ORARI DI SIRACUSA
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PARASHAH TERUMAH: Shemoth 25,1 - 27,19
HAFTARAH: Melakhim I5,26 - 6,13
Shalom a tutti.Con
la costruzione del Santuario itinerante e del Tabernacolo comincia per
il popolo ebraico una nuova dimensione della sua storia spirituale. Il
D-o che finora ha accompagnato il suo percorso in una costante teofania,
che si è manifestato nascosto nelle nubi o nell'invisibile, nella voce
che dona e comanda, chiede ad
Israele di risiedere in mezzo a loro. La nuova dimensione è quella
dello spazio. È importante comprendere questa nuova condizione perché un
giorno cesserà. Dopo la caduta del secondo Tempio e la dispersione del
popolo ebraico nella diaspora, questa dimensione s'interromperà. Tornerà
la parola ad essere la tessitura della dimensione temporale
di Israele
fino alla ricostruzione del Terzo Tempio in Eretz Israel.
Ma ora il Signore chiede di risiedere fra il suo popolo.
Lo
fa dando disposizioni costruttive precise. Chiede di dare misura alla
residenza del grande assente, chiede di dare corpo e dimensione spaziale
all'assenza. Vedremo fra due settimane che sceglierà, per realizzare il
mishkan, un architetto, un ingegnere, dunque un tecnico. Non un
filosofo, uno studioso, un profeta, ma un architetto. Dice D-o: La mia
chiamata giungerà per mezzo di Betzaleel ... lo riempirò dello spirito
di D-o per mezzo dell'intelligenza, della conoscenza. - Lo riempirò di
pensiero. Ricorda il grande Baharier che il nome Betzaleel si può
scomporre e si potrebbe leggere be tzal El cioè nell'ombra di D-o.
Il rapporto con D-o è questo, nella sua ombra. Come l'ombra è la
manifestazione di una presenza, ma impalpabile, non materica, anzi
staccata e distante, così a Betzaleel è dato di esprimere
questa
lontananza-assenza di D-o. Ne avevamo già parlato a proposito del
grande architetto contemporaneo Peter Eisenman che utilizza, per i suoi
canoni costruttivi, il principio dell'assenza come cardine della
teologia ebraica.
Nadine Shenkar ci dice anche che la radice trilittera di (be) se el (sic) cioè s l l racchiude in sé due sensi, suonare e coprire d'ombra o essere all'ombra, cioè: "Bezaleel,
attraverso il suo nome è sia colui che vive all'ombra della luce
primordiale, o En sof -il suo lato passivo, che riceve- sia colui che fa
risuonare, suonare nel mondo, la presenza - il suo lato attivo,
rivelatore nella materia atomica dell'essenza nascosta del Creatore".
Ombra e luce, silenzio e risonanza.
Nel
Sefer ha likutim Rav Isaac Luria di Safad (XVI sec) il Santo Leone di
Safad scrive "Bezaleel partecipa al segreto del tetragramma perché la
bandiera di Giuda era alla testa del campo. Betzaleel (All'ombra di D-o)
ha infatti modellato con le sue mani l'ombra dell'interiorità del Nome
ossia le tende e il Tabernacolo interni, mentre Ooliab ha eseguito le
tende esterne dello stesso Mishkan. Come un frutto e la sua scorza".
Comprendete
ora perché fosse importante parlare, seppur brevemente, di questo primo
architetto-artista, anche se lo troveremo soltanto fra due Parashoth.
Nell'affrontare
la derashah a Terumah si hanno sempre delle remore. Da una parte il
rischio è quello di riordinare tassonomicamente le prescrizioni divine,
dall'altra è quello di interpretare questo cambiamento straordinario con
un'ermeneutica azzardata e sbilanciata verso cabbalismi immaginativi.
Anatoli Yaʽaqov nel suo Malmad ha Talmidim, Il
pungolo dei discepoli, per prudenza sposta l'asse esegetico sulla
metafora della Casa di Dio come simbologia delle strade del Signore, dei
suoi insegnamenti.
Cita infatti il salmo 84,2-11: "... beato chi abita la tua casa ... Un
giorno nei tuoi atri è meglio che cento altrove, stare sulla soglia
della casa del mio D-o è meglio che abitare nelle case degli empi". Poi
sposta l'attenzione sulla kavannah nella preghiera, che porta alle strade
e alla dimora divina e sull'intelletto speculativo. Dunque come vedete
siamo ben distanti da una Parashah che invece indica una serie di prassi
costruttive soffermandosi su ogni dettaglio. Trovate in allegato alcuni
disegni.
Rav Elia Kopciowski invece affronta la questione della stratificazione simbolica: "È necessario tener presente che ogni frase, ogni parola nella Torah non ha un solo significato; ha anche un senso simbolico più ampio, come si deduce dal versetto - una parola ha detto D-o, due ne ho udite (Salmi, 62, 12) - Ricordiamo quindi che il Tabernacolo e tutte le sue suppellettili, oltre al loro significato letterale, avevano un significato simbolico e costituivano per tutti i figli di Israele un richiamo costante ai principi etici, morali, religiosi dell'ebraismo".
Rav Elia Kopciowski invece affronta la questione della stratificazione simbolica: "È necessario tener presente che ogni frase, ogni parola nella Torah non ha un solo significato; ha anche un senso simbolico più ampio, come si deduce dal versetto - una parola ha detto D-o, due ne ho udite (Salmi, 62, 12) - Ricordiamo quindi che il Tabernacolo e tutte le sue suppellettili, oltre al loro significato letterale, avevano un significato simbolico e costituivano per tutti i figli di Israele un richiamo costante ai principi etici, morali, religiosi dell'ebraismo".
