Israele invece è per me la tradizione, ispirazione al metodo per accedere al mondo circostante, alla creazione, alla conoscenza.
La presenza degli ebrei in Sicilia è attestata dai reperti archeologici a partire all’incirca dal 3900
(primi secoli dopo Cristo). La presenza ebraica in Sicilia era molto ampia e si pensa che alla fine del
XV secolo fosse composta da circa 37.000 unità. Nel 1454 si contavano 44 comunità e tra queste vi
erano alcune molto ampie come quella di Palermo e Siracusa, che avevano circa 5000 ebrei ciascuna.
Partiti dalla Palestina gli ebrei che approdarono in quest’isola amena, ricca di boschi, fertile centro
del Mediterraneo, ritrovarono un ambiente naturale identico a quello da cui provenivano.
Lo scenario all’incirca offriva un'immagine visiva incredibilmente emozionante.
Immaginiamo la vegetazione dei litorali sabbiosi ricca di colori, fiori e profumi dolciastri, che lascia
posto addentrandosi al verde dei ginepri e dei mirti delle dune alte.
Risalendo poi i corsi d’acqua (fiumi e fiumare) dolcemente accarezzati dalla brezza che incontra le
foglie dei salici, degli oleandri, dei papiri si viene colpiti dalla luce che quasi come un inno al sole
riflette il giallo delle ginestre e delle euphorbie e si è incantati dalla bellezza di alcune orchidee che
crescono al riparo dei lecci e dei biancospini. Il quadro è arricchito all’interno dell’isola dalla foresta
dalla macchia e dalla gariga in cui lecci, querce e piante da frutto, come agrumi, mandorli e ficus,
ne costituiscono il tratto inconfondibilmente caratterizzante.
È chiaro quindi che, attirati dalla bellezza del territorio, i primi ebrei siculi iniziarono a insediarsi.
Oggi forse dopo secoli la scintilla di ispirazione che alcune persone custodiscono potrà tracciare
nuovi percorsi affinché si ristabiliscano le radici dell’ebraismo anche qui.
Ebraismo e Natura è un argomento molto dibattuto, due categorie che già negli anni Settanta
avevano prodotto le riflessioni di rav Aryeh Carmell¹ e rav Elio Toaff ². Oggi finalmente si
riscoprono e lo si fa con la collettività, con la comunità, così come il mondo ebraico è abituato a fare.
L’ebraismo è in sé portatore, fin dalle sue origini, di un rispetto estremamente avanzato e radicale
della Natura ed è bene, quindi, che almeno alcuni di questi elementi di un atteggiamento così antico
e ricco siano conosciuti e divulgati.
Il rapporto esistente nell’ebraismo tra uomo e natura è molto stretto e lo si può riscontrare
esaminando il racconto della creazione del mondo in Genesi:
“… e D-O disse: la Terra produca germogli, erbe che facciano seme, alberi da frutto che diano frutti secondo al propria specie, contenenti il loro seme sulla terra … la terra produca esseri viventi di specie
varia, animali domestici di specie diverse … ecco io vi do tutte le erbe che fanno seme, che sono sulla faccia della terra, tutti gli alberi che fanno frutti e che producono seme, vi serviranno come
cibo…”.
L’uomo dopo che D-o ha smesso di creare ne continua l’azione e diviene in qualche modo suo
collaboratore nell’opera della creazione. È un mondo dinamico in cui l’uomo è autorizzato solo a
servirsi e a godere di ciò che D-o ha messo in essere ma non può e non deve alterare l’equilibrio per
il quale il Signore giudicò essere tov meod טוב מאוד, perfetto.
Midrash Kohelet Rabba VII-28: “… e D-o disse all’uomo: guarda le mie opere come sono belle e degne
di lode, tutto quanto l’ho creato per te ma stai attento a non rovinare o distruggere il mio mondo
perché se farai così non ci sarà dopo di te chi potrà porre rimedio ai tuoi danni…”
L’amore e il rispetto legano il popolo ebraico alla Terra ארצ "èretz” e alla Natura, in un rapporto
espresso in decine di atti rituali e liturgici, cominciando dalle grandi feste annuali che ponevano e
pongono tutt’ora la base per un sereno inserimento nell’ambiente naturale circostante, proseguendo
con riti particolari come la benedizione al sole o la preghiera mensile per la luna, il bagno rituale, la
tevilah טבילה nel miqvé (il rapporto sacro con l’acqua è uno dei cardini dell’ebraismo) che sono il
punto di partenza per un’intensa esperienza di elevazione spirituale/religiosa e soprattutto culturale.³
L’impianto dell’ebraismo è monolitico: D-O prima di tutto! Ma è anche multiforme perché considera
l’Umanità e l’Universo circostanti come tappe fondamentali nell’armonizzazione tra D-O e il suo
popolo all’interno delle comunità. Gli ebrei adorano D-O, ma nel farlo acquisiscono direttive umane
che indicano come trattare il prossimo, gli animali, le piante e la Natura in generale.
La Torah assume in tutto questo il ruolo di cardine della ciclicità tipica dello stile di vita ebraico che
permette al singolo uomo tramite la Natura, strumento fisico e tangibile, di percepire e intuire il movimento di apertura utile all’elevazione dell’anima.
Per questo motivo la ritualità e il rito assumono nell’ebraismo un significato escatologico importantissimo in cui l’ebreo si assume la responsabilità nei riguardi dell’evoluzione di tutta la creazione.
La Creazione, יצירה ietzirà, diviene allora il prodotto del Creatore affidato all’uomo per essere preservato, mantenuto, custodito e conosciuto, nell’armonia che il creatore ha stabilito.
