa più pressante.
Nella Parashah Balac si narra
di quando Israele stette in Scittim e il popolo, la parte maschile
evidentemente, cominciò a fornicare con le figlie di Moav. Le quali proprio attraverso
i rapporti sessuali inducevano poi gli
Ebrei a fare sacrifici e a prostrarsi ai loro idoli. Israel si congiunse al
Baʽal Peʽor e l’ira del Signore si accese contro Israel. Il Signore condanna a morte tutti coloro che si erano resi empi.
Solo quando Pinechas trafigge con la
lancia un Ebreo che si stava congiungendo ad una Midianita si arresta la carneficina, ma i morti di quella strage sono 24.000 (Numeri, 25 1-9, parashà Balac).
Dunque vediamo quanto sia violenta la condanna per chi si
macchia di ʽavodà zarà ma il problema, attenzione, non è di natura solo teologica
né di morale sessuale, per proibire il coniugio con altri popoli. Il problema è
anche la perdita patrimoniale. Il matrimonio ebraico sigillato da una ketubah è
un contratto che prevede in caso di ghet, divorzio (solo il maschio può
chiederlo o concederlo) la corresponsione alla moglie di un patrimonio che
viene definito appunto in un atto legale pubblico. Quindi in caso di ghet ci sarebbe
una perdita patrimoniale della famiglia e conseguentemente anche della tribù di
appartenenza se la moglie non dovesse essere stata Ebrea. E anche il levirato, cioè
il matrimonio della vedova con un fratello del marito sembra essere un
meccanismo che impedisce la perdita di sostanza e di patrimonio all’intero
gruppo familiare o tribale e non solo la volontà di dare discendenza al
fratello morto. Da questo si può desumere come il vincolo a sposare una persona
dello stesso popolo sia fondamentale ai fini della conservazione dell’eredità
sia spirituale che materiale.
Oggi il problema è
particolarmente sentito, in particolare in diaspora, molto negli Stati Uniti
d’America ed anche in Italia.
È
uscito recentemente un
libro di Alan Dershwitz che si intitola “The vanishing American Jew” nel
quale
l’autore mette a fuoco quanto i matrimoni misti interreligiosi, ormai al
58%
fra gli ebrei ortodossi ma al 71% fra i reformed, stia minando non
solo
l’identità ebraica ma metta in forse la sopravvivenza della più grande
comunità
ebraica della diaspora. Questo è dovuto al fatto che secondo la legge
ebraica i
figli di una coppia mista non sono Ebrei e cito da un articolo di
Giulio Melotti sul foglio quotidiano, si è parlato di Genocidio
spirituale e annichilimento del popolo ebraico, della sua identità,
della sua
eredità. ”I figli nel 70% ricevono un educazione laica nelle scuole
pubbliche
e, soprattutto una buona parte non riceve il dono della Milah, della
circoncisione, patto primo di D-o con Avraham. Un ebreo non circonciso
non può
partecipare alla vita religiosa, ovviamente non farebbe il bar mitzvah e
non
potrebbe partecipare alla preghiera pubblica. Certo potrebbe avere anche
una
vita sociale in contesto ebraico se nato da madre ebrea, ma a che
servirebbe se
non ad avere un’identità non partecipativa? Gli ebrei riformati oggi
assecondano le leggi o comunque le tendenze di opinione di alcuni stati e
di parte
dell’opinione pubblica preferendo che il ragazzo raggiunga l’età in
cui può
autonomamente decidere se farsi circoncidere o meno.
Anche riguardo alla macellazione
rituale, alla shechitah, che ha una forte valenza religiosa: viene osteggiato da
animalisti e da regole che vengono imposte dalla fra virgolette società civile,
pregiudizi frutto di ignoranza di persone che non sanno l’enorme rispetto che
hanno gli ebrei per gli animali, se considerate che il Signore ci impone di
rispettare di Shabbat anche il riposo degli animali, di non attaccare allo
stesso giogo un animale forte ed uno meno, di prendere le uova da un nido se la
madre è nei pressi.
Il problema dell’identità
ebraica nel matrimonio misto si avverte
in particolare quando la moglie non è Ebrea poiché sapete che l’ebraicità e materlineare. È Ebreo chi nasce da madre ebrea o si converte. I figli del patron di Facebook
Mark Zuckenberg, ad esempio, non saranno Ebrei. L’eredità materlineare non è
un’indulgenza al femminile: anche se non è certo, potrebbe derivare dal fatto
che nell’antichità era costume uccidere tutti i maschi del popolo vinto in
battaglia, tenendo come preda le donne; nel nostro caso con questo escamotage
si preservava l’eredità ebraica dando alla madre questo diritto. Non ve la voglio
barattare, come verità, è solo un’ipotesi credibile formulata da uno storico.
Comunque l’evidenza ci dice che il patto primo, il berit, il Signore lo fece
con Avraham, attraverso la circoncisione, e Itzchack fu Ebreo perché figlio di
Avraham e così Jaakov etc.
Tornando alla situazione
americana e inglese dei matrimoni misti possiamo affermare che due terzi dei
matrimoni ebraici stanno producendo bambini non Ebrei. La situazione in Italia
non è migliore, il problema non solo è molto sentito ma sta conducendo a
perdite significative nella già esigua popolazione Ebraica. Secondo
una statistica condotta dal settimanale Pagine Ebraiche il matrimonio misto è
la prima fonte di perdita delle già stremate comunità ebraiche italiane. Vi
sono altri motivi che adesso tenteremo di analizzare ripartendo dall’inizio, o
quasi, per capire la progressiva laicizzazione del popolo d’Israele, così come
è avvenuto per il Cattolicesimo in Italia e altrove. La secolarizzazione nel
mondo ebraico che oggi mette a rischio la stessa sopravvivenza delle comunità
ebraiche è la progressiva laicizzazione,
a mio avviso una delle possibili tattiche di autodifesa dal millenario
antisemitismo. Purtoppo molte persone anche
secondo sondaggi italiani si riconoscono nell’identità ebraica intesa come
popolo, come depositari di tradizioni millenarie, di una cultura con forti
specificità ma la fede e la vita religiosa stanno scomparendo dagli orizzonti
delle nuove generazioni.
