giovedì 29 maggio 2014

SHABBATH 2 SIVAN 5774 / 30-31 MAGGIO 2014 - NASÒ

Karla Gudeon: Ldor vador


ORARI DI SIRACUSA
19.53 - 20.58
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PARASHAH NASÒ: Bemidbar 4:21 - 7:89
HAFTARAH: Shfatim 13:2-25

Shalom.
 
Nella struttura sociale ebraica la famiglia ha un ruolo centrale, anche nella sua estensione di gruppo, tribù, popolo. La cordonatura sulla quale si regge la società è la connessione sacrale dell’istituzione parentale e familiare. È una condizione tipica di complessi autosufficienti come quelli dei nostri avi, che da nomadi dediti alla pastorizia erano passati alla vita sedentaria, mantenendo però quel vincolo necessario alle economie chiuse. Sappiamo dalla Torah che all’atto della distribuzione e assegnazione delle terre si era tenuto conto di criteri di equità sociale che dovevano essere mantenuti per eredità familiare e consanguineità, fermo restando che la comune discendenza da Israele-Yaʽakov riconduceva a vincoli di fratellanza le varie tribù. Questo imponeva, per quanto possibile, di cercare le proprie spose nel proprio gruppo tribale o nella propria stirpe. Su queste considerazioni vanno lette anche le normative che riguardano il diritto ebraico relativo alla famiglia, dunque non di valore morale così come la cultura cristiana ha imposto, ma ad esempio, con la tutela dal bilbul shikhvat zeraʽ di quello che il diritto romano chiamerà la turbatio sanguinis, e che molto ha a che vedere con il mantenimento di quell’equilibrio delle ricchezze di ogni gruppo sociale.


In questo senso vanno rilette anche le normative sull’adulterio. Sappiamo bene quanto sia fondamentale la donna nella religione e nella cultura ebraica e di quanto il diritto si occupi della sua tutela, si pensi alla dote o al levirato che garantivano alla donna rimasta sola la sopravvivenza, il mantenimento e il benessere.


In questo senso vanno rilette anche le leggi sulla monandria e monogamia; cosa non corrispondente, da un punto di vista giuridico, per i mariti come obbligo di monoginia o monogamia. D’altronde due sono le mogli di Lamek, Ada e Silla; tre le mogli di Avraham, Sarah, Agar e Ketura; due le mogli di Nachor, Milka e Reuma; Yaʽakov ha Lea, Rachele e le loro schiave Bilha e Zilpa... potremmo continuare. Ricordiamo però che la legislazione ebraica prevedeva l’assenso della prima moglie ed il suo placet, per motivi che lei per prima avesse ritenuto giusti. Avraham ripudierà Agar quando lo chiederà Sarah. Se non si tiene conto delle leggi dinastiche ed economiche tutto questo indurrebbe a ritenere che fra i coniugi ci sia un’iniqua disparità giuridica.


Però considerate il caso dell’adulterio. Vedete che il problema non viene posto solo in termini di moralità, se così fosse non ci sarebbe bisogno che del divorzio, che era una prassi attuabile. La gravità dell’atto non va letta dunque in questi termini e ce lo dimostra il fatto che anche le fanciulle fidanzate e le vedove che vengono trovate gravide rientrano nella casistica dell’adulterio. La punizione non mira a tutelare l’interesse o la dignità dell’uomo ma un interesse superiore che è quello della purezza del sangue, dell’integrità sociale ed economica dei gruppi familiari o tribali. La non dispersione della ricchezza e della terra assegnata. Non a caso il diritto porta a concepire l’adulterio come un delitto contro la proprietà. Il matrimonio deve garantire una discendenza legittima che è un interesse primario non già del singolo uomo ma dell’intero gruppo sociale. Se si pensa di leggere la Torah con i sedimenti e i condizionamenti di 2000 anni di morbosa etica sessuale non si coglie il senso della storia e di una civiltà che non ha mai creduto di dover rendere devozione ai particolarismi dell’individuazione, ma solo al principio comunitario.


Shabbath Shalom


Israel Eliahu

giovedì 22 maggio 2014

SHABBATH 24 IYAR 5774 / 23-24 MAGGIO 2014 - BEMIDBAR - Si annuncia Rosh Chodesh

 
Boris Dubrov: Eled, 2009
 
ORARI DI SIRACUSA
19.48 - 20.52
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PARASHAH BEMIDBAR: Bemidbar 1:1 - 4:20
HAFTARAH: Hosheaʽ 2:1-22
 