Se Natura è Creazione, per l’ebreo Natura va ben oltre una mera raccolta e una semina.
Le feste ebraiche sono giorni speciali vissuti con enfasi e contentezza, in cui il ritmo rallenta, l’uomo si sente parte della creazione del suo mondo e con ritualità solenne consacra il prodotto del suo lavoro, della terra e il rispetto per le piante che li hanno generati.
Grazie alle piante, inoltre, è possibile ricreare ciclicamente quel continuum temporale col passato.
Il ciclo evoca una dinamica circolare e permette un virtuale status comunicativo atemporale con i
patriarchi in cui la vicinanza al Creatore rende più liberi i sensi.
L’uomo, come scrive rabbi Avraham (figlio di Maimonide) nel “Cosa serve per il servizio divino”,
deve saper riconoscere il godimento delle bellezze della natura come la contemplazione degli alberi
per i loro colori e i profumi dei loro fiori, dell’erba, dei fiumi, degli animali, del sole, della luna e
delle stelle, come essenziale per lo sviluppo spirituale che passa attraverso i sensi…”.
Recentemente anche rabbi Josef Leib Bloch ugualmente ha dato importanza alla contemplazione
della gloria della natura e all’eccitazione dei sensi che essa desta come via per ri-conoscere il Creatore.
Ma è tramite i riti tradizionali, in particolar modo quelli di alcune festività, che si va ben oltre la
percezione dei sensi e si accede ad un’idea superiore di creazione.
Nel far questo l’ebreo sottende al tempo, ma non ne viene catturato, ne è amico, ma lo utilizza, lo
conosce, ma lo rispetta, lo attende, ma non si fa trovare impreparato.
I giorni di festa sono giorni speciali nel calendario ebraico:
- Tu Bishvat è il capodanno degli alberi e si celebra mangiando frutti simbolici, con cui si
mettono in contrapposizione gli opposti;
- Sukkot, in cui si festeggia il raccolto della frutta e si celebra ciò che cresce dalla terra. Segna
l’inizio delle piogge in Israele;
- Channucà festeggia la fine del raccolto delle olive;
- Pesach, momento in cui si miete l’orzo e si semina;
- Shavuot, che celebra la raccolta di grano e frutta estiva;
- Tu Be Av, festa della vite e dell’amore;
- Rosh ha Shana, compleanno della creazione, il capodanno ebraico, in cui si consumano cibi
particolari e se ne celebra uno in particolare.
Nondimeno i riti particolari legati alla natura da eseguire secondo i dettami della Torah con preghiere
e atti particolari:
- Preghiera per la pioggia
- Preghiera per la rugiada la cena di Tu Bishvat
- Piantare gli alberi
- Begno rituale nel Miqvé
- Preghiere per la luna
- Preghiera per il sole
Le allusioni agli alberi sia nella Bibbia che nella letteratura rabbinica post-biblica sono molteplici e
spesso assumono valenze simboliche. Gli alberi della Bibbia non sono alberi speciali, tranne
qualcuno come l’Albero della vita e l’Albero della scienza del bene e del male che non si sa proprio come classificare!
Gli altri sono alberi comuni, si trovano sullo sfondo di una realtà agricola e offrono una serie di spunti per recuperare storie che richiamano ai valori della vita.
Non sembra che il “Sacro” abbia manifestato una qualche predilezione per determinate specie. Di alberi si parla molto spesso e si allude sia alla loro funzione alimentare, che consente la sussistenza e l’esistenza della comunità, sia a quella più elevata, intesa come segno della benedizione di Dio e come ricompensa per un corretto comportamento umano. La sensazione che si ricava è che l’uomo, nei confronti dell’albero, dovesse attenersi ad un rispettoso utilizzo, quasi un usufrutto, limitato da regole e divieti.
Solo recentemente abbiamo iniziato a comprendere fino a quanto la vita umana dipenda in effetti
dagli alberi e a renderci conto dei benefici che un ambiente ricco di foreste conferisce al clima, al
suolo e all’ecologia.
Del resto forse sono i veri e primi abitanti di questo pianeta.
Gli alberi rappresentano la forma vivente terrestre meglio riuscita⁴, le foreste e i boschi costituiscono
i più ricchi ecosistemi esistenti, capaci di fornire l’habitat adatto ad un’ampia varietà di specie.
Sono essenziali per le manifestazioni meteorologiche, per il clima, per il ciclo dell’acqua benefico,
per equilibrare le cariche elettriche tra ionosfera e superficie terrestre e ultimo, ma non per minor
importanza, per mantenere integro il campo magnetico del pianeta.
Nella Torah sono citati vari alberi: tra questi alcuni per i loro frutti (noce, vite, mandorlo, melograno,
gelso, palma, melo, fico, ulivo, pistacchio, carrubo) altri per il loro legno e per altri usi (tamerice,
salice, platano, cipresso, quercia, terebinto, cedro, mirto, acacia, legno di ebano, pioppo, olmo,
sandalo).
Nel territorio siciliano questi alberi sono tutti presenti.
Analizziamo la Parasha di Shofetim (Deut. 20: 19-20) in cui la Torah si rivolge all’esercito di Israele
che sta assediando una città nemica da molto tempo ed è tentato di distruggere gli alberi da frutto
tutt’intorno alla città: “…non dovrai tagliare questi alberi perché l’uomo è l’albero del campo…”,
che può solo significare che la vita dell’uomo dipende dagli alberi.
È interessante notare come la Ghemarà consideri il rimboschimento delle colline e delle montagne
di Israele come il più ovvio segno dell’imminenza dell’era messianica (Ezechiele 36:8) e in più
Maimonide in Holkhot Melakhim12:1 “… l’era messianica verrà solo tramite mezzi naturali…”.