Amos Oz, uno dei più famosi
scrittori israeliani, laico dichiarato, scrive:
“I laici consapevoli non
cercano tranquillità bensì inquietudine intellettuale, amano le domande più
delle risposte. Per noi laici la Torah è una straordinaria
creazione umana. Puramente umana, noi la amiamo e la interroghiamo”.
Eppure il popolo ebraico è il
popolo del libro. L’analfabetismo è stato sempre assente in tutti gli strati
della popolazione ebraica. Considerate che la percentuale in Italia ai primi
dell’800 era del 4,3 % contro il 71% dei non Ebrei. A tre anni i bambini venivano già iniziati
alla lettura in cerca di una più tarda consapevolezza, la Torah è il fulcro del
credere, esisteva ancor prima della creazione ed in essa tutto è contenuto,
presente, passato e futuro; dobbiamo solo saperla leggere. La Torah ad ogni lettura rivela
qualcosa di sé che era sfuggita ad una precedente lettura. Tanto che si ritiene
esistano 4 diversi livelli di consapevolezza del testo in una lettura ciclica:
Pardes, la parola giardino da
cui si ritiene derivi la parola Paradiso è l’acronimo dei 4 livelli di lettura
della scrittura;
Peshat, lo studio letterale;
Remez, lindividuazione di nessi, dell’unità
dell’insieme, collegamenti fra parole e radici uguali;
Darash, Spiegazione allegorica;
Sod, Segreto mistico, Kabbalà.
Da questo libro la nostra
storia ha trovato la propria articolazione, la sua stessa natura, la sua identità.
La trasmissione, la memoria,
il rapporto dialettico fra maestro e allievi, fra rabbino e discepoli ha
portato anche alla costruzione di un cosmo ermeneutico che correva in equilibrio
fra innovazione ed adeguamento nel rispetto e nella venerazione della Torah e
della tradizione.
Così arrivarono dapprima i
maestri della Mishnah, i Tannaim, poi i saggi del Talmud, gli Amorraim, poi i Savoraim, poi i Gheonim dell’ VIII
secolo, poi i Rishonim medioevali, poi gli Acharonim della prima età moderna.
Intanto gli ebrei vivevano in
diaspora in un mondo sempre più chiuso
ed autorferenziale, un microcosmo costretto in regole che gli altri non
condividevano e non comprendevano. Questo
arroccarsi sulla protezione della propria identità religiosa e sociale
corrispondeva all’isolamento che le istituzioni e il potere dei paesi ospitanti
imponevano alle comunità ebraiche come ad esempio il ghetto o il quartiere ebraico.
Lo shtetl, il villaggio rurale
ebraico tipico dei paesi dell’est europa era un autonomo insediamento che
viveva ai margini di qualsiasi tessuto connettivo sociale, spesso lontano dalla
cronaca e dalla storia, nella quale veniva precipitato dai pogrom
zaristi o dalle rivolte popolari come
quella del 1438 in
Germania quando agli Ebrei vennero addossate le colpe della peste nera; in
questo caso vennero date alle fiamme le sinagoghe e vennero trucidati migliaia
di ebrei, compresi donne e bambini.
Tuttavia è proprio grazie
alle regole di cui si nutriva la
Qehillah, la
comunità, che la tradizione rinsaldava i legami e dove qualcuno era
sopravvissuto alle leggi antisemite,
alle crociate ai pogrom, al rogo dei
libri, faticosamente rinasceva la vita ebraica.
Non ultimo possiamo ricordare il caso di un gruppo di siciliani
che emigrò in Belgio per lavorare nelle miniere. Costoro si presentarono in una
sinagoga affermando di essere Ebrei. Ma, poiché il rabbino si rese conto che
ben poco sapevano di liturgia e di tefillah, di preghiera, interpellò in Italia
Rav Toaff. Il quale prese informazioni
dai carabinieri di questo piccolo centro vicino a Caltagirone, che
confermarono che questo gruppo di persone viveva isolato; si sposavano solo fra
loro ed avevano strane usanze civili e religiose, avevano mantenuto la
tradizione della circoncisione e della accensione delle candele di shabbat. Ora, questo gruppo sopravvissuto all’editto di
espulsione del 1492 e alle successive leggi di conversione forzata è in
Israele, a testimoniare come la coesione di una piccola comunità fosse
sopravvissuta ai secoli.
Teniamo conto anche che nei secoli ci sono state le
conversioni forzate, come accadde in Sicilia per i conversos o marrani. Oggi
molti di questi Anussim ricercano nelle loro antiche tradizioni nascoste le
proprie matrici religiose.
Così come ci sono stati anche
casi di conversione ad altre confessioni.A questo proposito ricordo che la
conversione è un atto gravissimo, che chiude le porte del cielo e del mondo
futuro (in assenza di pentimento) e quelle della società di questo mondo (che
anche se si aprono in presenza di pentimento lo fanno con grande diffidenza).
«Un israelita che pratica un 'culto estraneo' è da
considerare come un idolatra per ogni cosa» (Maimonide ʽAvodà
Zarà 2:4-5).
Troviamo in Geremia: «Quando
qualcuno si converte è opportuno piangere: come quando il corpo si perde, si
piange, quando si perde insieme corpo e anima, a maggior ragione bisogna
piangere».
Ora non possiamo percorrere
se non per accenni il difficile cammino degli Ebrei ma cerchiamo di capire come
il fenomeno dell’assimilazione ha una
origine moderna.
Il settecento riformatore, la civiltà dei lumi, aprì lo scenario per un
progresso intellettuale e civile. Purtroppo l’universalismo razionalista
cancella tutte le peculiarità e le specificità linguistiche culturali
e di costume.
È il 1791 quando in Francia l’Assemblea
si pronunciò per la libertà e la pari dignità di culto.
Più tardi l’affrancamento
attraverso le leggi napoleoniche degli Ebrei ed il riconoscimento dei diritti
più elementari di ogni individuo, anche per questo popolo martoriato ed
escluso, consentì il formarsi di una borghesia ebraica che trovava la
sua collocazione nel più ampio scenario sociale.