Shalom a tutti.
Questo Shabbat in Bemidbar 3:11-13 leggeremo:
“Il Signore parlò a Moshè dicendo così: Ecco, ti ho preso i Leviti di mezzo ai figli di Israele in cambio di ogni primogenito (Bekhor) che apre la matrice tra i figli di Israele. I Leviti saranno miei perché è mio ogni primogenito; dal giorno in cui colpii ogni primogenito nella terra d’Egitto, consacrai a Me ogni primogenito in Israele; da uomo a bestia apparterranno a Me, a Me che sono il Signore”.
I Leviti, discendenti di Aharon, erano gli unici rimasti fedeli a Moshè durante l’assenza di 40 giorni sul Sinai e non avevano partecipato alla fusione idolatra del vitello d’oro. Per questo motivo D-o tolse ai Bekhorim la prerogativa sacerdotale destinando ad essa i Leviti.
Fin dall’antichità ed anche nelle antiche civiltà semitiche, il primogenito era stato considerato una figura sacrale, matrice e simbolo di ogni successione dinastica, depositario di ogni eredità familiare, portatore di qualità sovrannaturali e magiche che potevano intervenire sulle dinamiche della storia, nelle malattie, nella sterilità, proprio in virtù di essere testimonianza vivente del principio di fertilità.
Poiché si riteneva che potesse intercedere anche con le forze delle tenebre, della vita altrove, e che potesse intercedere per la salvezza dei viventi nel regno dei morti, in alcuni riti di antiche civiltà veniva immolato agli dei; in alcuni riti religiosi e tribali ancora oggi sopravvive il costume di passare fra le fiamme il bambino in memoria ancestrale di questi olocausti.
Non certo nella tradizione Ebraica.
Il Bekhor prima della nominazione dei Leviti, aveva riconosciuti secondo i dettami della Torah ruoli di responsabilità familiare e soprattutto quello di esercitare il compito sacerdotale, poiché è scritto: “Il primogenito dei tuoi figli darai a me” (Shemot 22:28) dunque proprietà del Signore. Questo ruolo comportava responsabilità e veniva corrisposto con una eredità doppia rispetto ai fratelli. Il patrimonio paterno, che era quello familiare, non doveva correre il rischio di passare in mano di estranei per cui la normativa di successione era molto rigida. Doveva essere diviso tra i figli maschi legittimi, o fra le figlie in mancanza di quelli e successivamente ai fratelli paterni. La necessità era quella di non frazionare per quanto possibile il patrimonio familiare e comunque di destinare a chi avesse assunto più potere, come il Bekhor, in quanto depositario delle tradizioni familiari e presumibilmente colui che partecipava al consiglio degli anziani, la maggior consistenza dell’eredità.
Tuttavia è necessario che ci soffermiamo su un aspetto: quello della reale anteriorità della primogenitura. Questo perché in molti casi la primogenitura non sembra dipendere da questo, ma anche da una sorta di designazione da parte del padre il quale poteva prediligere od escludere un figlio al momento della consacrazione con una berakhà. Se consideriamo i compiti che spettavano al Bekhor risulta evidente come questa facoltà paterna avesse il senso di una investitura di merito, una primogenitura come diritto morale.
Questa facoltà veniva anche considerata pericolosa se mal gestita, soprattutto per i figli di madri diverse e nel caso che una di queste potesse avere maggior influenza sul padre.
I casi comunque sono celebri, si pensi a ʽEsav e a Jaʽakov. Al di là della storia giustificativa dell’inganno è evidente che chi cede questo diritto di sacralità per un po’ di cibo eticamente non può essere destinato a compiti di responsabilità, ma dietro questo si potrebbe anche celare una consapevole scelta su un figlio ritenuto più equilibrato, meno impulsivo, più disposto al ruolo sacerdotale; altrimenti il Signore avrebbe certo impedito l’inganno. Si pensi anche a Joseph e al suo ruolo nella storia di Israele, e soprattutto ai suoi figli Efraim e Menashè: In Bereshit 48:16-22 Joseph vede che il vecchio padre pone la destra sul capo di Efraim per l'investitura spirituale, così Joseph “ne fu spiacente e la sollevò per trasferirla dal capo di Efraim a quello di Menashè. E disse a suo padre - Non così, Padre mio; questo essendo il primogenito poni la destra sul suo capo. - Ma il padre rifiutò e disse - Lo so, figlio mio, lo so, anch’egli diverrà un popolo, anch’egli sarà grande, ma il suo fratello minore sarà più grande di lui e la sua discendenza costituirà una moltitudine di genti”. -
La prefigurazione profetica di Jaʽakov, in questo caso, interrompe il diritto di successione naturale del Bekhor.
Dopo la dominazione sacerdotale dei Leviti, caduta l’investitura sacerdotale, resta comunque quella della responsabilità familiare e il dovere del riscatto del primogenito, come è scritto “Riscatterai il primogenito dell’uomo” (Vajkrà 18:15). Questo è un precetto che deve compiere il padre. Bisogna riscattare da un Cohen poiché il figlio è considerato di proprietà del Signore.
Questo rito che si chiama Pidion è fondamentale nell’ebraismo anche perché conserva un alto valore educativo e di limite di un potere familiare unicamente concentrato su una persona.
Dunque siamo di fronte ad una mitzvah affermativa, un precetto, un obbligo, che vale in ogni tempo e in ogni luogo in Eretz Israel e in galut.
La cifra stabilita era quella di 5 selaim d’argento che oggi viene computata in valuta corrispondente o in valori congruenti ad eccezione di terreni e cambiali.
Il Pidiòn si esegue prima che siano trascorsi 30 giorni dalla nascita, mai di Shabbat o Yom Tov.
Vi riporto dal Kitzur Shulchan ʽAruch la procedura:
Il padre condurrà con sé il figlio dinanzi al kohen e lo informerà che è primogenito da parte di madre ebrea, gli consegnerà l’argento o l’equivalente di cinque selaim, che depositerà davanti al kohen, facendo questa dichiarazione: ze benì bechorì – questo è mio figlio primogenito.
Poi lo deporrà dinanzi al kohen e questi gli domanderà ma Hi beEth tefè – che cosa preferisci e lui gli risponderà chafetz anì lifdòt et benì – io desidero riscattare mio figlio. Mentre il padre continua a tenere in mano le monete, prima di consegnarle al kohen pronuncerà la benedizione … àl pidiòn haBen … che ci ha prescritto il riscatto del figlio e reciterà anche la benedizione SheHecheyànu consegnando immediatamente le monete al kohen. Quest’ultimo prenderà l’argento e lo porrà, tenendolo in mano, sopra la testa del bambino e dirà … ze tàchat ze … – questo è al posto di questo … In seguito il padre metterà la mano sul capo del bambino e lo benedirà dicendo yesimchà Elohim … che D-o ti faccia divenire come Efraim e come Menashè (Bereshit 48,20) yevarecheca Hashem veYshmerècha, Che il Signore ti benedica e ti protegga (Vaykrà 6,24-26) ki òrech yamim uShnot chayim lunghi giorni e anni di vita (Proverbi 3,2) Hashem yishmorchà miColrà … Il Signore ti protegga da ogni male (Salmi 121,7).
Poi il Kohen dirà la berakhà su un bicchiere di vino.
Dunque non dobbiamo considerare certo il Pidion come una eredità del passato ma come una fonte viva di sacralità, un cambiamento nella confermazione di un privilegio e di un onere. Una mitzvah importante per il suo alto valore simbolico, un altro berit col Signore.
La Torah non è particolarmente esplicita riguardo alla sacralità del Bekhor.
Penso che il fatto che molti commentatori si siano espressi sull’argomento riveli qualche risvolto criptico. La sacralità dei Bekhorim ricondotta all’episodio della morte dei primogeniti egiziani è fuor di dubbio, lo dice D-o stesso nella Torah. Il fatto di colpire i primogeniti egiziani deve necessariamente essere relazionato al fatto che per gli Egiziani stessi i primogeniti avessero un valore sacrale. Perché scegliere loro e non altri? E se azzardassimo che forse sarebbe opportuno parlare di salvezza e non di uccisione? Se D-o piange sui suoi figli egiziani che annegano tra i flutti perché non avrebbe dovuto piangere per i loro figli primogeniti? Noi non sappiamo qual è il senso della vita e della morte nella mente di D-o, ma a volte non riconosciamo nemmeno il Suo senso della pietà e della salvezza degli innocenti.
 
