Karla Gudeon: L'albero della vita
ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 16.24
Havdalah 17.26
Per le altre località clicca Q U IPARASHAH VAYCHÌ: Bereshith 47,28 - 50,26
HAFTARAH: Melakhim II, 2,1-12
Shalom a tutti.
Il commiato di Jaʽaqob, che
comincia al verso 2 del capitolo 49 e termina al 29, ha una struttura
che sfugge a chi ha una Torah in
versione Giuntina o quella delle edizioni di Moshè Levi od altre di facile
reperibilità. Ma se controllate sulla Stuttgartensia la cosa balza agli occhi
anche graficamente. Siamo di fronte ad un componimento metrico, uno dei più
antichi che si conoscano. Dunque poesia ebraica. Poesia oracolare dacché il
vecchio patriarca morente disegna il futuro dei figli, di due nipoti ma in realtà
di tutte le tribù di Israele di cui le persone designate saranno i capostipiti.
Rav Somekh, che ha scritto un volume edito dalla Nuova Italia nel 1990,
ci mette subito in guardia dalle difficoltà che si incontrano
nell’interpretazione del testo. A cominciare dalla definizione che viene
generalmente data, quella di benedizioni (vedi ad esempio la derashah di Dante
Lattes). A parte il fatto che le prime
due forme oracolari contengono maledizioni, la radice brk rimanda oltre al
significato di benedire anche a quello di
salutare, quindi è probabile che si debba intendere nel significato di commiato
che il vecchio padre dà ai figli. Questo
dato non è certo irrilevante poiché rimanda ad un genere letterario a sé stante
che ritroviamo in altri passi biblici come ad esempio quello di Moshè. Fra
questi due testi c’è una forte parentela, quasi una filiazione dato che nel
secondo Moshè Rabbenu si rivolge alle tribù di Israele con altrettanti spunti
oracolari.
Secondo Rav Somekh è difficile attribuire la paternità del commiato al
nostro Patriarca, dovrebbe essere stato scritto in epoca successiva di molti
secoli. Sembra sia permeato da istanze nazionali e “politiche” di cui Jaʽakov
non poteva avere sentore, mentre sembra quasi essere assente quell’afflato
affettivo che invece dovrebbero connotare le parole di un morente. Mentre non è
necessario dubitare della concezione originale di un “Jaʽakov parlante”, gli oracoli certamente riflettono le
condizioni e le aspirazioni del periodo che vide il consolidamento
della nazione ebraica ed esprimono l’affermazione della coscienza collettiva
di Israele sulla condotta e il destino delle varie tribù”.
La critica si è espressa in
modo unanime sul commiato, ritenendo che si tratti del frutto di un unico
compilatore, probabilmente un Giudeo dell’età di David che ha utilizzato
diverse fonti e materiali precedenti poiché non tutti i brani relativi alle tribù
presentano una struttura omogenea. Resta intatto il messaggio,
il contenuto che ci è stato tramandato dal testo.
“L’Idd-o dinnanzi al quale
camminarono i miei padri, Abramo e Isacco, l’Idd-o che mi guidò da che son vivo
fino ad oggi; l’angiolo cioè che mi salvò da ogni male, benedica questi
giovanetti, si perpetui in loro il mio nome e quello dei miei padri ed essi si
moltiplichino in gran numero sopra la terra” (Gen XLVIII, 15,16).
Il nostro Patriarca affida il proprio retaggio, la propria eredità
spirituale ad un popolo nuovo con una struttura sociale che dovrà affrontare i
millenni, sopravvivendo alla temperie della storia quando gli altri popoli
verranno soggiogati dagli eventi lasciando solo tracce come testimonianza del loro
passato.
Shabbath shalom
Israel Eliahu
Israel Eliahu
Per saperne di più:
Alberto Somekh: Il Commiato
di Jaʽaqob (Gen 49, 2-27). Un’ipotesi di interpretazione in chiave
mediterranea. Firenze, La Nuova Italia, 1990
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