Non fu semplice: anche in
questo caso si inserì nel dibattito politico l’eterna diffidenza che si provava
per la figura dell’ebreo, per la sua diversità di cultura e di lingua, ma in Francia nel XVIII secolo si potevano vedere
figure di aristocratici Ebrei che si nutrivano dello stesso umore che la
civiltà dei lumi produceva.
Montesquieu ne Lo Spirito
delle Leggi dedica due capitoli alla questione ebraica, difendendo gli
Ebrei dalla diffidenza erede delle
persecuzioni cristiane perpetrate ai danni degli Ebrei ritenuti deicidi.
Per un Montesquieu c’era
anche un Voltaire che considerava dei fossili sopravvissuti all’evoluzione al
progresso alla civiltà gli Ebrei che si nutrivano, scriveva, di superstizione e
di barbara ignoranza.
Ma altri nomi come D’Holbach,
Diderot, Rousseau prepararono il terreno sul quale crebbe l’Haskalah ovvero
l’illuminismo Ebraico.
Ma è con Moses Mendelssohn,
filosofo tedesco di religione ebraica, che l’Haskalah trova una sua
codificazione filosofica in epoca illuminista, tanto che, seppur verso
l'illuminismo ebbe un atteggiamento ambivalente, mostrando un'entusiastica
apertura verso l'ideale della tolleranza ma anche una netta chiusura verso il
laicismo o il deismo volteriano, per alcuni ancora oggi rappresenta la figura
che aprì la strada ad un nuovo modo di pensare e vivere l’ebraismo, per altri
segnò il primo passo che avrebbe condotto all’assimilazione e alla perdita
della identità religiosa a favore di un laicismo che garantiva la convivenza
con le altre istanze sociali e culturali.
Considerate
che in questo secolo penetra nella filosofia tedesca il cosidetto Spinozismo,
la filosofia del maledictus, attraverso
Lessing ed altri pensatori come Lau che tentarono di conciliare fede e ragione,
considerando la Torah
un mero codice di leggi comportamenti
storicizzatosi nei millenni. L'eresia principale che portò alla
scomunica di Spinoza sarebbe stata il non credere all'immortalità dell'anima ma
la causa
dell'inconciliabilità del suo pensiero con l'ebraismo nella sua identificazione
di Dio con la natura e nel rifiuto di un Dio-persona come quello biblico.
Spinoza inoltre asseriva apertamente di ritenere la Torah una fonte di
insegnamenti morali, ma non della verità; egli rifiutava il concetto di libero arbitrio e applicava la propria visione deterministica anche a Dio
Christian Wilhelm Dohm (contemporaneo
di Mendellsohn, nel 1781 pubblicò in due volumi “Sul miglioramento civile degli
Ebrei”) in cambio delle concessioni dei
diritti civili e politici chiede in cambio agli Ebrei “di riconoscere lo stato
come il suo stato, di contravvenire ai suoi più cari precetti, combattere di
shabbat, rinunciare ai pregiudizi sull’alimentazione, imparare il tedesco e insegnarlo nelle scuole, non
comminare scomuniche che
escludessero dal circuito sociale i suoi membri, abbandonare determinate
professioni per altre meno atte a corrompere il carattere. Di vestirsi e
comportarsi in maniera più dignitosa, nel secolo in cui l’eleganza francese
era corredo alla borghesizzazione europea, modificare le leggi sul seppellimento prematuro in barba ai progressi
della medicina, insomma gli si chiederà di non essere più… Ebreo”.
Ma
il pensiero di Mendelsshon si inseriva in un contesto già mutevole, dove la
produzione ermeneutica e filosofica era antica di secoli, dove il rigore del
quotidiano ebraico aveva lasciato il posto ad un formalismo vuoto e di maniera,
non per tutti si intende, ma proprio in quella classe sociale che godeva
maggiormente i benefici della crescita borghese.
Non
era e non sarà più difficile vedere che
i riti cristiani che coinvolgevano l’intera società tedesca tendevano a
coniugarsi con le modalità di espressione ebraiche.
Mendelssohn
studiò Spinoza, l’eretico, ma studiò anche i classici greci e latini fino a
Newton, Montesquieu, combattendo quella che Kant aveva definito l’immaturità
autoprocurata dell’uomo nei limiti dei retaggi culturali di appartenenza
religiosa.
Mendelssohn
era un letterato che si interessava di filosofia e di letteratura moderna in particolare
tedesca, lasciando taciute le sue peculiarità ebraiche e questo ne fece uno
degli intellettuali più ammirati del tempo. Pur seguendo ad esempio le regole
dell'alimentazione ebraica ed essendo rispettoso dello Shabbat e delle altre
regole ebraiche, la sua apertura mentale e i suoi interessi laici orientarono le nuove generazioni ad un ingresso
della ragione nel mondo ebraico permeato di tradizione e di oscurantismo. Secondo Mendelssohn si doveva uscire
dalla sclerotizzazione dottrinale, dal rigore ermeneutico che assorbiva tutta
la produzione dell’ingegno anche letterario. Egli propugnò questo principio “Adottate
i costumi e la costituzione della terra in cui vivete, mantenendo la religione
dei padri”. Questo assunto per l’ebraismo ortodosso non è praticabile. Tuttavia
è regola Talmudica che gli Ebrei debbano osservare le leggi dello stato che li
ospita, purché non contravvengano ai principi fondamentali della Torah.
Mendelssohn
sosteneva che le esteriorità come il vestiario e la lingua che
differenziavano gli Ebrei dai Goym dovesse scomparire .
In
altre parole anziché tessere l’elogio della diversità, che per quasi due
millenni era stata in parte voluta e perlopiù imposta, Mendelssohn chiedeva al
suo popolo di cancellare quelle peculiarità che impedivano una piena
integrazione nella società civile.
Io
ritengo che il pensiero di Mendelssohn
non rappresentasse l’innovazione ma fosse semplicemente il corollario ad una
evoluzione del pensiero ebraico verso forme di progresso civile e culturale
già iniziate con il fermento illuminista.