Shabbat shalom
Israel Eliahu

giovedì 1 maggio 2014

SHABBATH 3 IYAR 5774 / 2-3 MAGGIO 2014 - EMOR

  Alex Levin: Natura morta con Torah
 
 
ORARI DI SIRACUSA
19.30 - 20.32
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PARASHAH EMOR: Vayqra 21 - 24
HAFTARAH Yechezqiel 44, 15-31
 
 
In questa Parashah vengono date le festività di Israele. Fra queste Shavuʽot. Poiché è la nostra prossima festività colgliamo l’occasione per parlarne. Shavuʽot cade il 6 del mese di Sivan, ma questa data non è stabilita dalla Torah. Quest’anno, nel calendario gregoriano è mercoledì 4 Giugno. È una festa prescritta dalla Torah (Devarim 16:16) ed è una delle Sheloshà Regalim, ovvero di quelle feste che comportavano il pellegrinaggio a Yerushala’m, insieme a Pesach e Sukkot. Shavuʽot è diversa dalle altre Sheloshà Regalim, infatti dura un sol giorno, ovviamente due in Galut, in diaspora (per la verità il Chatam Sofer dice che in effetti non ci sarebbe la necessità di un secondo giorno a Shavuot perché cade 50 giorni dopo Pesach e conoscendo la data di Pesach non c’è il dubbio dell’errore; ma aggiunge che in questo caso il precetto rabbinico mira a rafforzarci per due giorni nel ricevere il Mattan Torah). Questa brevità rispetto a Sukkot e a Pesach accentua ancora di più la sua importanza proprio per il rapporto diretto con D-o nell’evento più importante della storia dell’umanità, ma è anche vero che questa festa viene preparata, potremmo dire maturata per tutto il periodo del ʽOmer.
Shavuʽot letteralmente significa settimane, ma al tempo dell’ebraismo greco fu denominata Pentecoste. Sette sono infatti le settimane che la separano da Pesach, cinquanta sono i giorni. Nella Torah si chiama ʽAtzeret che significa conclusione, ovvero fine dei quel periodo di conteggio del ʽomer detto sefirà, che rappresenta quel tempo di rieducazione, di formazione dell’uomo al fine di essere pronto per ricevere dono della Torah, il Mattan Torah, che è nel giorno di Shavuʽot ricordiamo, e che è il momento centrale della rivelazione ebraica. Dobbiamo intenderlo anche come progressiva purificazione, che nella nostra società deve comportare anche una disintossicazione da tutti gli elementi di corruzione del nostro quotidiano. Essere pronti al dono della Torah non è così semplice. Pensate al vitello d’oro, evento idolatrico possibile solo perché una parte del popolo che era fuggito dall’Egitto non era in condizioni di ricevere la legge di D-o. Essere fedeli della Torah non è semplice in un contesto culturale e sociale come quello in cui ci troviamo e con tutte le tentazioni di facile idolatria che ci vengono offerte. Dice Benamozegh “La prima condizione per farsi dappresso alla collina è l’animo libero, padrone di sé. Indipendente da ogni mortale sudditanza”. Jonathan Pacifici scrive che “studiare la Torah è un uccidere il proprio ego. Per mantenere la Torah è necessario un processo rieducativo alla ricerca del proprio io che parte necessariamente dalla Torah del Signore per giungere alla nostra Torah”.  
Benamozegh aggiunge “Ma Israele non solo è libero, ma è uno! … la rivelazione bisogna guardarla, intenderla, interpretarla non con gli occhi, non con la mente dell’individuo, ma con quelli della nazione, non col criterio scismatico, egoistico, dissolutivo di ogni singolo intelletto, ma con quello comune, sintetico, collettivo del popolo, di tutti i tempi, di tutti i luoghi … Davanti alla rivelazione deve sparire l’individuo e restare il popolo”. In queste parole c’è il senso ultimo di Israele, ma con l’umiltà di sapere che essere il popolo eletto significa portare avanti un ministero, una missione di salvezza per l’intera umanità. El ʽolam, D-o dell’universo! Come Adam fu simbolo e fonte di tutto il genere umano, il ritorno all’Adam Kadmon, l’Adam archetipale, l’antico Adamo unitario, sarà per tutti gli uomini perché il Signore a tutti gli uomini ha dato la sua Torah.
Come sempre la festa religiosa, di definizione rabbinica, si innesta su una antecedente festa legata al ciclo della natura e dell’agricoltura. Per questo motivo ha altri nomi: Chag haBikkurim ovvero festa delle primizie, perché in questo giorno si portava al Tempio, al Bet haMikdash, il pane impastato del frumento prodotto in quello stesso anno e le sette primizie della Terra di Israele, cioè frumento, orzo, uva, melograno, datteri, fichi, olive.