Scrive ancora la Shenkar: "Il
Mishkan non è un luogo di culto, come comunemente si crede, ma un
microcosmo del mondo, una struttura mobile che i Leviti montavano e
smontavano a seconda del cammino del popolo nel deserto. L'opera
artistica di Betzaleel ha essenzialmente lo scopo di collegare il cielo
alla terra, di svelare i segreti del cosmo ai fedeli che entrano nel suo
sagrato. Ciascuno degli elementi che lo compongono è esso stesso un
simbolo e la complessità dell'insieme mira a tradurre l'infinita
complessità della vita e della sua relazione con il mondo cosmico".
Davvero si concretizza la relazione
fra microcosmo e macrocosmo? Non lo è forse lo stesso essere umano?
Aveva bisogno il Signore Benedetto Egli sia di esprimere le leggi del
creato in una dettagliata simbologia costruttiva?
Certo è che la complessa lettura in chiave simbolica
ha impegnato tutti i grandi esegeti e cabbalisti, anche nello Zohar
ritroviamo echi di questa ermeneutica.
Non è questa però la sede per approfondire questo
argomento, molto articolato e complesso ma, soprattutto, esposto ai
rischi di un'afasia mistica.
Tuttavia,
benché ne parli anche Lattes, citando anche il Kauffmann, è opportuno
soffermarci sulla questione dei Keruvim (vedete anche la tavola in
allegato).
Queste
due statue di legno ricoperto d'oro puro si ergono sull'arca chiusa.
Ovviamente il primo interrogativo che ci si pone è perché l'artigiano ha
potuto modellare, secondo istruzioni divine, due statue e nel posto più
sacro, quando gli stessi comandamenti ne vietano la creazione?
Esodo
20,2-5: "Non avrai altro D-o all'infuori di me. Non ti farai idolo né
immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è
quaggiù sulla terra né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti
prostrerai davanti a loro".
Deuteronomio
4,16-18: "Abbiate timore di pervertirvi fabbricandovi idoli,
rappresentazioni o simboli di qualsiasi cosa: immagine di maschio o
femmina, immagine di qualunque animale, immagine di un uccello che vola
nei cieli, immagine di una bestia che striscia nel suolo, immagine di un
pesce che vive nelle acque sotto la terra".
Come vedete dall'immagine che vi ho allegato, i
due Keruvim si fronteggiano ad ali aperte. La Torah ci dice che la
stessa voce di D-o scendeva fra queste ali quando si rivolgeva a Moshè.
Ovviamente la prima elementare risposta che ci sale alle labbra è che
questo è un ordine di D-o stesso e non riguarda strettamente la sfera
della comprensione umana. È riferito solo a questa occorrenza e non ai
suoi duplicati, ad esempio. Oppure si può obiettare che queste due figure non rappresentano alcunché di esistente e conosciuto dagli
uomini, ma in Devarim si parla chiaramente anche di simboli e di idoli.
Poco importa se non sappiamo con precisione quale fosse la morfologia
esatta dei Keruvim celesti.
Scrive
Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche: "Erano esseri alati con una
forma che nessun mortale ha mai visto". Dunque si desume descritti da D-o
stesso e mai visti dagli uomini.
Nel
trattato Yoma del Talmud Bavli 54a, troviamo questo commento: "Quando
Israele si radunava al Tempio per la festa di Yom Kippur il sipario del
Kodesh hakodashim veniva tirato e i presenti vedevano i Keruvim
toccarsi. Allora il Cohen hagadol diceva: - D-o vi ama come l'uomo ama
la donna". Quindi troviamo lo stesso principio enunciato nello Zohar
secondo il quale i due Keruvim rappresentano il principio maschile e
femminile. Ma restiamo pur sempre in un campo di contraddizione, questi
due esseri si protendono verso la stessa voce, la stessa Parola che li
nega in quanto rappresentazioni materiche.
Io credo che il commento che segue possa avere un buon valore esegetico. Ve lo trascrivo così come è enunciato dalla Shenkar.
"...
credo che vada accostato a un fenomeno interessante: Nel giorno di
Shabbat non è permesso nelle case accendere il fuoco, ma nello stesso
giorno il fuoco veniva acceso dai Kohanim nel Mishkan e in epoca più
tarda nel Tempio per i sacrifici. Dunque non si tratta tanto di un
divieto quanto di sfumature dell'interdetto: soltanto lo scopo finale
definisce un divieto o il suo contrario. Poiché il fuoco è simbolo di
lavoro umano, di cura, di creazione nella materia, non è permesso nello
shabbat, ma quando serve per un lavoro spirituale, come i sacrifici nel
Tempio, non c'è nessuna ragione per vietarlo. La statua è vietata perché
l'uomo potrebbe adorarla, ma quando è simbolo della coppia nel Santo
dei Santi, inaccessibile al pubblico ad eccezione di un giorno all'anno,
si può trovare perfino sull'Arca
dell'Alleanza".
Naturalmente
vi propongo questi testi come stimolo ad una riflessione, ogni parola
va soppesata e discussa con un interlocutore che sempre esprima un
contraddittorio, secondo un'importante regola talmudica.
Shabbath shalom
Israel Eliahu
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