giovedì 28 marzo 2013

SHABATH 19 NISSAN 5773 / 29-30 MARZO 2013


ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  18.00
Havdalah           18.59
Per le altre località vedi  http://www.myzmanim.com/search.aspx

LETTURE
PARASHAH
I Sefer: Shemoth 13,1-16
II Sefer: Bemidbar 28,19-25
HAFTARAH
Yechezchyel  36,37 - 37,14

lunedì 25 marzo 2013

PESACH 5773: 14 Nissan / 24-25 marzo Vigilia - Digiuno dei Primogeniti



Shalom a tutti.
A Pesach si sospende la lettura ciclica della Torah per le letture precipue di questi due sabati di Pesach. 
Sabato leggeremo da un primo Sefer un brano dalla parashah Bo (Shemot 12, 21-51). Si racconta di quando il Signore ordinò tramite Moshe di immolare del bestiame minuto, di intingere un mazzetto d'issopo nel sangue raccolto nei bacili e di spruzzare l'architrave e gli stipiti delle porte, poiché quando il Signore sarebbe passato avrebbe risparmiato le case degli Ebrei. Naturalmente la considerazione prima è che bisogno avesse mai l'Onniscente di questo gesto, dacché sapeva bene chi apparteneva al suo popolo. Ma questo gesto, che tra l'altro produceva un segno non visibile facilmente perché, scrive Rashì, doveva essere messo dalla parte interna dello stipite, era l'atto di adesione di ogni singolo Ebreo al progetto divino. La scelta individuale, il libero arbitrio è ancora una volta quello che il Signore ci chiede.
D-o ci chiede ancora di ripetere simbolicamente questo gesto di ubbidienza e di appartenenza ad Israele. D-o stesso, lo leggiamo in questa parashah, ci impone di ricordare perpetuamente questo atto così come quello di mangiare le azzime in memoria di quel pane che ancora non era riuscito a lievitare, perché "in quel medesimo giorno avvenne che il Signore trasse i figli d'Israele dal paese d'Egitto secondo le loro schiere".
Da un secondo Sefer si leggeranno alcuni versetti dalla Parashah Pinechas (Bemidbar 28, 16-25).
Qui si ribadiscono le norme per la celebrazione di Pesach: "Nel primo mese nel 14° giorno del mese è Pesach in onore del Signore. E il 15° giorno di quel mese sarà giorno di festa. Per sette giorni si mangerà pane azzimo".
La Haftarah di questo primo giorno è tratta da Yehoshua 5, 2 - 6, 1. Il racconto è relativo alla circoncisione di tutti quelli che erano nati nel deserto ed erano nati dopo l'uscita dall'Egitto. Costoro erano incirconcisi e per avere il premio di giungere nella terra che stilla latte e miele, la terra promessa dal Signore, dovettero risuggellare il patto con D-o attraverso la milà. Il patto primo che D-o chiese ad Avraham.
"Quando poi tutta la nazione ebbero finito di circoncidersi, quelli si trattennero ove erano nel campo, finché furono guariti. E disse il Signore a Yehoshua: oggi vi ho tolto di dosso il vituperio dell'Egitto (l'obbrobrio della schiavitù) e quel luogo fu chiamato ghilgal, e celebrarono Pesach il 14° giorno del mese, verso sera nelle pianure di Gerico. E nel giorno successivo alla celebrazione del sacrificio pasquale mangiarono del prodotto del paese, pani azzimi e abbrustoliti nello stesso giorno". Questo è l'aggancio relativo alle letture della Torah, ma rimarca anche come la liberazione da ogni Egitto passa attraverso la consacrazione di ogni individuo al Signore attraverso la Milà, perché solo nel patto di Israele l'uomo potrà essere libero.
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Il secondo giorno di Pesach si legge dal primo Sefer un brano della parashah Emor (Vaykrà 22, 26 - 23, 44). Qui il Signore dà tutte le disposizioni per le feste che devono essergli tributate in segno del suo intervento nella storia di Israele. Dallo Shabbat a Pesach, dal conteggio del ʽomer a Shavuot, da Kippur a Sukkot.
La lettura del secondo Sefer è come il primo giorno.
La haftarah del secondo giorno è tratta da 2 Melachim 23, 21 - 30.
Si racconta di quando il Re Giosia, che ripristinò il culto al Signore e Pesach che non era stata celebrata dal tempo di Samuele, fece distruggere tutte le tracce di culti idolatrici e ogni forma di sincretismo fu cancellata. "Né prima di lui vi fu alcun Re che facesse ritorno al Signore con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima e con tutte le sue forze, secondo tutta la legge di Moshè, né dopo di lui ne sorse alcuno pari a lui". Se mai ce ne fosse bisogno questa lettura ci invita a ricordare quali siano i rischi di una progressiva assimilazione del popolo d'Israele nella società contemporanea e di come dobbiamo essere rigorosi nell'osservanza di tutti i precetti, perché anche un solo cedimento od una non osservanza è una perdita della forza identitaria di Israele e una separazione da D-o. Quindi questa lettura ci mette in guardia da sincretismi, che possono allontanarci dalla legge della Torah. Nella legge non c'è nulla da aggiungere né nulla da togliere.
Chag Pesach sameach vekasher
Israel Eliahu