Inoltre, benché la Torah si riferisca ai soli alberi da frutto, la proibizione di bal taschith (non distruggere)
si estende a tutti gli atti di distruzione gratuita per la creazione.
Il fuoco dell’altare del Tempio doveva essere mantenuto da un costante rifornimento di legna e la
Mishnà (Tamid 2:3) ci dice che la legna di tutti gli alberi poteva essere usata, tranne quella di vite e
ulivo che avevano un'importanza economica e sociale per la terra d’Israele.
E ancora un lungo e dettagliato elenco si trova nella descrizione del Tempio di Salomone:
“Dopo aver finito di costruire la casa, Salomone la coperse di travi e di assi di legno di cedro. Fece
i piani addossati a tutta la casa dando ad ognuno cinque cubiti di altezza, e li collegò con la casa
con delle travi di cedro” (1 Re 6,9-10 ); “… ne rivestì le pareti interne di tavole di cedro, dal
pavimento sino alla travatura del tetto; rivestì così di legno l’interno, e coperse il pavimento della
casa di tavole di cipresso. Rivestì di tavole di cedro uno spazio di venti cubiti in fondo alla casa, dal
pavimento al soffitto; e riserbò quello spazio interno per farne un santuario, il luogo santissimo.
I quaranta cubiti sul davanti formavano la casa, vale a dire il tempio. Il legno di cedro, nell’interno della
casa, presentava delle sculture di coloquintide (Citrullus colocynthis, una pianta erbacea dal fusto
prostrato il cui frutto, porta molti semi che contengono un principio attivo usato in medicina per le proprietà lassative) e di fiori sbocciati; tutto era di cedro, non si vedeva pietra” (1 Re 15-18).
La salute non solo fisica ma anche spirituale dipende da un luogo ameno: lo spirito umano non può
fiorire in un ambiente artificiale e per rimanere in salute nell’anima e nel corpo abbiamo bisogno di
accedere regolarmente ad un ambiente naturale.
Crescita spirituale significa appunto conservazione della vita e sviluppo del potenziale umano verso
il chesed (amore, consapevolezza) la quedushà (santità) e l’emeth (perseguimento della verità).
L’albero per l’uomo è da sempre considerato il simbolo della vita per eccellenza, il simbolo
attraverso cui si svolge il programma della creazione e attraverso cui l’uomo assume
consapevolezza. Senza addentrarci in argomenti profondamente rabbinici, possiamo dire che il
paragone con l’albero serve all’uomo per rappresentare il Creato come organismo vivente retto da
un dinamismo occulto simile a quello della linfa nel mondo vegetale.⁵
Nutrimento
L’albero per sopravvivere ha bisogno di due elementi nutritivi: la Luce e l’Acqua. È quindi un trasformatore di luce, in grado di formare i suoi costituenti strutturali solo partendo dai
due elementi sacri per eccellenza: la luce solare (in alto) e l’acqua (in basso) messi in comunicazione dalla linfa che è il portavoce delle informazioni utili alla trasformazione biochimica: linfa grezza che sale e linfa elaborata che scende. Metaforicamente allora l’uomo assume il ruolo di trasformatore di Luce Divina, diviene così un ologramma astratto e simbolico custode in ogni sua minuscola porzione di importanti frammenti che esprimono l’atto della programmazione Divina.
Al suo interno, come la linfa degli alberi, la sua linfa vitale chiamata consapevolezza anima la coscienza che permette alla Luce divina di manifestarsi. Ogni individuo incamminato verso la ri-scoperta della propria essenza dovrebbe tener conto dell’analogia Uomo-Albero, verificare se le proprie radici sono sufficientemente stabili e ben formate e concepire l’idea di senso di appartenenza che lo radica
nella tradizione (fondamentale nell’ebraismo). Verificando se vi siano segni di rifiuti di cui farebbe bene a
sbarazzarsene, permettendo che nella dimensione intermedia la linfa grezza (asse fisiologico umano) e quella elaborata (asse cielo-terra) non subiscano interruzioni di flusso. Infine come un bravo giardiniere con le proprie piante l’uomo controlla lo stato di crescita dei suoi rami, assicurandosi che siano
realmente diretti verso la Luce divina e non verso un ingannevole luce artificiale.
Sbarazzatosi del male e integrati gli opposti generatori di vita sul pianeta “svelerà” l’albero della vita tanto ricercato.
Il rito delle feste ebraiche, gli alberi e il territorio siciliano
Nel raccontare sulle piante citate nella Torah, si partirà analizzando l’albero e solo secondariamente
le feste annuali presenti nel calendario ebraico che lo prevedono.
La natura tenace, disordinata, ma indipendente ha saputo offrire al territorio siciliano una varietà
abbondante di specie che ognuna con la propria storia racconta vicende del passato.
Piante del quotidiano magari presenti in qualche grosso vaso ai bordi di qualche strada o ben protette da mani sapienti all’interno di magnifici giardini, che in realtà nascondono storie millenarie, che raccontano qui come dove le hanno vissute storie del passaggio dell’uomo alla ricerca del Divino.
Con il lento camminare qua e là nel silenzio dei territori Siciliani l’incontro con le piante del Libro
Sacro regala all’attento interprete uno scambio intimo, in cui culture, usi e consuetudini antiche
rivivono nell’uomo tecnologico di oggi.
In questi luoghi sono state osservate circa una settantina di piante (alberi e arbusti) che appaiono nel
corpus della Torah.