Si chiama anche Chag haZakir cioè festa della mietitura e in questo giorno è prescritto di leggere la Meghillat Ruth, il cui narrato si svolge proprio al tempo della mietitura e che per la nostra Comunità ha un valore particolare in quanto racconta di quel legame miracoloso che conduce le persone alla fede ebraica. La Meghillat Ruth è un testo che troviamo fra gli agiografi; racconta, come sapete, la storia di Ruth la Moabita che va in sposa ad un Ebreo. Rimasta vedova decide autonomamente di condividere la vita di Israele restando con la suocera Noemi, abbracciando la fede ebraica e successivamente si risposa con un altro Ebreo, Boʽaz, dando origine a quella stirpe da cui nascerà il Re Davide e dalla quale, secondo i nostri Maestri, discenderà il Mashiach.
Ma il carattere principale per il quale noi festeggiamo Shavuʽot è perché in questo giorno noi ricordiamo e celebriamo -ed ecco un altro nome di Shavu’ot- il tempo del dono della Torah: Zeman Mattan Toratenu. Questa è, come scrive Benamozegh, la ricorrenza della Rivelazione, l’eterna verità del Sinai. La grande teofania in cui D-o, per bocca di Moshè, “parla a tutti noi, nella lingua che ognuno di noi sa comprendere, che ci entra dentro nel cuore, nel midollo della ossa” perché, scrive ancora il grande rabbino “la verità si esprimeva nel misurarsi e proporzionarsi e modularsi secondo le forze fisiche e morali di ognuno, secondo il sesso e l’età, l’intelletto e le condizioni”. Dicono i dottori del Talmud che non fu solo l’ebraico la lingua della rivelazione sinaitica ma settanta lingue, tutte le lingue della terra degli uomini cosicché tutti la comprendessero”. Vi leggo questo passo dalla prima delle cinque lezioni di Benamozegh su Shavuʽot che potete trovare in un volume edito dall’Editore Belforte:
“È infine dalla Tradizione che sappiamo come tutto nella Rivelazione del Sinai esprimeva quella prerogativa grande, suprema, unica, che ha l’ebraismo di farsi tutto a tutti; di farsi come Elia piccino coi piccini per dar loro vita, di essere latte pei bimbi, miele pei giovani, vino per i vecchi, olio per i malati, di essere come la manna che prendeva tutti i sapori per contentare tutti i gusti, di essere poesia per i poeti, storia per gli storici, legge per i legali, erudizione per gli eruditi, morale per i filantropi, teologia per i teologi, di avere un linguaggio per il popolo, un altro per i dotti, un terzo pei positivi, un quarto per i contemplativi, di essere letterale, anagogico, allegorico, teologico (ricordate i 4 livelli Peshat, Remez, Darash, Sod, insomma il Pardes) e nel Peshat cento forme, e nel Remez e nel Daresh e nel Sod cento e cento forme e altre così e senza fine quante sono le generazioni e gli individui che si succedono, sempre restando uno, sempre lo stesso…” Ecco, vedete, il dono della Torah è per ciascuno di noi “come l’acqua piovana che scende dal cielo e diventa vino nelle viti, olio nelle olive, sapori umori e odori e farmaci infiniti nelle infinite famiglie di frutti di fiori…”
Ecco che questo ricordare il Mattan Torah è responsabilità di ognuno di noi, perché tutti personalmente siamo stati chiamati da D-o a testimoniare il dono di esistere e di vivere secondo le leggi della Torah.
A proposito di fiori, sapete che a Shavuʽot è tradizione, secondo il minhag di molte comunità, di portare fiori nelle case e in Sinagoga per ricordare con gioia il dono della Torah.
La tradizione vuole che le parole divine fossero accompagnate da un profumo, una fragranza celeste che riempì il creato, ma non è questa l’unica motivazione a questa usanza che non sembrerebbe specificatamente ebraica. Pensate ad esempio come nei cimiteri ebraici non sia consentito l’omaggio dei fiori proprio perché simbolo di esteriorità. Va detto comunque che nel medioevo, in testi cabalistici ed in particolare nello Zohar, la rosa assume un significato particolare con corrispondenze fra la disposizione dei petali ed alcuni versi di Bereshit, nella costruzione di un fiore simbolico. Scrive Giulio Busi che nel Tiqqune ha-zohar, un testo degli inizi del trecento, l’autore determina una relazione fra i componenti della corolla e le lettere del Tetragramma in una lettura rovesciata. Scrive Busi: “Ben lungi dall’essere il risultato di un semplice capriccio simbolico, questo Nome speculare è in realtà del tutto coerente con lo statuto simbolico della rosa mistica, segno visibile della sefirat Malkhut (del Regno) che secondo la tradizione cabbalistica è lo specchio opaco nel quale si riflette l’emanazione superna: la rosa accoglie metaforicamente la potenza divina e ne manifesta l’intensità”.