giovedì 21 marzo 2013

SHABATH HAGADOL 12 NISSAN 5773 / 22-23 MARZO 2013

Samuel Hirszenberg: Shabat
ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  17.54
Havdalah            18.52  

PARASHAH TZAV: Vayqra 6 - 8     
HAFTARAH TZAV: Yrmeyah 7; 8, 1-3; 9, 22-23

 Shalom a tutti.

Come di consueto un breve approfondimento su un tema tratto dalla Parashah di questa settimana, che vuole offrire lo spunto per  riflessioni e confronti.
All’inizio della nostra Parashah il Signore comanda ad Israele, attraverso Moshè, di mantenere sempre acceso il fuoco sull’altare. Anche oggi, nelle Sinagoghe, c’è sempre un Ner Tamid che arde davanti all’Aron Kodesh, proprio in ricordo del fuoco che ardeva perennemente sull’altare dei sacrifici nel Tabernacolo, durante la permanenza degli Ebrei nel deserto, poi nel tempio di Gerusalemme.
Questa piccola parola di genere femminile, Esh costruita con due consonanti, Alef e Shin, lettere madri, significa fuoco. La sua stessa pronuncia evoca il vibratile elevarsi della fiamma pantamorfa. Il fuoco innalza lingue simili a foglie di palma. I 4 bracci della Alef il cosmo compiuto, la sovranità del Signore e i tre bracci della Shin “ma ale lulavin” come foglie di palma, armonia e simmetria, lo spirito divino, fanno di questa parola una costruzione in sé compiuta.  Anche la Torah , parola di D-o, è fuoco nero su fuoco bianco. Sempre quando il divino si manifesta il fuoco accompagna la teofania. Pare quasi che accompagni D-o come sua prossimità manifesta.
Si direbbe abbia una funzione di mediatore simbolico che rapporta l’umile natura degli uomini alla misteriosa rivelazione di D-o.
C’è una connessione intima fra il D-o d’Israele e il fuoco. Il fuoco è anche il simbolo parallelo all’acqua lustrale della purità. Nel fuoco ci si monda, ma mentre il fuoco divino non si estingue quello degli uomini va alimentato. Spesso nella Torah la parola divina è fuoco: “e un fuoco uscì dal cospetto del Signore”.
“Moshè guardò ed ecco: il roveto era in fiamme, ma quel roveto non si consumava” (Shemot 3, 2). "Come questo roveto brucia in mezzo al fuoco -dice il midrash- eppure non si consuma, così gli Egiziani non potranno distruggere Israele”. Dove  gli Egiziani sono tutti gli Amalek, tutti i nemici di Israele passati e presenti.
In molte cosmogonie il fuoco è uno degli elementi primordiali e in molta letteratura apocalittica si prefigura l’azione del fuoco come ecpirosi. Nella temperie del pensiero ebraico medievale, Maimonide postula una equazione fra tenebre (choshekh), uno dei 4 elementi della creazione, e fuoco diafano, fuoco non luminoso, fuoco nero. Anche Nachmanide riprese il concetto di fuoco di tenebre nella dottrina della creazione perché  “… il fuoco è detto oscurità poiché il fuoco elementare è oscuro.”
Scrive Busi: “La nerezza di quel fuoco contiene in sé tutte le sfumature che apparentemente nega, la sua impenetrabile oscurità racchiude anche -nella immaginazione cabbalistica- la visione di ogni oggetto futuro”.
Ma il fuoco è luce, scrive Rashi in un commento a Geremia: “nel luogo nel quale non c’è un lume non c’è pace giacché chi procede inciampa, e procede nelle tenebre".
A Channukà il fuoco testimonia non solo l’avvenuto miracolo dell’olio, ma il fuoco di Israele, la channukia di ogni casa deve essere ben visibile da fuori: anche questa luce illumina lo spirito, per questo è proibito usare i nerot come strumenti per guardare la quotidiana occorrenza. Eppure il fuoco è anche l’unico elemento nel quale l’uomo non può vivere, ma è in grado di crearlo, non così con gli altri elementi. Come abbiamo visto nella derashà su Shabbat, il fuoco che pure apre lo Shabbat con l’accensione dei lumi affidata alla donna e lo separa dalla settimana con la Havdalah affidata all’uomo, non può essere acceso durante lo Shabbat perché rappresenta il dominio dell’uomo sulla natura. Ma il fuoco che viene acceso è quello che rischiara la vita spirituale, nella luce della Torah, nella osservanza dei suoi precetti. Scrive Jonathan Pacifici: “La benedizione dello Shabbat è proprio nella capacità umana di confrontarsi in maniera assolutamente impari con l’infinito ed accendere un lume alla presenza della Luce, perché se non ha ancora diritto alla Luce superiore, nulla lo esime dal cercare il massimo della luce della quale è capace”.   
Quel lume sabbatico -scrive Giulio Busi- simboleggia dunque, nella diaspora, quel fuoco perenne che ardeva sull’altare del tempio, secondo la prescrizione biblica: "Un fuoco continuo arderà sull’altare, non deve spegnersi" (Vaikrà 6, 6). Solo la fiamma di quel fuoco poteva restare accesa di Sabato e testimoniava, nel silenzio di ogni altra luce, la presenza visibile del D-o d’Israele”.
Shabbat shalom
Israel Eliahu    