C’è spazio, com’è consuetudine nell’ebraismo, anche per una “favola” in cui, dopo che le tre piante
più pregiate, l’ulivo (Olea europaea) simbolo di abbondanza e di regalità, il fico (Ficus carica)
simbolo di pace e di serenità e la vite (Vitis vinifera) simbolo di ricchezza e di benessere, rifiutano
il potere per non perdere i loro frutti, si impone come re il rovo (Rubus fruticosus) arbusto rozzo,
infruttuoso che tende ad invadere e infestare i terreni e ad offrire in cambio solo l’ombra, qualcosa
di inconsistente e irreale perché si sposta secondo il movimento del sole.⁶
“Gli alberi si misero in cammino per crearsi un re. / Dissero all’ulivo: Regna su di noi. / Rispose
loro l’ulivo: rinuncerò al mio olio, / grazie al quale si onorano dei e uomini, / e andrò ad agitarmi
sugli alberi? / Dissero gli alberi al fico: Vieni tu, regna su di noi. / Rispose loro il fico: / Rinuncerò
alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, / e andrò ad agitarmi sugli alberi? / Dissero gli alberi alla
vite: Vieni tu, regna su di noi. / Rispose loro la vite: /Rinuncerò al mio mosto che allieta dei e
uomini, / e andrò ad agitarmi sugli alberi? / Dissero tutti gli alberi al rovo: Vieni tu, regna su di
noi. / Rispose il rovo agli alberi: / Se in verità ungerete me come vostro re, / venite, rifugiatevi alla
mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano” (Giudici 9,8-15).
Il salice, il mirto, la palma da dattero, il cedro: la Festa di Sukkoth
Queste quattro piante sono “legate insieme” da un destino di gioia e allegria, allegria per la
benedizione del lavoro, della fatica umana e della fede nel Signore.
Sono le Quattro specie identificate come Arbaʽt haminim ארבעת המינים menzionate in Levitico 23,40.
Nella Torah infatti troviamo scritto:
“Osserverai la festa della mietitura, delle primizie dei tuoi lavori, di quello che semini nel campo; la festa del raccolto, al termine dell’anno, quando raccoglierai i frutti dei tuoi lavori dal campo” (Esodo 23,16). “Celebrerai la festa delle Capanne per sette giorni quando raccoglierai il prodotto della tua aia” (Deut. 16,13). “Abiterete in capanne per sette giorni; ogni cittadino in Israele abiterà in capanne, affinché le generazioni future sappiano che ho fatto abitare in capanne i figli d’Israele, quando li ho fatti uscire dalla terra d’Egitto” (Lev. 23,42-43).
“Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di palma, rami di alberi frondosi e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni” (Levitico 23,40).
Sulle dune antiche di Vendicari non è raro incontrare macchie di Myrtus communis, inconfondibile
per il profumo intenso dei suoi fiori bianchi e resinoso delle sue foglie. I salici invece crescono
soprattutto nelle zone umide del Cassibile.
I termini ebraici per queste piante sono:
- ets Hadar (עצ הדר) alberi bellissimi
- temarim (תמריים) palme
- ets Avoth (עצ עבת) fitti alberi
- arvei Nachal (ערבי נחל) salici di torrente
Nella tradizione talmudica, i quattro sono identificati come:
- etrog (אתרוג) frutto di un albero di cedro
- lulav (לולב) fronda di una palma da dattero
- hadass (הדס) rami con foglie di mirto
- aravah (ערבה) rami con foglie di salice
Nel Midrash⁷ troviamo la nota sul legame tra le quattro specie simbolo del desiderio di unire i
quattro tipi di ebrei al servizio di D-o, il simbolismo è qui descritto:
- La palma, il lulav, è l’albero della sapienza, dà un frutto dolce ma senza profumo, simboleggia
coloro che studiano la Torah ma non possiedono buone azioni, sapienti ma non generosi;
- il mirto, hadass, ha profumo ma non ha sapore, simboleggia coloro che fanno buone azioni ma
non studiano la Torah, sono generosi, ma non sapienti;
- il salice, haravah non possiede né sapore né odore, simboleggia coloro che non fanno né buone
azioni e neppure studiano la Torah, non sono né generosi né sapienti;
- il cedro, etrog, è l’albero della bellezza; ha sia un buon sapore che un gradevole profumo,
simbolo di chi studia la Torah e compie buone azioni, è saggio e generoso.
Si dice inoltre che l’etrog simboleggi il cuore dell’uomo, il lulav la colonna vertebrale, l’hadass
l’occhio e l’aravah la bocca.
Si dice in più che le quattro specie ricordino i quattro periodi storici: il lulav il periodo dei re,
l’hadass l’era del Talmud e della saggezza, l’aravah l’esilio e l’etrog la speranza per il futuro.⁸
Legando al ramo di palma due rami di salice e tre di mirto si ottiene il lulav, utilizzato insieme
all’etrog per la cerimonia di benedizione chiamato naʽanuʽim (נענועים) in cui viene agitato nelle
quattro direzioni dei punti cardinali che si esegue durante la festa di Sukkoth.
La festa cade il 15 di Tishrì, fra settembre e ottobre: in ricordo degli ebrei che dimorarono per
quarant’anni nel deserto, si costruiscono delle capanne seguendo delle disposizioni ben precise.
Sukkoth segnava la fine del raccolto, dell’ultimo raccolto (quello autunnale) momento di grande
gioia e di ringraziamento per i prodotti della terra. Ma l’ebreo è attento al tempo e osserva la Mitzvà
di benedire la terra ai quattro poli durante i giorni di festa per non perdere la connessione con chi
assicurerà un nuovo raccolto l’anno che arriverà.⁹
L’Ulivo, la salvia hierosolymitana e la Festa delle luci
Esistono in Eretz Israel due piante legate da un destino indissolubile.