Ancora un Midrash costruito sul verso “Come una rosa fra le spine” (Shir Hashirim 2:2) racconta di come un giardino incolto fu salvato in virtù del fatto che un re vi trovò una rosa profumata e se ne deliziò. Dice il midrash: “Analogamente, tutto il mondo non fu creato se non in grazia della Torah. Dopo 26 generazioni il Santo, Benedetto Egli sia, osservò il mondo, per rendersi conto di ciò che aveva  prodotto, ma non vi trovò che acqua: la generazione di Enoch: acqua; allora chiamò i distruttori perché venissero a demolire il mondo, ma in quel momento scorse una bella rosa, cioè Israele, la colse, ne gustò il profumo quando pronunciò i dieci comandamenti, se ne deliziò quando tutto Israele disse: “faremo e ascolteremo ciò che D-o ha comandato” (Shemot 24:7).
Allora il Santo, Benedetto Egli sia, disse: “Per questa rosa sarà risparmiato il giardino, vale a dire: per merito della Torah e di Israele il mondo sarà salvo” (Vajkra Rabba 23).
Come dicevamo l’addobbo di fiori è relativo al minhag di ogni comunità. A Roma Shavuot viene anche chiamata Pasqua Rosa.
Poiché questo costume deriva per lo più da midrashim, è ovvio chiedersi se è lecito derivare una halachah da un Midrash. A tale proposito Rav Somekh risponde che questo è possibile purché “non sia in contraddizione con altre fonti halachike”.
A Shavuʽot è consuetudine comune consumare latticini. Questo è dovuto, come è da tutti accettato, al fatto che Israele è il paese del latte e del miele ed è questa la promessa che fa il Santo Benedetto al Suo popolo e la Torah è lo strumento che costruisce Israele. La tradizione dice che lo studio della Torah ha il sapore del latte e del miele; ma si dice anche che il latte è l’alimento materno e il popolo di Israele è come un bambino cui la Torah dà nutrimento.
Un’altra spiegazione è riferita al fatto che quando gli Ebrei ricevettero la Torah non erano ancora esperti della shechitah, la macellazione rituale e quindi si astennero dal mangiare carne. Qualcuno aggiunge che il valore numerico della parola chalav (latte) è 40 secondo la gematria, come i 40 giorni trascorsi da Moshè sul Sinai.
Il latte è bianco e il bianco è anche il colore della trascendenza, dell’elevazione spirituale, della purificazione ed è questa la condizione in cui noi dobbiamo giungere a questo appuntamento con la redenzione e la sacralità. Questi cinquanta giorni che ci hanno condotti da Pesach al Mattan Torah sono un periodo di costruzione spirituale che ci conduce dal rosso del sangue di Pesach al bianco di Shavuʽot. Dalla Testimonianza che il Signore ci ha condotti fuori da ogni Egitto alla nostra confermazione nella sua legge.
Potete trovare anche nello Zohar un capitolo in qualche modo connesso con queste tematiche: Del bianco e del rosso delle rose e del profumo della preghiera. L'edizione critica del testo completo per cura di Giulio Busi è edita da Einaudi nella collana I Millenni.
Shavuʽot è giorno festivo per cui si seguono tutte le regole dello yom tov, con l’accensione dei lumi, il Kiddush e l’Havdalà.
La particolarità è che la prima sera di Shavuʽot  si attende la comparsa delle tre stelle prima di recitare Arvit per fare in modo che il conteggio del ʽOmer sia completo, come è scritto: “Saranno sette settimane complete” (Vaykrà 23:15).
Chiudiamo con questo insegnamento tratto dal Talmud Bavli, Shabbat 31°:
Una volta un pagano andò da Shammaj e gli disse:
“Mi converto al giudaismo a condizione che tu mi insegni tutta la Torah mentre io sto su un piede solo”.
Con un bastone in mano Shammaj lo cacciò subito.
Il pagano andò allora da Hillel e di nuovo espresse il suo desiderio:
“Mi converto al giudaismo a condizione che tu mi spieghi tutta la Torah mentre sto su un piede solo”.
Hillel lo accolse nel giudaismo e lo istruì in questo modo:
“Quello che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri! Questa è tutta la Torah. Il resto è commento. Va e studia!”.
 