venerdì 15 marzo 2013

SHABATH 5 NISSAN 7573 /  15-16 MARZO 2013

ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 17,48
Havdalah ore 18,46   
Parashah Va-iqrà Levitico I, 1 - V, 26
Haftarah di Va-iqrà Isaia 43,21 - 44,23

Con questa Parashah comincia  ויקרא  Va yqra, il libro che in Italiano è stato tradotto come Levitico. In Ebraico Va yqrà (potete trovarlo scritto anche Vaikrà) significa propriamente E (D-o) chiamò.
Si tratta di 27 capitoli che si riferiscono a leggi che lo stesso Mosè ha dato ad uso dei Leviti, della tribù di Levi, cui era stato dato il compito di sorvegliare il Mishkhan   e dei Cohanim.
È un libro essenzialmente legislativo. Leggi che regolano il culto, la giustizia sociale, la morale, leggi sulla purità (norme alimentari, unioni vietate)  e le istituzioni religiose come appunto i sacrifici di cui si occupa la nostra parashah.
La distruzione del tempio e la dispersione in galut hanno segnato la fine del culto sacrificale e il korban è stato sostituito dalla preghiera, rimarcando ancora di più la dissoluzione del concetto di spazio nell’ebraismo a favore della dimensione temporale e aniconica.
Il profeta Osea aveva vaticinato “L’offerta dei giovenchi sarà sostituita dalle parole delle tue labbra.” (Osea 14, 3)
Scrive Kopciowski: “Il culto sinagogale ha continuato a costituire così come un tempo il culto sacrificale … una ‘avodah she-ballev, un culto del cuore, un korban che avvicina all’eterno. Il nostro culto deve continuare ad essere, come all’epoca in cui si sacrificava sull’altare del Tempio, un fuoco che sale verso D-o, una fiamma che illumina la nostra anima, che riscalda il nostro cuore, che proietta la sua luce intorno come un’aura divina”.
Questa dimensione verticale dell’offerta, del rapporto quasi personale con D-o rappresenta il distacco dai culti sacrificali idolatri, realizzato attraverso una serie di regole e prescrizioni che liberavano i sacrifici dai legami con culti di altre popolazioni permeati di atti di magia o contro i propri simili.
Nel culto sono rimaste molte tracce del korban, si pensi al valore simbolico della zampa d’agnello nel seder di Pesach o all’afiqomen, entrambi in memoria e sostituzione del sacrificio di Pesach; o alla therumà che viene prelevata dalla pasta del pane in memoria della porzione che veniva data al Cohen; oggi si usa bruciarla recitando la relativa berakha: ........... lehafrish challà therumà.                               
È interessante vedere come molti sacrifici siano legati alle leggi della purificazione, in particolare quelli che interrompevano per un tempo determinato la partecipazione alla vita comunitaria e cultuale. Ad esempio si diventava impuri toccando un cadavere o una carogna animale; per malattie della pelle o la lebbra come metafora del deterioramento del corpo; con atti connessi alla vita sessuale.
Per liberarsi da questi stati e ritornare al culto e alla vita comunitaria si ricorreva a sacrifici di riconciliazione, di purità.