Una è l’Ulivo, l’altra una piccola pianticella semplice e delicata, caratterizzata da un profumo
intenso e ricco in olii essenziali: il suo nome è Salvia hierosolomytana, in ebraico Salvia morià.
La salvia in questione, una piccola piantina nativa di Eretz Israel, ha una notevole somiglianza con
la Menorà, anche se molte volte non la si trova a sette braccia.
Anche in Sicilia cresce, rara e spontanea, nella zona dei monti Peloritani, zona che si discosta molto
da tutto il resto del territorio montano siculo.
L’unione tra queste due piante dà vita al simbolo ebraico per eccellenza come accennato: la Menorà, il candelabro a sette braccia.
Il gran sacerdote aveva l’ordine di tenere la Menorà nel Santuario piena di olio puro di oliva e
accenderla ogni giorno (Esodo 27.30). L’olio di oliva brucia con una fiamma chiara e più brillante di tutti gli altri olii vegetali, ma non solo: anche la pianta è speciale, infatti il fogliame sembra illuminarsi quando il vento agita i suoi rami. Il lato inferiore di ogni foglia è di color argenteo e cosi l’albero acquista questi riflessi di luce. Quando la brezza del mare accarezza le coste rocciose del palermitano e del trapanese, zone in cui gli ulivi crescono in maniera spontanea, le loro foglie acquistano dei riflessi di luce incredibili.
L’albero di ulivo è sempre stato simbolo di luce già nell’antichità, luce e pace per il mondo.
“E la colomba tornò a lui, verso sera; ed ecco, essa aveva nel becco una foglia fresca d’ulivo; onde
Noè capì che le acque erano scemate sopra la terra” (Gen. 8, 11).
Il commento a questo passo nel Talmud esprime un’invocazione: “Possa il mio alimento essere
come l’ulivo e dipendere solo da Te (il Signore) piuttosto che essere dolce come il miele e
dipendere solo dall’uomo” (Talmud Bab. Eruvin).
Ulivo (zàit עצ הזית ) albero della vittoria e dell’eternità.
- Simbolo di Israele: “… Ulivo verdeggiante, bello, dagli splendidi frutti, / era il nome con cui il
Signore ti aveva chiamato. / Con grande strepito ha dato fuoco alle sue foglie, / sono bruciati i
suoi rami. / Il Signore degli eserciti, che ti ha piantato, / ha pronunciato contro di te una
minaccia (ra‘ah) / a motivo del male (ra‘ah) della casa di Israele e della casa di Giuda...”
(Geremia 11,16).
- Simbolo di vita e fertilità: “… la sua bellezza sarà come quella dell’ulivo, e la sua fragranza
come quella del Libano. Quelli che abiteranno la sua ombra faranno di nuovo crescere il grano
e fioriranno come la vite…” (Os. 14, 7).
- Simbolo della vitalità della sapienza: Sir 24,14, in un contesto che raduna le varie specie di
piante, offrendo le indicazioni geografiche che tratteggiano i confini della terra di Israele (Libano
ed Ermon al nord, Engaddi e Gerico a sud-est, la Sefelà (la parte bassa o pianura) cioè la zona
costiera del paese a sud-ovest e i luoghi dove le piante crescevano). L’allusione corrisponde
all’indicazione (Baal-Hanan da Gheder, agli uliveti e sicomori nella pianura; Joash, alle
cantine dell’olio); 1Cr 27,28, che ricorda una terra di uliveti con depositi di olio.
- Segno di benedizione: “… Il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile, paese di
corsi d’acqua, di laghi, e di sorgenti … paese di frumento, di orzo, di vigne, di melograni; paese
d’ulivi da olio e di miele…” (Deut. 8,8-9).
Unitamente alla vigna, costituiva un caposaldo dell’economia agricola del popolo di Israele.
Cresceva accanto alle abitazioni, nei vigneti e nei campi coltivati a tal punto che la terra di Israele
era chiamata “paese di frumento, di orzo e di viti, di fichi e di melograni; paese di olivi, di olio e di
miele” (Deuteronomio 8,8).
Qualcosa di analogo è accaduto nella terra sicula, dove l’olivo è una pianta a misura d’uomo: nasce,
vive e produce in virtù di un assiduo lavoro. Unisce tradizioni, consuetudini, pratiche contadine a
simbologie arcane propiziatrici e apotropaiche, che solo la memoria riesce a tenere in vita. Dalle sue
foglie medicamentose si ricavava un efficace principio attivo contro la febbre, l’ipertensione,
l’iperglicemia, ma non solo. Si stanno studiando anche le proprietà anticancro che sembrano
promettenti.¹¹⁻¹⁴
La festa delle luci, Chanukkah commemora invece la consacrazione di un nuovo altare nel Tempio
dopo la liberazione dagli ellenici, coincidendo con la fine del raccolto delle olive.
Si racconta che quando gli ebrei raggiunsero il tempio, c’era solo un piccolo recipiente di olio per
accendere la menorah, cioè il candelabro del tempio, ma miracolosamente l’olio bruciò per otto
giorni.
La festa dura otto giorni: la prima sera inizia con l’accensione del primo lume il 24 del mese di
kislev, poi, ogni sera, si accende una candela in più sul candelabro.
Intorno al 15 di Shevat (all’incirca la prima metà di febbraio) in Israele il primo albero a fiorire è il
Mandorlo con i suoi fiori candidi. Questa festa è menzionata nel Talmud e dà adito a una delle innumerevoli dispute tra Maestri. Sulla data in cui festeggiare si confrontano le due grandi scuole dei
due grandi Maestri Shammai e Hillel. Secondo l’opinione del primo la festa del Capodanno degli
alberi doveva essere festeggiata il primo giorno di Shevat, mentre nell’opinione del secondo doveva
essere festeggiata il 15. Com’è noto, l’opinione di Hillel viene seguita in molte controversie.