In Germania gli Ebrei si riconoscono
nell’enfasi di Goethe per la libertà individuale che sembrava incoraggiare
l’assimilazione. Heine discepolo di
Goethe divenne metafora dell’assimilazione, ma per gli antisemiti era il simbolo della distruzione dei valori
tedeschi.
La Cacania, come Musil chiamò
l’impero austroungarico, fu il terreno sul quale tutte le contraddizioni del
doppio sradicamento si palesarono, fu il laboratorio umano nel quale si sgretolarono tutte le radici
ancestrali ebraiche da una parte e le speranze dell’appartenenza ad una
identità nazionale.
I
morsi dell’antisemitismo razionalista da una parte (Voltaire scrisse Juifs, che
si può considerare il manifesto dell’antisemitismo moderno, scritto proprio dal
padre della tolleranza) Luterano dall’altra (Lutero scrisse un violento
libello dal titolo “Degli Ebrei e delle loro menzogne”) ed anche cattolico, sembrava
si fossero allentati creando le possibilità non tanto di un’integrazione
assoluta quanto di una quiete almeno apparente.
Non possiamo non citare il pamphlet di Carlo Marx “La questione ebraica”,
del 1848. Non è la sede per dilungarsi sulle disquisizioni marxiane di questo
aberrante libello, ma è sufficiente che io vi citi questo assunto per sussumere
il senso dello scritto:
“La forma più rigida del contrasto fra l’Ebreo e il Cristiano è il contrasto
religioso. Come si risolve un contrasto? Rendendolo impossibile. Come rendere
impossibile un contrasto religioso? Eliminando la religione!”.
In
realtà le ceneri dell’antisemitismo, come sempre, nascondevano braci. Il secolo
XIX sarà per gli Ebrei d’Europa il banco di prova della convivenza. Se da una
parte il progresso sociale e l’appartenenza ad una borghesia più o meno
illuminata favoriva il crescere della semenza ebraica nel campo delle lettere,
delle arti, della musica, della scienza, dall’altra era forse ancora più greve
il disagio che si provava di fronte a forme di ostracismo man mano che si
cresceva nella scala sociale.
Paradigma
di questa situazione fu sicuramente l’Austria felix.
L’Austria
di fine secolo fu considerata dai suoi stessi cittadini un vasto
impero saldo ed inamovibile dove nulla poteva mutare se non seguendo l’ordine
prestabilito. In un contesto sociale di benessere sembrava di vivere nel
migliore dei mondi possibili grazie all'idealismo liberale; il progresso
scientifico e tecnologico sembrava relegare gli scritti sacri dell’umanità a
inutili vestigia del passato.
In
questo contesto sembravano impensabili gli episodi di esclusione delle
componenti ebraiche dalla società colta e borghese. Tuttavia è paradigmatico
che proprio in questo contesto, citiamo un caso su tanti, un musicista ebreo come
Gustav Mahler fu costretto da Cosima Wagner alla conversione, per poter
partecipare alla vita musicale della capitale austriaca (A proposito: la madre di
Wagner sposò in seconde nozze l'attore e poeta ebreo Ludwig Geyer, secondo alcuni già suo amante e forse vero padre di Wagner. Vi
ricordo che fra i musicisti Ebrei troviamo Halevy, Meyerbeer, Mendelssohn
nipote, Schoemberg, Bruch, Sinigaglia che morì durante la deportazione,
Castelnuovo Tedesco, etc etc).
La
componente vitale e culturale dell’Austria è ebraica.
In Italia una legge sabauda del 1848 concesse
l'emancipazione, cioè i diritti civili, agli ebrei del Regno di Sardegna (poi estesa,
con l'annessione, a quelli del resto della Penisola). Di qui il patriottismo
che caratterizzò a lungo gli ebrei d'Italia, i quali parteciparono subito alla
vita della nuova nazione, condividendo professioni e idealità, e assimilandosi
totalmente al costume, pur mantenendosi fedeli alla loro religione.
Tuttavia
compressi dal Marxismo da una parte dallo spinozismo dall’altra, messi di
fronte a questa volontà di partecipazione alla vita e alla cultura
austrotedesca, fermenta nell’intellettuale ebreo quello che un altro Lessing,
questa volta Theodor Lessing (cognome mutuato proprio da quel Lessing che
scrisse Nathan il Saggio) definirà Odio di sé ebraico.
La
vicenda plurimillenaria di persecuzioni, sofferenze, castigo, di pena, pensate
al paradigma di Giobbe-Joab, costituiscono il paradosso dell’essere amati da
D-o, essere il popolo scelto ma essere anche il popolo massacrato, porta ad attribuire unicamente a sé
stessi la responsabilità di questa sofferenza perpetua, dell’esilio, della
discriminazione persecutoria.
Franz
Kafka sarà lo scrittore che darà il quadro di un’assimilazione mai compiuta, di
un'emancipazione che in realtà disancorava l’ebreo dal suo stato «naturale»
opponendogli un'irriducibile avversione a qualsiasi paradigma illuminista di
secolarizzazione.
Peter Gay definisce l’Odio di sé ebraico come il rovescio patologico della fiducia in sé medesimi
con la quale gli Ebrei tedeschi facevano valere la loro identità tedesca. L’Ebreo Otto Weininger in Sesso e Carattere pone le basi per il
razzismo biologico e l’antisemitismo filosofico.
Scrive
Weininger: Come
nell’altro si ama soltanto ciò che si vorrebbe essere per intero mentre non lo
si è mai interamente, così nell’altro si odia soltanto ciò che si non vorrebbe
mai essere e che invece in parte si è.
Vero
è che più tardi Manganelli scriverà che l’odio per il diverso non corrisponde
all’odio antisemita. In questo caso è la paura di sé stessi, nel riconoscere dentro noi proprio quella parte
importante della nostra cultura e della nostra fede che è l’ebraismo, insomma
il nostro sé ebraico.
Intanto
proprio nel mondo ebraico austro-tedesco sta maturando un’altra sensibilità,
quella del ritorno in
Eretz Israel; già
dagli anni trenta dell’ottocento prima ancora delle Istanze Sioniste di Theodor
Herzl.