In tutti questi casi si può notare il grande senso di giustizia sociale che garantiva l’accesso ai riti e alla vita religiosa a tutte le categorie sociali, compresi coloro che non possedevano animali per il sacrificio, che potevano essere sostituiti con un decimo di efah di farina.
Ad esempio, alla nascita di un figlio la donna diventava impura per sette giorni se aveva partorito un maschio o quattordici se una femmina; inoltre veniva esclusa dal Santuario per venti giorni o quaranta. Doveva quindi offrire come sacrificio espiatorio una tortora e come olocausto un agnello, ma se la famiglia era povera erano sufficienti due tortore o colombi, l’una come espiazione l’altra come olocausto.
Il lebbroso che si riteneva guarito dopo essere stato allontanato dalla comunità o confinato in luoghi destinati ai lebbrosi, doveva essere sottoposto ad alcuni riti simbolici. Prima di riammetterlo alla comunità i Cohanim portavano una coppia di uccelli, naturalmente considerati puri, come colombi o tortore, una fronda d’issopo simbolo della purezza, un pezzo di legno di cedro simbolo dell’incorruttibilità, della lana porporina simbolo della vita e un vaso di terracotta pieno di acqua di sorgente simbolo di purità. Uno degli uccelli veniva sacrificato sul vaso cosicché il sangue colasse nell’acqua, poi l’issopo, il cedro e la lana legati assieme e intinti nell’acqua. Anche l’altro uccello veniva bagnato nell’acqua. Poi il lebbroso veniva spruzzato sette volte per renderlo libero da ogni impurità e l’uccello veniva lasciato al libero volo. Nel Salmo 51, 9 troviamo “techatte'eni ve'ezov ve'ethar techabbeseni umissheleg albin. Aspergimi con issopo e sarò puro, lavami e diventerò più candido della neve”.  Il rito proseguiva poi con la riammissione del lebbroso alla comunità, e l’ottavo giorno si offriva un sacrificio espiatorio.
Ma questa è materia delle prossime Parashot.
Shabbat shalom
Israel Eliahu


venerdì 8 marzo 2013

SHABATH 27 ADAR 7573 / 8-9 MARZO 2013
ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 17,41
Havdalah  ore 18,39
Parashah Va- jaqhèl Esodo 35, 1- 38, 20
Haftarah Va-jaqhel  Re, 7,  13-26
Parashah Pequdè Esodo 38,21 - 40,38
Haftarah Pequdè Re, 7,  40-50

Shalom a tutti.
Mosè convocò tutta la congrega dei figli d'Israele e disse loro:
"Ecco le cose che il Signore ha comandato di fare (i lavori per la costruzione del Tabernacolo). Per sei giorni si lavorerà, ma il settimo giorno sarà per voi giorno di riposo assoluto, Sabato consacrato al Signore; chiunque faccia qualche lavoro in questo giorno, sarà fatto morire. Non accenderete fuoco in tutte le vostre dimore nel giorno di Sabato". Con queste parole inizia la derashà di questa settimana ed è poprio a Shabbat che vogliamo dedicare questo approfondimento.
Queste parole che ascoltiamo da Mosè sono compendio dell'unica prescrizione rituale riportata nei Devarim.
Se non si osserva lo Shabbat si osservano solo 9 Comandamenti.
Vediamo ora le due versioni.