Shabbath shalom
Israel Eliahu
 

lunedì 28 aprile 2014

28 Nissan 5774 / 28 Aprile 2014 YOM HASHOAH (posticipato)

Giornata del ricordo dell'olocausto.


HENRIK GÓRECKI: Sinfonia n.3 "Dei canti lamentosi" op 36, per soprano e orchestra, 1976. II mov.: lento e largo, tranquillissimo.

venerdì 25 aprile 2014

SHABBATH 26 NISSAN 5774 / 25-26 APRILE 2014 - KEDOSHIM - Si annuncia Rosh Chodesh



Michoel Muchnik: Paesaggio di Shabbath


ORARI DI SIRACUSA
ore 19.24 - 20.25
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PARASHAH KEDOSHIM: Vayqrà 19:1 - 20:27
HAFTARAH:

venerdì 18 aprile 2014

SHABBATH CHOL HAMOʽED 19 NISSAN 5774 / 18-19 APRILE 2014


 Haggadah di Sarajevo


LETTURE

I Sefer: Shemoth 33:12 - 34:26
II Sefer: Bemidbar 28:19-25

Haftarah: Yechezqiel 36:37 - 37:14


U M O R I S M O

 Adelle John: Tants (danza) 2005
 
 
Un Ebreo di Milano decide di andare a trovare un amico correligionario di Ferrara.
Di buona mattina si reca in stazione centrale e si affaccia allo sportello della biglietteria.
- Buongiorno, vorrei un biglietto per Ferrara, andata e ritorno. Quant’è ? e scusi, quanti km ci sono fra Milano e Ferrara? -
- 260 - risponde il bigliettaio.
- Ah, bene. E da Ferrara a Milano? -
Il ferroviere lo guarda incredulo e, sentendosi deriso, gli risponde seccato: - Secondo lei? Se sono 260 da Milano a Ferrara mi sembra ovvio che da Ferrara a Milano siano sempre 260. O no?!?! -
- Non si alteri - gli risponde il nostro Ebreo – da noi funziona diversamente. Le faccio un esempio: Guardi, da Pesach a Shavuot sono 50 giorni, mentre da Shavuot a Pesach sono 315!

domenica 13 aprile 2014

PESACH 14 NISSAN 5774 / 14 APRILE 2014 VIGILIA - DIGIUNO DEI PRIMOGENITI

 Boris Dubrov: Si prepara la festa di Pesach


ORARI DI SIRACUSA 

DOMENICA 13 APRILE
Bediqath chametz sera 

LUNEDì 14 APRILE
Termine per mangiare il chametz ore  10.48
Biʽur chametz                                11.53
Hadlaqath neroth                           19.14

giovedì 10 aprile 2014

SHABBATH 12 NISSAN 5774 / 11-12 APRILE - ACHARÈ MOTH - SHABBATH HAGADOL


Albert Benaroya: Il tavolo del Rav


ORARI DI SIRACUSA
ore 19.11 - 20.11
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PARASHAH ACHARÈ MOTH: Vayqrà 16 - 18 
HAFTARAH SHABBATH HAGADOL: Malakhì 3:4-24