Giovani
Ebrei scelgono la strada dell’alyà, la salita in terra di Israele e partono per
la Palestina
per fondare colonie agricole nello spirito del socialismo comunitario chè
è certo di Fourier e Saint Simon ma è soprattutto lo spirito
della Torah. Troveranno anche i prodromi del conflitto arabo ebraico che ogni
giorno nutre le nostre cronache. I giovani Ebrei subiranno attacchi e
devastazioni dalle bande arabe contrarie agli insediamenti pre-sionisti.
Tornando
alla Vienna che ospitava duecentomila Ebrei, medici, avvocati, notai,
commercianti, ricordiamo che vi era ovviamente una forte componente che sentiva
l’arrivo degli Ebrei che dall’est fuggivano dai pogrom e dalle discriminazioni,
come una invasione e avevano fondato un partito Pangermanista, antiasburgico
anticattolico e soprattutto antisemita.
L’antisemitismo
diventò poi un fenomeno di massa con l’ideologia populista di Karl Lueger.
Ed
è proprio qui che maturò il seme dell’odio nazista. Non ci soffermeremo su
questa storia che purtoppo tutti conosciamo, ma su un racconto scritto da Hugo Bettauer: La città senza Ebrei,
in cui si prefigura una Vienna dalla quale gli Ebrei si sono allontanati e che
vede fallire proprio quel modello che si fondava non sulla multiculturalità ma
sul tessuto economico che gli Ebrei avevano saputo tessere. Il fallimento
dell’Austria Felix, che a noi ricorda quello della cordonatura produttiva e commerciale della Sicilia dopo il 1492, poteva sembrare solo una favola ma Bettauer venne ucciso nel 1925 da un giovane nazista che rimase
impunito.
Dopo
il terribile massacro degli Ebrei a Kisinev nel 1903, Karl Kautsky marxista tedesco scriv:
“Per
far
cessare queste ostilità le minoranze recanti caratteristiche straniere
cessino di essere straniere e si mescolino col resto della popolazione”.
Il
29 aprile del 1920, parlando della questione giudaica nel
parlamento austriaco Leopold Kunschack propose questa soluzione:
Richiediamo perciò che gli Ebrei, se non possono essere espulsi e non se ne vadano volontariamente, siano immediatamente internati in campi di concentramento.
Richiediamo perciò che gli Ebrei, se non possono essere espulsi e non se ne vadano volontariamente, siano immediatamente internati in campi di concentramento.
Un
consigliere dello Zar, procuratore al
Santo Sinodo aveva espresso la
risoluzione della questione ebraica “una volta per tutte con la morte di un terzo della
popolazione, l’emigrazione di un altro terzo, e la conversione in massa del restante”.
Badate,
non vi stupisca che riemerga dal baratro più oscuro della storia questo
aberrante retaggio di violenta esclusione. Se nello stato pontificio c’era
stata una parziale liberalizzazione delle leggi che vietavano le libere professioni agli Ebrei, se Pio IX
aveva abolito la legge che imponeva di ascoltare 4 volte l’anno le prediche, così si esprimeva
lo stesso pontefice dopo la breccia di Porta Pia:
«Or gli Ebrei, che erano figli nella casa di Dio, per la loro
durezza e incredulità, divennero cani. E di questi cani ce n'ha pur troppi
oggidì in Roma, e li sentiamo latrare per tutte le vie, e ci vanno molestando
per tutti i luoghi. Speriamo che tornino ad essere figli».
Sostanzialmente
proprio la crescita della società ebraica e la partecipazione alla vita nazionale nelle lotte
risorgimentali aveva orientato il cattolicesimo ed
una parte della cultura clericale a riconsiderare il popolo ebraico come un
popolo pericoloso.
In
Italia,
nel 1895, venne anche pubblicato un romanzo di tal Cesare Algranati
che si dichiarava ebreo anconetano convertito al Cattolicesimo,
che con lo pseudonimo di Rocca D’Adria narrava di essere stato edotto,
dal suo
confessore e mentore, sui crimini perpetrati dagli Ebrei ai danni dei
Cristiani; fra questi, ovviamente, l’accusa del sangue. Questo testo
ancora
oggi viene citato nei siti antisemiti. In questo contesto, dove dalla
chiesa gli Ebrei Italiani sono visti come pericolosi
liberali, l’inizio del XX secolo si presenta ancora con la tensione
dialettica
fra un rinnovato progresso civile e la partecipazione degli ebrei alla
vita
pubblica culturale e politica, alla crescita sociale e, dall’altra parte
ancora
le istanze più retrive e torve dell’antisemitismo.
La sola
soluzione possibile della questione ebraica dunque sembra essere quella della sparizione degli Ebrei d’Europa.
Intanto
si comincia anche in Italia, dopo il congresso di Basilea del 1898, a parlare di Sionismo,
dell’utopistica speranza di una redenzione in terra di Israele.
Uno
degli apostoli del sionismo di Herzl fu, in Italia, Leone Racah.
Se da
una parte si fa sentire, a cominciare dalla comunità Triestina, più
mitteleuropea, la nuova rivoluzione del ritorno in Israele, dall’altra
in
questa temperie si avvertono gli aneliti ad una tranquilla normalità, ad una
vita prospera e pacifica, al rapporto paritetico con i non ebrei che conducono
ad istinti di assimilazione. Ne è un riflesso la letteratura ebraica italiana
fino al 1936. Se la cultura ebraica
mitteleuropea ha generato grandi narratori come Joseph Roth, Kafka, Singer,
Agnon, Zangwill, Shalom Aleichem, alcuni di esse scrivevano in yddish, la
mameluschen (lingua madre) e raccontavano la vita ebraica dall’interno di un
mondo lontano ma vissuto, il mondo rurale e proletario della ostjudentum che si
opponeva a quello della europa civilizzata e borghese dove gli arredi sacri si
riducevano ad orpelli nelle case degli Ebrei assimilati, in
Italia non si può parlare di letteratura ebraica in senso stretto, ma forse più
di una letteratura a bozzetto scritta da autori ebrei. Si può porre anche la
questione che cosa si intenda letteratura ebraica in diaspora. Baharier
sostiene che di una mera letteratura ebraica si possa parlare più facilmente
per la produzione ermeneutica e religiosa mentre per la prosa la narrativa si
assista sempre a modelli mutuati da altre culture, a commistioni di genere.