Shemot 20, 8-11
Ricorda il giorno dello Shabbat per santificarlo.
Sei giorni lavorerai e farai ogni tua opera
Ma il settimo giorno è Shabbat per il Signore tuo D-o.
Non farai nessun lavoro
Poiché in sei giorni D-o creò il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi
E il settimo giorno Egli si riposò.
Per questo D-o benedisse il giorno dello Shabbat
E lo santificò.

Devarim 5, 12-15
Osserva il giorno di Shabbat per santificarlo
Come ti ha raccomandato il Signore tuo D-o
E ricorda che fosti schiavo in Egitto
E il Signore tuo D-o ti trasse con mano forte e braccio disteso.
Per questo il Signore tuo D-o
Ti comandò di osservare il giorno dello Shabbat

La prima evidenza è nota: è la diversità fra Ricorda e Osserva. Shamor e Zakhor, sappiamo che la sera di Shabbat si accendono due nerot proprio a simboleggiare Shamor e Zakhor, ma dobbiamo considerare anche l'attenzione posta su due diversi attributi di D-o.
In Shemot è il D-o creatore, immateriale, privo di forma e aspetto. Una entità teologica astratta che permea di sé ogni aspetto del creato.
In Devarim il D-o che agisce nella storia, quello che mostra la sua possenza nel guidare fra le acque del Mar Rosso il popolo di Israele.
Un D-o coinvolto nelle vicende umane del suo popolo.
Scrive Aryeh Kaplan: “Alla luce di quanto detto possiamo capire il significato dello Shabbat: la fede richiede più di una semplice dichiarazione verbale; deve essere accompagnata anche dall’azione, segno concreto della nostra solida devozione a D-o. In Ebraico fede si dice Emunà, deriva dalla stessa radice di uman, ovvero artigiano; la fede non può essere separata dall’azione … L’unico atto concreto che può dimostrare che crediamo in D-o creatore del mondo e di tutto ciò che contiene è l’osservanza dello Shabbat …. Non osservare lo Shabbat è paragonabile ad un atto di idolatria. Trasgredire lo Shabbat equivale a negare implicitamente di credere in D-o.”
Prima di occuparci di alcune delle prescrizioni d’obbligo per Shabbat vorrei consigliarvi la lettura di Abraham Joshua Heschel: Il sabato e il suo significato per l’uomo moderno, Rusconi editore.
Eccone un breve stralcio: “Nello spirito biblico la fatica è un mezzo per il fine e il Sabato, in quanto giorno di riposo dal lavoro, non è stato creato per far recuperare le energie perdute e renderci idonei ad una nuova fatica: esso è stato creato per amore della vita. Il Sabato è il fine della creazione del cielo e la terra ………… Amare il Sabato è amare quello che abbiamo in comune con D-o. La nostra osservanza del Sabato è una parafrasi della Sua santificazione del settimo giorno. Il mondo senza Sabato sarebbe un mondo che ha conosciuto solo se stesso; sarebbe scambiare D-o per una cosa, sarebbe l’abisso che Lo separa dall’universo; un mondo senza una finestra che dall’eternità si apre sul mondo …… È un’occasione per raccogliere la nostra vita lacerata; per raccogliere il tempo e non per dissiparlo”.
Per il mondo Ebraico vi sono due tipi di Ebrei: coloro che osservano lo Shabbat, Shomrè Shabbat, e coloro che lo profanano, Me’halelè Shabbat.
Esiste un corpus di leggi, Halakhot, che riguardano lo Shabbat. Sono regole rigide che servono a santificare questo giorno e che non rappresentano privazioni ma offrono strumenti per accedere alle finalità che non sono solo spirituali ma legate anche al benessere: “Santificate il Sabato con piatti scelti, con splendidi indumenti; rallegrate l’anima vostra con il piacere ed io vi ricompenserò per questo stesso piacere”, Deut Rabbà 3, 1.
Queste regole sono molto severe e occupano due tra i principali trattati del Talmud Shabbat e Eruvin e quasi duecento capitoli dello Shulchan ʽArukh, ovvero il codice completo della legge Ebraica. Per comprenderne il valore relativamente al riposo consideriamo che D-o ovviamente non aveva certo bisogno di riposarsi dopo i sei giorni della creazione: “Il Signore, il D-o eterno, Creatore del mondo intero non conosce stanchezza né debolezzaˮ (Yishʽià 40, 28). Dio il settimo giorno smise di creare, cessò di interferire col mondo. Ecco anche quello che dobbiamo fare noi. Smettere d'interferire col mondo, sospendere il nostro tentativo di dominio del mondo. Accedere ad una dimensione superna, essenzialmente spirituale.