 
Shalom a tutti.
Il prossimo è Shabbat haGadol, lo Shabbat prima di Pesach.
Perché sia chiamato haGadol è controverso, ecco alcune delle interpretazioni che ho trovato in una pagina ben fatta di Wikipedia.
Prima:
Nel Midrash Rabbah troviamo che quando gli Ebrei misero da parte il loro agnello pasquale per quello Shabbat, i primogeniti dei gentili si radunarono presso gli Israeliti per chiedere loro che cosa stessero facendo. La risposta fu che era un’offerta di Pesach per il Signore che avrebbe ucciso i figli primogeniti degli Egiziani. Allora i figli primogeniti degli Egiziani andarono dai loro padri e dallo stesso faraone affinchè concedessero la libertà al popolo Ebraico, ma poiché essi si rifiutarono, i primogeniti levarono le armi contro di loro e molti egiziani perirono. Questo è infatti il signivicato del verso:  
Lemakké Mitzraim bivchorehem, Colui che percosse l’Egitto nei suoi primogeniti (Salmo 136, 10).
Seconda:
Nell’Arbaʽah Turim troviamo: “L’agnello era una divinità egizia. Molti Ebrei dopo 210 anni di assimilazione alla civiltà egizia avevano adottato anch’essi l’agnello come proprio idolo. Quando il Signore ordinò che un agnello venisse scelto e legato per quattro giorni in previsione del sacrificio, il popolo ebraico abbandonò la pratica idolatrica per adempiere a questa mitzvà davanti agli Egiziani stessi, dimostrando di credere al D-o unico e non agli idoli.
Nonostante per gli Egiziani fosse abominevole vedere una loro divinità in procinto di essere macellata, miracolosamente non riuscirono a regire né con le parole né con le armi, restando impotenti davanti al loro dio che stava per essere sacrificato. Questo fu un grande miracolo nes gadol e diede il nome a questo Shabbat.
Terza:
Nel Peri Chadash si narra che “in quel giorno fu comandato al popolo ebraico di compiere la prima mitzvah. Questo importante risultato è chiamato gadol. Inoltre gli Ebrei, adempiendo a questa mitzvah ebbero una sorta di iniziazione alla vita religiosa dell’osservanza diventando come bambini che maturano alla vita adulta con il bar mitzvah. In questo senso il nome Shabbat haGadol si intenderebbe come Lo Shabbat in cui gli Ebrei divennero gadol cioè adulti.
Quarta:
Il Chatam Sofer riporta che “in questo giorno il popolo ebraico fece ritorno, Teshuvah, al loro impegno di fede a D-o. Poiché gadol è un attributo di D-o, sottomettendosi al Signore il popolo ebraico assunse il titolo di Gadol”.
Quinta:
Nello Shibolei Haleket si afferma che “il lungo discorso omiletico, il sermone  che per tradizione si tiene nel pomeriggio durante questo Shabbat lo rende lungo, persistente, gadol appunto.
Sesta:
Rabbi David ben Joseph Abudarham scrive che “nella Haftarah dello Shabbat prima di Pesach si legge il possuk Malachì, 3:23 'Ecco io vi invierò il profeta Elyahu prima che giunga il giorno grande e terribile (yom hagadol vehanorah) del Signore.' Per questa ragione lo Shabbat haGadol deriva il suo nome dalla Haftarah come pure accade per lo Shabbat Chazon, lo Shabbat Nahamu, Lo Shabbat Shuva.
Settima:
Ogni Shabbat che precede una festa è conosciuto come Shabbat haGadol (cfr Shibolei Halecket). 
Come si evince dalla lettura del testo, le consuetudini per questo Shabbat haGadol sono quelle che il Rabbino o il Presidente tengono alla Qehillah un lungo discorso; oltre alla Parashà che nel nostro caso è Hacharè Moth (Levitico 16:1- 17:30).
La Haftarah di Acharè moth sarebbe Ezechiele 22:1-16, ma nello Shabbat haGadol si legge una Haftarah speciale, Malachì 3:4-24, dove si vaticina la futura redenzione di Israele che richiama quella della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto che celebreremo la prossima settimana a Pesach.
“Fin dai tempi dei vostri padri vi siete allontanati dai Miei statuti e non li avete osservati. Tornate a Me ed Io tornerò a voi”.Mi pare che su questa frase che troviamo al verso 7 dovremmo meditare; spesso dimentichiamo che il rapporto con il Signore deve essere nutrito con l’osservanza, con il fare del quotidiano; osservare i Suoi precetti per ricevere, come prescrive anche lo Shemà. A volte invece ci si ricorda di D-o solo quando si è in difficoltà, quando la vita con le sue leggi inesorabili ci colpisce; nei momenti di gioia o di serenità spesso non custodiamo questo impegno che ci lega al Signore secondo quanto da Lui prescritto. Confidiamo nella sua misericordia immensa dimenticandoci che ci ha chiesto solo di riconoscergli che tutto il bene e la vita stessa, tutto quanto abbiamo lo dobbiamo a Lui, che siamo solo umili depositari del Suo grande progetto.
 