Tornando
al primo novecento in Italia possiamo segnalare che in tutti i romanzi e le
novelle di tematica ebraica emergeva
chiaramente il problema del conflitto sociale e psicologico in cui gli Ebrei erano e sono costretti a
vivere. Il caso Dreyfus, il problema delle persecuzioni nell’Europa orientale,
accenni a tematiche sionistiche e la questione dei matrimoni misti sono
centrali in tutta la produzione letteraria. Alberto Cantoni, Enrico
Castelnuovo, Guglielmo Lattes, E.D. Colonna, Gino Racah, alcuni nomi.
In un
romanzo intitolato I Moncalvo,
Castelnuovo immagina il contrasto delle due tendenze, l’una conservatrice l’altra
progressista tesa verso l’assimilazione, all’interno di una stessa famiglia.
Anche in questo caso vengono affrontate le tematiche sionistiche citando anche
il caso dell’Uganda che, per un certo periodo, fu ipotesi per un'alternativa
alla Palestina.
In un
romanzo di Graziadio Foà dal titolo Shilock senza maschera si affronta
direttamente la questione del matrimonio misto, lui Ebreo e lei Cristiana, ma
la superficialità dell’ordito
psicologico e la non conoscenza dell’ortodossia e della quotidianità ebraica
ne fanno più un bozzetto di maniera che altro.
Anche
Giuseppe Morpurgo si cimenta in Jom Hakippurim con le tensioni in seno alle
comunità ebraiche affrontando ed osteggiando il matrimonio misto.
Nel
1930 esce “Remo Manun avvocato” di
Adriano Grego. Qui in modo superficiale si affronta il problema della razza e
della discriminazione vissuta sempre col senso di colpa dell’essere Ebreo.
Peggio
ancora fa Alfredo Segre con Agenzia Avraham Levi. Qui emerge ancora con
l’odio di sé la attribuita vocazione affaristica del popolo ebraico.
La
seconda guerra mondiale, le leggi razziali e le persecuzioni nazifasciste
rappresentano un punto di non ritorno, esiste anche una teologia del dopo
Auschwitz, ma per quello che riguarda milioni di
Ebrei assimilati fu anche il banco di prova del fallimento della ricerca di
pacificazione e di assimilazione. Molti ebrei che furono deportati non erano
ebrei osservanti, molti non sapevano nemmeno più, dopo un paio di generazioni,
di essere Ebrei. Alcuni furono
prelevati in Chiesa la notte di Natale o nelle case dove luccicavano le luci
dell’abete natalizio. Pensate che in Germania Ebrei che erano arruolati
nell’esercito si fecero prelevare con addosso la divisa della Wermacht, venendo poi spogliati e internati come
tutti gli altri. Questo valse anche per autori dichiaratamente laici che videro
frantumarsi i propri sogni, le proprie vite. Vale per i Primo Levi, per le
Charlotte Salomon, per gli Arnold Schoemberg, i Giorgio Bassani che dovettero
fare i conti con la fine di una vita borghese e dorata, distrutta dalla tenebra,
dai mostri generati dal sonno della ragione e dalla banalità del male.
Considerate
che dopo il 1920 nel parlamento Italiano c’erano 19 deputati Ebrei, il sindaco
di Roma Nathan fu ed è tuttora ricordato come una figura di grande rilievo.
Mussolini ebbe un'amante ebrea, Margherita Sarfatti. Durante il fascismo
c’erano podestà Ebrei come quello di Ferrara amico di Italo Balbo e buona parte
degli Ebrei era iscritta al Partito Fascista o comunque, checché ne dica
Gattegna, seguiva con simpatia il profilo socialista di Mussolini. Ne fa fede
anche la parabola di Fortunato Formiggini, editore con grandi simpatie per il
fascismo fino a quando Giovanni Gentile gli scippò il progetto della Grande
Enciclopedia Italiana poi Treccani, e che finì suicida gettandosi dalla Ghirlandina,
la torre di Modena, dopo la promulgazione delle leggi razziali. Ma sono anche i
tempi di Papini, di Giuliotti, di Agostino Gemelli che scrisse una delle pagine
più violentemente antisemite fra le due guerre. Egli
infatti in occasione della morte per suicidio di Felice Momigliano scrisse: “Ma
se insieme con il positivismo, il socialismo il libero pensiero e con Momigliano morissero tutti i Giudei che
continuano l’opera dei Giudei che hanno crocifisso nostro signore non è vero
che al mondo si starebbe meglio?” Aggiunse poi “… sono gli Ebrei che hanno diffuso il socialismo il
comunismo la massoneria il dominio delle banche ed altre stregonerie…”.
Non è qui il caso di riprendere tutte le forme di
razzismo culturale e razziale espresse fra le due guerre, ci vorrebbero giorni,
ma così Giuliotti descriveva gli Ebrei: colorito olivastro, pelle untuosa,
capelli e barba abbruciacchiati, membra senz’ossa.
Terminata
la seconda guerra mondiale troviamo una sostanziale convergenza fra le forze di
sinistra uscite vittoriose dal conflitto con la resistenza. Ebraismo, sionismo
e antifascismo anche nella coniugazione comunista trovano uno stesso piano di
appartenenza.
Il Partito Comunista saluta inizialmente, pur con
prudenza, la nascita dello Stato di Israele. Galante Garrone, padre
costituzionalista esprime la legittimità giuridica ed intenazionale della nascita
del nuovo stato che, ricordiamo per gli
Ebrei è un ritorno nella propria terra, nella terra che D-o ha dato al suo
popolo così come è scritto nella Torah. Così come anche l’Unione Sovietica aveva appoggiato con interesse il nuovo insediamento Ebraico.