Il lavoro, in senso sabbatico, è qualsiasi atto che mostri il dominio dell’uomo sul mondo per mezzo dell’intelligenza e della volontà (Dayan I. Grunfeld: The Shabbat).
Riposo in senso sabbatico significa non interferire con la natura e non dare prova di dominio su essa. È uno stato di pace tra l’uomo e la natura.
Se da questa osservazione possiamo derivare un concetto generico di melakhà cioè di lavoro rituale, dobbiamo però conoscere le regole principali legate ai lavori che non devono essere compiuti.
È proprio nella nostra Parashà che Mosè ci dice che tutti i lavori che sono serviti per la costruzione del Tabernacolo devono essere proibiti di Shabbat. Non a caso il Mishkan è la corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo.
Eccovi le 39 melkhot cioè i lavori proibiti di Shabbat:
Trasportare, Bruciare, Spegnere, Completare, Scrivere, Cancellare, Cuocere, Lavare, Cucire, Strappare, Annodare, Disfare un nodo, Modellare, Arare, Piantare, Mietere, Fare covoni, Trebbiare, Spulare, Selezionare, Setacciare, Macinare, Impastare, Pettinare, Filare, Tingere, Intrecciare, Ordire, Tessere, Sfilare, Costruire, Demolire, Tendere Trappole, Tosare, Macellare, Scuoiare, Conciare, Levigare, Tracciare segni.
Vediamo ora nel dettaglio le proibizioni che interessano più da vicino la nostra vita e che non hanno un profilo strettamente agricolo o artigianale. Premetto che ci riferiamo all’Ebraismo ortodosso e che alcuni divieti secondari sono ancora discussi da varie fonti halakhiche.
Trasportare: Questo divieto riguarda il trasporto in luogo pubblico. È una delle poche categorie citate espressamente nella Torah, in occasione della Manna. Si raccolse la manna sufficiente  per due giorni per non trasportarla di Shabbat. Mosè disse: “Che nessuno esca dalla sua abitazione il settimo giorno”. In Bemidbar 15, 32 si racconta di un uomo messo a morte perché raccoglieva di Shabbat legna dunque la trasportava. Questa proibizione  riguarda anche oggetti piccoli come chiavi, o fazzoletti, borse, libri etc. Si possono portare solo gli abiti che s'indossano. Per questo motivo la chiave di casa si può legare ad una cintura elastica di modo che possa risultare una estensione di quello che si indossa. All’interno di una casa privata si possono portare oggetti ma sono esclusi quegli oggetti considerati muktsè, ovvero quelli che non è lecito toccare di Shabbat come sassi, pietre, matite, candele, apparecchi elettrici etc. Qualsiasi transazione è proibita anche all’interno delle mura domestiche. Di Shabbat tutti gli affari cessano: acquisto, vendita e commercio.
“Se le popolazioni (non ebree) della terra portano oggetti o cibo da vendere nel giorno di Shabbat, noi non compreremo nulla da loro di Shabbat o in qualsiasi altro giorno sacro” (Nechemià 10:32).
Bruciare: “Non accenderete alcun fuoco in casa nel giorno di Shabbat” (Shemot 35:3).
L’uomo attraverso il fuoco esercita il suo possesso sul mondo e produce energia.
Per questo è vietato accendere anche il più piccolo fuoco. Dal fornello a gas al fiammifero.
È vietato utilizzare apparecchi elettrici, telefoni. È vietato fumare anche se, per quello che mi riguarda il divieto dovrebbe essere totale poiché chi fuma produce un danno volontario al corpo che gli è stato dato e che invece dobbiamo custodire e proteggere.
È vietato anche accendere motori poiché si produce elettricità e combustione della benzina. Pertanto è vietato guidare di Shabbat. Alcune fonti rabbiniche consentono di prendere mezzi pubblici purché si abbia l’abbonamento visibile agganciato al vestito. L’autobus non passa specificatamente per noi e noi non agiamo sul suo movimento.
Spegnere: È vietato spegnere o abbassare la fiamma di Shabbat. Questo vale anche per il gas, la luce e qualsiasi apparecchio elettrico.