Interessante sottolineare come i due punti di vista siano specchio di una diversa e contrapposta
concezione tra potenza e atto: la scuola di Shammai ritiene che vadano prese in considerazione le
cose già in potenza, mentre quella di Hillel solo ciò che è in atto.
Nello specifico il problema è se considerare già germoglio ciò che ancora non è visibile, ma esiste
solo in potenza.
In Sicilia la fioritura è poco più tardiva. Le zone in cui il Prunus è spontaneo sono quelle dei monti
Nebrodi.¹¹
Nella prima visione della sua vita Geremia ode la voce del Signore: “Che cosa vedi, Geremia?”.
Risponde: “Vedo un ramo di mandorlo (shaqed שקד)”. Il Signore replica: ”Hai visto bene, poiché
io vigilo (shaqed) sulla mia parola per realizzarla” (Ger 1,11-12).
La visione del mandorlo in fiore è da sempre considerata elevatrice di coscienza.
È citato come uno dei prodotti migliori del paese: ”Israele loro padre disse: «Se è così, fate questo:
mettete nei vostri bagagli i prodotti più squisiti di questo paese e portateli in dono a quell’uomo: un
po’ di balsamo, un po’ di miele, degli aromi e della mirra, de’ pistacchi e delle mandorle»” (Gen.
43,11).
“Il Signore disse a Mosè: «L’uomo che io avrò scelto sarà quello il cui bastone fiorirà e così farò
cessare davanti a me tutte le mormorazioni che gli israeliti fanno contro di voi». / I capi di Israele
diedero a Mosè un bastone ciascuno, secondo i loro casati paterni, cioè dodici bastoni. / Mosè pose
quei bastoni davanti al Signore nella tenda della testimonianza. / Il giorno dopo Mosè entrò nella
tenda della testimonianza / ed ecco il bastone di Aronne per il casato di Levi era fiorito: aveva prodotto
germogli, aveva fatto sbocciare fiori e maturato mandorle” (Numeri 17,20-23).
Nel giorno di Tu Bishvat è usanza festeggiare il compleanno degli alberi piantandone uno e
facendo un séder in cui si mangiano frutti delle sette specie di albero da frutto per cui era rinomata
Israele, si leggono brani della Torah, di Ezechiele e i Salmi, si bevono quattro bicchieri di vino
secondo un ordine particolare: il primo bianco, il secondo bianco con gocce di rosso, il terzo per
metà rosso e per metà bianco, il quarto tutto rosso; il vino bianco e rosso simboleggia l’avvento
della primavera sull’inverno, il peccato e il pentimento (teshuvà).
“Il Signore Dio tuo ti introdurrà in una terra buona, terra di acque e di fonti, nei cui campi e nei
cui monti erompono gli abissi dei fiumi, terra di frumento e orzo e vite e fico e melograno, terra di
ulivo d’olio e miele, dove non mangerai il pane della miseria, e godrai di abbondanza di ogni
cosa; le cui pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame. Mangerai dunque a sazietà e
benedirai il Signore Dio tuo a causa del paese fertile che ti avrà dato” (Deuteronomio 8,8-10).
- il Fico - teenà תאנה (Ficus carica) albero del fondamento, le cui foglie servirono per coprire Adamo ed Eva dopo che mangiarono del frutto dell’albero che non dovevano mangiare, è un frutto simbolo di fertilità e vita gioiosa e ha spesso sollecitato l’immaginazione rabbinica:
“… Tutti i frutti hanno parti da scartare … ma il fico è tutto buono da mangiare… Così pure la Torah”.
“La maggior parte degli alberi fanno frutti che si colgono tutti insieme, mentre i frutti del fico si
raccolgono un po’ alla volta … Così anche per la Torah: oggi ne studi un po’ e domani di più…”
(Bamidbar Rabbah).
- Il Grano-Frumento (Triticum durum Des.)
“Il Signore Dio tuo sta per farti entrare in un paese fertile:paese di torrenti, di fonti e di acque che
scaturiscono sia in pianura che sulla montagna: paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi, di melograni, paese di ulivi, di olio, di miele” (Deuteronomio 8,7-8),
- L’Orzo (Hordeum vulgare L.)
“Così Noemi tornò da Rut, la Moabita,sua nuora, venuta dalla campagna di Moab. Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo” (Rut 1,22).
- La Vite (Vitis vinifera L.)
“Ecco, verranno (i giorni) dice il Signore in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva,
con chi getta il seme; dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù per le colline” (Amos 9,13).
- Il Melograno (Punica granatum L.)
“Giunsero alla Valle di Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in
due con una stanga e presero anche due melograni e fichi” (Numeri 13,23).
- L’Ulivo (Olea europea L.)
“Si misero in cammino gli alberi per crearsi un Re. Rispose l’ulivo: Rinuncerò al mio olio, grazie
al quale si onorano Dei ed uomini ed andrò ad agitarmi sugli alberi?” (Giudici 9,8-9).
- La Palma da datteri (Phoenix dactylifera L.)
“Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano: piantati nella casa del Signore fioriranno negli atri del nostro Dio. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi” (Salmo 92,12-14).
A testimonianza dell’abbondanza dei prodotti è il racconto della esplorazione del paese di Canaan
prima di entrarvi. Mosè inviò dodici uomini, uno per ogni tribù.
“Giunsero fino alla valle di Escol (a nord di Ebron), dove tagliarono un tralcio con un grappolo
d’uva, che portarono in due con una stanga (o una portantina) e presero melagrane e fichi. Quel
luogo fu chiamato valle di Escol a causa del grappolo d’uva che gli israeliti vi tagliarono”.