Ma dopo il 67, dopo la guerra dei sei giorni, conflitto combattuto
tra Israele da una parte ed Egitto, Siria e Giordania dall'altra, e che si risolse in una rapida e totale
vittoria israeliana con l’annessione di nuovi territori, l’URSS sposta il
giudizio verso una condanna di Israele che improvvisamente diventa
un’occupazione illegittima.
Il contesto geopolitico
di questo cambiamento sarebbe lungo da analizzare, limitiamoci a riconoscere
che da quel giorno il Partito Comunista Italiano, attraverso l’Unità si adegua
alla nuova politica sovietica.
Sull’Unità troviamo: Il sostegno ad Israele nasce da una
furibonda canea razzista antiaraba
frutto di una spietata logica imperialista.
Dopo il 67 un’altra
caduta nell’ambiguità identitaria accade per gli ebrei Italiani che si erano schierati a sinistra dopo la guerra.
Considerate che il
proletariato ebraico fu uno dei primi che si diede un organizzazione marxista
nell’impero zarista. L’Unione Operaia ebraica Russa, il Bund, fu fondata a Vilna nel 1879. Dopo Marx anche
Lenin, Stalin e Gramsci per citarne alcuni, si espressero sulla Questione
Ebraica.
Lenin, che aveva una
nonna Ebrea, si espresse sempre e solo in favore dell’internazionalismo contro
tutti i particolarismi. Secondo Lenin gli Ebrei non costituivano una nazione né
una razza, questo diceva è un punto di vista scientificamente inconsistente e
politicamente reazionario. Gli ebrei sono una “casta che si è perpetuata nelle condizioni del particolarismo ma una
volta liberata da tutte le interdizioni giuridiche e politiche si assimila facilmente al resto della popolazione”.
Per cui la soluzione della questione
ebraica consisteva nell’assimilazione e nella perdita delle particolarità
nazionali.
Stalin ribadisce che la sola origine
comune e qualche residuo del loro carattere e la religione comune non sono
sufficienti a farne una nazione e comunque la società capitalistica li assorbe
e accelera il processo di assimilazione. Successivamente il partito riconobbe
alcune caratteristiche ebraiche come Nazione senza territorio e pensò di creare
una Regione autonoma degli ebrei ma al
di là delle dichiarazioni di intenti di Poliakov sappiamo bene che lo stato
dove si concentrarono di più gli ebrei e anche gli Ebrei anarchici dei paesi
europei che avevano avuto la malaugurata idea di andare in Unione Sovietica, fu
la Siberia. In
ogni caso Stalin era fortemente avverso al
Sionismo perché opposto ai progetti di internazionalismo e marxismo, e
alle forme di aggregazione politica ebraica. Il fatto che Trotski, Zinoviev ed
altri oppositori fossero Ebrei può suggerire un’altra chiave di lettura.
Anche Gramsci si pose il problema della questione ebraica. Secondo la sua
personale opinione gli Ebrei italiani erano stati sempre dentro al tessuto
nazionale ed avevano una forte spinta identitaria italiana e comunque in Italia
non si poteva parlare di antisemitismo in quanto i processi assimilatori erano
così avanzati da intravvedere una soluzione “naturale” della questione Ebraica.
La storia lo avrebbe smentito clamorosamente.
Tornando a noi, dopo il 1967 la voce di
Umberto Terracini che dall’Unità condannava chi processava Israele restava una
voce nel deserto.
Romano Ledda
imputò alla natura ebraica di Israele il
fallimento di qualsiasi trattativa, Savioli abbracciò le tesi terroristiche di
Al Fatah e successivamente Berlinguer parlò di una identità nazionale rubata in
riferimento ai Palestinesi, Pajetta
allargò ai comunisti la ”lotta rivoluzionaria” del popolo palestinese. Questa fu una netta inversione di tendenza
che minò per sempre i rapporti fra sinistra ed Ebrei Italiani. La sinistra, cui molti ebrei avevano aderito
dopo la guerra comincia a coniugare, anche e soprattutto con i nuovi movimenti extraparlamentari,
un vecchio e becero antisemitismo con l’antisionismo. Gli anni 70 vedranno
tutte le formazioni comuniste impegnate in una perpetua aggressione all’unico
stato democratico della scacchiera mediorientale.
Fino alla legittimazione
dell’attentato di Monaco sempre sull’unità del 22 settembre 1972. L’elenco è lungo: ricordo solo che fu addirittura presa
d’assalto la libreria Rosa Luxemburg di Torino e poco dopo data alle fiamme.
Trovarono addirittura pompelmi avvelenati in un supermercato.
E fra i tanti
personaggi animati da un livore feroce vi ricordo Furio Grimaldi, il quale
spediva ai suoi compagni le bandiere Israeliane per essere incendiate durante
le manifestazioni.
Gli atti violenti e le
aggressioni verbali e non, non si contano più. Gli Ebrei tornano ad essere il
popolo del complotto plutocratico del capitalismo internazionale, invischiati
in relazioni sempre più fantasiose con massoneria, illuminati e quant’altro. Ai
tempi della segreteria di Craxi anche il partito socialista si spostò verso
posizioni filo arabe e filo palestinesi. Ma credo che ricordiamo tutti D’Alema
a braccetto con terroristi di Hamas a Gaza. Non voglio entrare in questioni di
merito, non è la sede né il momento per farlo, mi limito a segnalare che in
Italia le intimidazioni perpetrate dalla sinistra verso gli Ebrei ed Israele
non si contano. Bare
portate davanti alla sinagoga; mascherate da feddayyn da persone di Rifondazione
Comunista nel ghetto; boicottaggi del festival del libro; ritorsioni contro
Israele da organismi come le COOP alimentari; hanno impedito a docenti israeliani di parlare all’Università di
Firenze; Venezia un gruppo di docenti ha impedito collaborazioni culturali
con le università Israeliane; aggressioni di ex partigiani ebrei per la commemorazione della liberazione
(ricordate che sulla linea gotica, sul Senio combattè la brigata ebraica) etc
etc. Ma quello che più è avvilente è che l’antisemitismo-antisionismo consente
a destre estreme e sinistre di cooperare uniti contro il nemico. Ci sono stati addirittura campi
antimperialisti cui hanno partecipato frange di estrema sinistra e Forza Nuova.