Completare: Sono proibite riparazioni e sistemazioni di ogni genere. Piallare, levigare, affilare, ogni attività inerente al miglioramento o al completamento di un oggetto. Compreso tagliare e strappare.
Si comprende anche il divieto di dare tocchi finali come mettere lacci nuovi alle scarpe.
È vietato anche accordare strumenti musicali, tanto che per estensione alcuni rabbini hanno vietato suonare qualsiasi strumento di Shabbat. È vietato anche gonfiare palloni, camere d’aria o salvagenti, fissare le vele e la navigazione su piccole imbarcazioni. Tuttavia è consentito viaggiare su una nave guidata da non ebrei, purché imbarco e sbarco non avvengano di Shabbat.
È altresì vietato andare in bicicletta, ma altre fonti rabbiniche lo consentono, in particolare per raggiungere il Beth HaKeneset in città estese con la Sinagoga lontana da casa, a condizione che, in caso di guasto, come una foratura o lo deriva della catena di trasmissione, la bicicletta non venga riparata. A tal fine l’autorità rabbinica può delimitare un eruv, ossia una deroga sul più breve percorso fra la residenza e la Sinagoga, soprattutto per le persone che hanno difficoltà di movimento.
Scrivere: È vietata ogni forma di scrittura, anche sulla sabbia o sul vetro appannato. È vietato utilizzare anche macchine da scrivere e, a maggior ragione, la tastiera del computer o del telefonino, già proibiti perché elettrici. È vietato far calcoli e misure, scommesse e gioco d’azzardo.
Cancellare: È vietato distruggere ogni forma di scrittura. Anche dividere separando le lettere. È permesso aprire una confezione di cibo se questo non implica strappare e comunque non si separino parole scritte sull’involucro.
Cuocere: È vietata ogni forma di cottura, la bollitura dell’acqua. La lavorazione mediante il calore anche di quello che non serve alla nutrizione, come fondere metalli e cera o cuocere ceramica. Questo perché comunque comporta una trasformazione, un’ulteriore modificazione di uno stato di natura. Per soddisfare l’obbligo dell’Oneg Shabbat, la gioia di Shabbat, si deve mangiare cibo che viene scaldato su una plata e che non è provvista di meccanismi per agire sulla intensità della fiamma o della resistenza e che viene accesa prima di Shabbat, ma il cibo deve essere già cotto precedentemente.
Per questo ci sono in commercio idonei strumenti che potete trovare nei negozi di prodotti ebraici.
Lavare: Comporta anche il divieto di rimuovere macchie e lucidare.
Cucire:  Oltre a cucire con ago e filo, il divieto comporta anche applicare punti metallici, il nastro adesivo sulla carta, utilizzare o umidificare colla per chiudere buste etc. Tuttavia è consentito fissare qualcosa con una spilla di sicurezza poiché si considera un’operazione provvisoria.
Strappare: Comprende anche la separazione di pezzi incollati.
Annodare o Disfare un nodo: Si intendono nodi permanenti per cui è consentito il fiocco per allacciare le scarpe.
Tosare: È vietato rimuovere pelo da qualsiasi creatura vivente; quindi anche radersi, tagliarsi i capelli, depilarsi, ma anche tagliarsi le unghie. Poiché pettinandosi si corre il rischio di strappare i capelli è consentito utilizzare a questo fine una spazzola morbida. NB Il divieto di pettinare che troviamo in un’altra melakhà è riferito alla cardatura e attività simili inerenti al lavoro di filatura e tessitura.
Per il momento ci fermiamo qui, queste sono le melakhot che interessano più direttamente la nostra vita, le altre proibizioni sono già state elencate.
Queste note sono state tratte quasi interamente, con alcune integrazioni, dal volume di
Aryeh Kaplan : Shabbat un giorno di eternità.
L’autore, che morì molto giovane nel 1983, era un Rabbino Ortodosso di New York. Al termine del capitolo sulle melakhot scrive: Si può imparare ad osservare lo Shabbat attraverso i libri, ma questo lo fa sembrare incredibilmente difficile, come imparare l’amore da un manuale per il matrimonio. Dovete viverlo per coglierne la vera dimensione.
Shabbat shalom
Israel Eliahu