Anticamente era fissata per il 15 di Av (tra luglio e agosto) la festa della fine della vendemmia.
Ancora oggi molti Kibbutzim in questa data festeggiano nelle vigne questa suggestiva ricorrenza e
si organizzano feste e giochi.
Sempre in questa data venne stabilito che le figlie di una tribù avrebbero potuto sposare i ragazzi
appartenenti a una tribù diversa. Questo giorno venne scelto - secondo quanto ci racconta il Talmud
- per riconciliare le famiglie che erano in lite.
Tanto è antica questa festività, che nessun Maestro poté stabilirne con esattezza le motivazioni.
È comunque nel Talmud che troviamo vivaci descrizioni del modo di festeggiare: in questo giorno
le ragazze scendevano nelle vigne e danzavano. Indossavano tutte un vestito bianco, prestato da
un'altra ragazza. La figlia del re prestava il suo vestito alla figlia del Sacerdote, la figlia del Sacerdote
alla figlia dell'aiutante, e così via, affinché “non provasse vergogna chi non lo possedeva” (Talmud Bavlì, Taanit 31a). Tutte insieme illuminate dal bagliore della luna, danzavano nelle vigne, fuori dalle mura di
Gerusalemme, risplendenti grazia e giovinezza nei loro vestiti bianchi, e invitavano i giovani che non avevano già impegnato il loro cuore a alzare gli occhi per guardarle. Le più belle invitavano a ammirare
la loro bellezza, quelle provenienti da nobili famiglie invitavano a considerare la loro nobiltà e così via, fino alle meno belle e di famiglie umili, che ricordavano come la bellezza sia fugace, come una buona fama possa andare perduta e che solo una donna che teme Dio è degna di lode.
I giovani le seguivano, con la speranza di trovare una sposa, e così si innamoravano e si celebravano
i fidanzamenti. In perfetta armonia con il clima d'amore e di poesia del Cantico dei Cantici.
È il giorno della Vite, ghèfen גפן , albero dell’amore e della misericordia.
Per il popolo ebraico possedere una vigna era un buon investimento. Doveva essere cinta da un muro e da un fossato. In cima al muro, vi era una siepe di spine (Isaia 5,5) per impedire l’accesso a persone estranee o ad agli animali selvatici che potevano devastarla. Il primo viticoltore è ravvisato in Noè.
Ma questi, non conoscendo ancora il potere dell’alcool, si ritrova ubriaco: “Noè iniziò ad essere coltivatore della terra e piantò una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda”. (Genesi 9, 20-21)
Durante la vendemmia si dovevano lasciare i grappoli caduti o dimenticati sulla vigna perché anche
il povero potesse vendemmiare e avere un po’ di vino per le feste. La stessa legge valeva per le
olive e per il frumento: “Non racimolerai la tua vigna e non raccoglierai i grappoli caduti della tua
vigna. Li lascerai al povero e al forestiero” (Levitico 19,10). La maggior parte dell’uva raccolta veniva pigiata per fare vino. Tutte le feste ebraiche, compreso il sabato, venivano santificate con il vino. Assieme all’olio e al grano, le viti rappresentano l’abbondanza dei prodotti agricoli con cui Dio benedice la terra del popolo di Israele che osserva la sacra legge. Nel cantico dei cantici il vino diviene termine di
paragone di bellezza con un effetto di intensificazione del linguaggio amoroso “… migliori del vino sono le carezze dell’amata …”, mentre il suo ombelico è una coppa rotonda, mai priva di vino miscelato (Cant 7.3). Naturalmente non mancavano le focacce di uva. Isaia ricorda le “focacce di uva di Kir-Careset” (Isaia 16,7) altrimenti chiamata Kir-Moab (15,1), una delle città principali di Moab. Con la fine del secondo tempio e la conseguente cessazione delle offerte e delle libazioni, la presenza del vino nella liturgia ebraica non venne meno, poiché la bevanda fu regolarmente impiegata nelle cerimonie di apertura e di conclusione dello shabbat e delle celebrazioni festive.
Il Qiddush, cioè la consacrazione con cui si apre la ricorrenza religiosa consiste in una preghiera recitata sul calice di vino.
Il melograno (rimòn רימון) viene da molti considerato l’albero dell’intelligenza, della sapienza.
Per usi medici era raccomandato già nel Papiro di Ebers, circa 1500 anni a. C. Uno studio recente sul succo ha evidenziato la capacità di preservare l’ossidazione dei lipidi e quindi sarebbe in grado di manifestare notevoli proprietà antiossidanti e addirittura antidepressive.
Nel testo sacro, con i frutti del melograno si ornava l’orlo delle vesti del sacerdote Aron:
“All’orlo inferiore del manto, tutt’all’intorno, farai delle melagrane di color violaceo, porporino e scarlatto; e in mezzo ad esse, d’ogn’intorno, porrai de’ sonagli d’oro; un sonaglio d’oro e una melagrana, un sonaglio d’oro e una melagrana, sull’orlatura del manto, tutt’all’intorno” (Esodo 28,33-34).
Anche i capitelli che sormontavano le colonne del Tempio di Salomone “… fece due ordini di
melagrane attorno all’uno di quei graticolati, per coprire il capitello ch’era in cima all’una delle
colonne; e lo stesso fece per l’altro capitello” (1Re 7,18). “I capitelli posti sulle due colonne erano
circondati da duecento melagrane, in alto, vicino alla convessità ch’era al di là del graticolato;
c’erano duecento melagrane disposte attorno al primo, e duecento intorno al secondo
capitello…” (1Re 7,20).