Personalmente trovo improponibile che il giorno della memoria certi personaggi si presentino a
lacrimare pubblicamente per poi chiedere agli Ebrei italiani di prendere le
distanze da Israele. Comunque la si voglia vedere questa situazione ha reso
ancora più complessa la condizione degli ebrei, non solo in Italia ma
nell’intera Europa. La virulenta recrudescenza dell’antisemitismo, il
proliferare di organismi e siti antisemiti su internet si coniuga alle istanze arabe che sul
territorio europeo trovano fertile terreno di crescita. Non molto tempo fa un
deputato ebreo olandese ha invitato i propri correligionari a lasciare l’Olanda
dove non era più possibile garantire l’incolumità dei cittadini Ebrei; in
Svezia non è stato possibile giocare un incontro di Coppa Davis per una
sommossa nelle periferie arabe. Pensate all’attentato che ha lasciato sei morti
nella comunità di Lione.
Purtoppo anche all’interno
della stessa comunità ebraica italiana si sono determinate fratture fra quei
pochi che esprimono posizioni
filopalestinesi come Giorgio Gomel, Moni Ovadia (supportati da personaggi come
Dario Fo, Vattimo, Chiesa e bella compagnia) ovviamente non osservanti, non
religiosi, e chi d’altra parte vede in
Israele la sola via possibile di uscita da un Europa filoislamica che dà da
mangiare al coccodrillo sperando di essere divorata per ultima.
Dall’Italia ci sono
state due grandi emigrazioni verso Israele: la prima dopo le leggi razziali del
38, la seconda dopo il 67 quando le condizioni della politica e la strategia
dei media avevano creato un ulteriore senso di insicurezza in Italia. Oggi si
considerano almeno duecento persone l’anno che lasciano l’Italia per Israele, flusso
forse dovuto anche alla crisi che mina la solidità sociale e finanziaria. In
ogni caso la comunità italkit in Israele ammonta a circa 15000 persone a fronte
delle 35000 circa in Italia.
Già dal 1961 la stampa
ebraica pone un accento di allarme sulla emorragia assimilatoria che dimezzava
il numero degli Ebrei iscritti alle Comunità Italiane. Secondo gli ultimi
sondaggi, rivolti in particolare ai giovani, di Pagine ebraiche, la popolazione
Ebraica presenta un quadro frammentario ed inquietante. Molti degli iscritti
ammettono di non partecipare alla vita comunitaria, di essere favorevoli ai
matrimoni misti, di non seguire le regole della Kasherut ma soprattutto di
vivere una deriva ateista o non religiosa. Nonostante questo sentono in sé una
forte appartenenza al popolo ebraico nel quale si riconoscono. Molti di loro
nutrono simpatia e solidarietà per Israele nonostante una frangia critica verso
le destre israeliane. In questo ritratto a tinte fosche si riconoscono le
stesse problematiche che avevamo trovato nello sradicato Kafka e anche nel
padre della psicoanalisi Freud che scriveva:
Ciò che mi legava all’ebraismo non era la fede e nemmeno
l’orgoglio nazionale. Sono sempre stato un incredulo educato senza religione… Ma rimanevano altre
cose che rendevano irresistibile l’attrazione all’ebraismo e agli ebrei, molte
oscure potenze del sentimento, tanto più
possenti quanto più difficile era tradurle in parole, così come la chiara
consapevolezza della interiore identità...
Dalle forze politiche e
dalla intellighenzia sinistrorsa d’altronde si chiede questo agli ebrei, di
mantenere un profilo legato ad una identità antifascista e alla persecuzione,
finendo poi per cadere nella più violenta delle equazioni: Israele
= Nazismo.
Poco importa delle
tensioni e delle pulsioni della fede e della identità religiosa ebraica.
Nessuno sa o vuole sapere che la Torah propone un modello di giustizia sociale di
tipo Socialista Comunitario. Con questa gente, con le coniugate forze
dell’estrema destra e dell’estrema sinistra, con l’ignoranza spaventosa, con i
pregiudizi antisemiti con i quali si nutrono queste forze, comprese le
oltranziste lefebvriane, compresi i negazionisti che albergano in tutte le
frange nominate, non ultimi l’ateista Oddifreddi e il filosofo, si fa per dire,
Vattimo, non ci può essere né dialogo né residue speranze che la persecuzione
antiebraica possa cessare. Oggi che questo ideologismo perverso, nutrito di
superstizione e di ignoranza, trova nuovo vigore e si coniuga con il nazismo
islamico,la possibilità di un futuro di pace per gli Ebrei non è in alcun
orizzonte.
Segnalo
una voce, dimenticata, quella di Sartre
che nel 1944 scrive:
“Non
c’è tanta differenza tra l’antisemita e il democratico. Il primo vuole
distruggerlo come uomo per non lasciare sussistere in lui altro che l’Ebreo, il
paria, l’intoccabile; il
secondo vuole distruggerlo come Ebreo per conservare in lui solo l’uomo, il
soggetto astratto universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.
L’antisemita accusa l’Ebreo di essere Ebreo, il democratico lo accuserebbe
volentieri di considerarsi Ebreo”.
Concludendo
possiamo dire che i rischi della scomparsa del popolo ebraico oggi sono forti.
Da un
paio di secoli il popolo ebraico è colpito da un processo di sfaldamento e di
dissoluzione interna che è dovuto alla distruzione del tessuto connettivo
religioso, la legge della Torah.
Milioni
di Ebrei si dichiarano tali per storie personali, per appartenenza a saghe
familiari ma hanno una vita priva di contenuti ebraici dal punto di vista delle regole fondamentali. Regole
dell’alimentazione, regole sulla purità familiare e osservanza dello Shabbat.
Anche
sul piano delle politiche mediorientali non c’è da consolarsi. Anche qualora si
evitasse una guerra e si trovasse una conciliazione, la natura democratica di
Israele sancisce la sua propria fine. L’accrescimento demografico è talmente
sfavorevole agli Ebrei e favorevole agli Arabi che fra qualche generazione gli
Ebrei saranno in minoranza nel paese.
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