Il melograno biblico è simbolo di fertilità e bellezza e raffigura la Sposa del Cantico dei Cantici,
ovvero il popolo ebreo che, già disperso in esilio, si appresta a ricongiungersi con lo Sposo, cioè a
rinnovare l’alleanza con Dio.
“Come sei bella amata mia … Le tue gote, dietro il tuo velo, come un pezzo di melagrana” (Cantico 1,4); “i tuoi germogli sono un giardino di melograni” (Cantico 4,13).
Nella descrizione della fertilità della terra promessa da Dio al suo popolo, i melograni compaiono
accanto agli altri alberi, come metafora di una terra fertile: “Ora il Signore, tuo Dio, ti porta in
una buona terra … una terra di grano, di orzo, di fichi, di melograni, una terra di olivi da olio e di
miele” (Deuteronomio 8,7-8).
Rosh ha Shana celebra il capodanno ebraico. La ricorrenza non è legata ad alcun fatto storico
relativo al popolo di Israele ma vuol ricordare la nascita della Creazione, in alte parole il giorno del
compleanno della Terra. E proprio in questo giorno si comincia a fare un esame di coscienza per
giudicare se stessi in rapporto al comportamento avuto durante l’anno trascorso, gli errori
commessi, le tentazioni alle quali non si è resistito. L’uomo con limitata sapienza e con speranza si
affida alla sicurezza che D-o è pronto a dare anche nel giorno in cui giudica il comportamento di
ogni uomo per decidere il destino nell’anno a venire.
La sera di Rosh ha Shana la tavola ha un aspetto particolarmente festoso e colorato e dopo la
consacrazione del Qiddush si prepara una fruttiera piena di melograni e mele.
I melograni vengono divisi tra i commensali i quali si augurano che durante l’anno le buone azioni
si moltiplichino come i semi di un melograno.
Torah e medicina
In Giobbe è scritto: “… tu mi hai vestito di pelle e di carne e mi hai intessuto di ossa e nervi…”
(Esodo 30:32). Da queste semplici parole si può dedurre come l’uomo debba essere considerato un
«prodotto» di Dio, il quale è l’unico in grado, così come l’ha creato, anche di guarirlo. ¹³
La guarigione è dono di Dio, ma anche opera dell’uomo (il medico) al quale Dio dona la sua arte.
Questa opera di mediazione è compiuta in Siracide.
Le «opere» sono le opere di Dio, che continua a dare agli uomini e alle cose una partecipazione alla
sua potenza guaritrice, diffondendo così il bene sulla terra.
Il benessere dipende da Dio e dal buon uso dei medicamenti che egli ha diffuso sulla terra e che il
saggio sa scoprire.
“Onora il medico come si deve secondo il bisogno,
anch’egli è stato creato dal Signore.
Dall’Altissimo viene la guarigione,
anche dal re egli riceve doni.
Da Dio il medico diviene saggio
dal re riceve doni.
La scienza del medico lo fa procedere a testa alta,
egli è ammirato anche tra i grandi.
Il Signore ha creato medicamenti dalla terra,
l’uomo assennato non li disprezza.
Dio ha dato agli uomini la scienza
perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie
Con essi il medico cura ed elimina il dolore
e il farmacista prepara le miscele.
Non verranno meno le sue opere!
Da lui proviene il benessere sulla terra”.
(Siracide 38,1-7)
Secondo la legge ebraica la protezione della vita (propria e altrui) e la tutela della salute sono
obbligatorie. Quest’obbligo, qualora sia in pericolo la vita dell’uomo, è preminente su tutte le regole
della Torah (Di Segni, 1976).
Ancora oggi la tradizione siciliana dà una giusta importanza alle figura degli ultimi «irvalori»
rimasti. Sono loro che custodiscono gelosamente la conoscenza delle piante bibliche, ma non solo.¹⁴
Alla fine del 1800 Pitrè¹ descriveva questi mediconi che, sapienti nell’utilizzo⁶ delle piante
medicinali, affiancavano il lavoro del medico e del farmacista nella cura delle patologie e nella
preparazione di estratti eccellenti.
Oggi alcuni medici, con grande fatica per la difficoltà di reperire le fonti, stanno cercando di
utilizzare la sapienza antica per offrire all’uomo cure più coerenti con il sistema naturale.
Dott. Giuseppe Vitale
Bibliografia
1- A. Carmell – “Torah views on science and its problems” – Association of Orthodox Jewish
scientist – Feldheim publisher – Gerusalemme 1978
2- E. Toaff – “I rapporti uomo natura nella filosofia e nella tradizione ebraiche” – Israel 1974
XL 11
3- A. Lorer – “Gmar Chatimah Tovah”
4- F. Hageneder – “Lo spirito degli alberi” – Crisalide edizioni
5- G. Busi – “Simboli del pensiero ebraico” – Einaudi editore
6- A. Todaro – “Piante bibliche in Terra d’Este”
7- E. Kitov – “Il libro della nostra eredità” – Feldheim publisher – Gerusalemme 1978
8- Vayikra Rabbah 30:12
9- Hag ha Sukkot, (http//www.karaite-korner.org/sukkot.html)
10- L’origine delle quattro specie (http://samuraiscientist.blogspot.com/2009/10/on-originoffour-
species.html)
11- G. Giardina – “Sicilia: piante vegetazione e ambienti naturali” – Orto botanico, Università di
Palermo
12- M. Zohary – “Plants of the bible” – Cambridge University Press
13- Chaim Vital – “Shaarei kedusha” – Providence University
14- P. Guarrera – “Le piante nelle tradizioni popolari della Sicilia” – Erboristeria Domani
15- A. Cattabiani – “Florario” – Mondadori Editore
16- G. Pitrè – “Medicina popolare siciliana”
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