Shabbath shalom
Israel Eliahu

mercoledì 9 aprile 2014

BENDIGAMOS AL ALTISIMO


Questo canto in giudeo-spagnolo costituisce una breve Birkat haMazon.
Fortuna è una cantautrice brasiliana impegnata nel recupero del repertorio sefardita. Buon ascolto!





lunedì 7 aprile 2014

EVENTO A NAPOLI


LORD JONATHAN SACKS, Rabbino Capo di Gran Bretagna: Lashon haraʽ attaverso internet (da Moked, il portale dell'ebraismo)


Durissimo intervento del rav Lord Jonathan Sacks contro la diffusione della maldicenza e del bullismo elettronico attraverso Internet e i social network. Basandosi sul commento alla Parasha Tazria, la porzione biblica dove si illustrano fra l’altro i disastri provocati dalla diffusione di falsità e di malevolenze, il rabbino britannico che ha appena concluso il suo mandato di Rabbino Capo del Commonwealth ed è considerato fra i maggiori leader spirituali del nostri tempi mette in guardia con estrema severità le comunità ebraiche e invita tutti a prendere le distanze da chi utilizza senza scrupoli la comunicazione elettronica per seminare invidia, arroganza, egoismo e pregiudizio. Il linguaggio malevolo, ricorda il Rav, è da sempre il veleno che rischia di distruggere le nostre comunità e i mezzi di comunicazione elettronica lo rendono quanto mai insidioso. “Il bullismo elettronico – spiega il Rav - è la più aggiornata forma di Lashon Hara. In generale Internet è il più efficace diffusore di linguaggio dell’odio mai escogitato. Non solo rende così facile la comunicazione mirata, ma consente di evitare anche gli incontri a viso aperto, che talvolta inducono moderazione e suscitano sentimenti di vergogna, sensibilità e autocontrollo nei confronti delle proprie azioni”.
“Il linguaggio – si afferma fra l’altro nella lunga lezione dedicata all’argomento - è vita. Le parole creano, ma anche distruggono. Se le parole buone sono sacre, quelle cattive sono una dissacrazione. Un segno di quanto seriamente l’ebraismo prenda la questione, è la preghiera che diciamo al termine di ogni Amidah almeno tre volte al giorno: ‘Mio D-o, proteggi la mia lingua dal male, e le mie labbra da parole di inganno. Nei confronti di coloro che mi maledicono fai sì che la mia anima rimanga in silenzio, possa la mia anima essere nei loro confronti come polvere’. Avendo pregato D-o all’inizio di ‘aprire le mie labbra così che la mia bocca possa dichiarare le Tue lodi’, Lo preghiamo alla fine di aiutarci a chiudere le labbra per non parlare male degli altri, né reagire quando gli altri parlano male di noi”.
“Nonostante tutto, però, nonostante la proibizione del pettegolezzo contenuta nella Torah, nonostante le storie di Giuseppe, Mosè, Miriam, e le spie, nonostante la severità senza pari dei Saggi nei confronti del parlar male, il lashon hara rimane un problema lungo tutto il corso della storia ebraica e lo è anche oggi. Ogni leader è soggetto a esso. I Saggi dissero che quando Mosè lasciava la sua tenda presto al mattino, il popolo mormorava che aveva avuto un litigio con sua moglie. Se la lasciava tardi, che stava complottando contro di loro (cfr. Rashi su Deuteronomio 1:12)”.
“Tutti coloro – aggiunge il Rav - dal manager, al genitore, all’amico, che cercano di essere dei leader, devono affrontare la questione del lashon hara. Prima di tutto ciascuno dovrà accettarlo come il prezzo da pagare per ogni tipo di successo. Alcune persone sono invidiose. Fanno pettegolezzo. Si costruiscono denigrando altre persone. Chi si trova in una posizione di leadership, dovrà probabilmente convivere con il fatto che dietro le spalle, e talvolta anche in faccia, la gente sarà critica, maliziosa, sprezzante, diffamatoria, e talvolta completamente disonesta. Questo può essere difficile da accettare. Avendo conosciuto molti leader, in molti campi, posso testimoniare che non tutti i personaggi pubblici hanno la pelle dura. Molti sono sensibili e sono emotivamente logorati dalle critiche ripetute e ingiuste.
Se mai doveste trovarvi in questa situazione, il miglior consiglio è lo stesso impartito dal Maimonide: ‘Se una persona è scrupolosa nel suo modo di comportarsi, gentile nella conversazione, positiva verso il prossimo, affabile nell’accoglierlo, non risponde neppure se offesa, ma è pronta a mostrare cortesia verso tutti, anche verso coloro che la trattano con disprezzo… questa persona avrà glorificato il nome di D-o e su di lei le Scritture sottolineano ‘Sei il mio servo Israele, in cui io sarò glorificato’ (Isaia 49:3; Maimonide, Hilkhot Yesodei ha-Torah 5: 11). Questo si applica nel caso in cui il lashon harah sia rivolto nei nostri confronti come singoli”.
“Collettivamente come gruppo, tuttavia, si deve praticare la tolleranza zero verso il lashon hara. Permettere di parlare male uno dell’altro, conduce nel lungo termine alla distruzione dell’integrità del gruppo. Il parlar male sprigiona energie negative. All’interno del gruppo sparge i semi della sfiducia e dell’invidia. Diretto fuori dal gruppo, può condurre all’arroganza, all’ipocrisia e autoconvincimento della propria superiorità, al razzismo e al pregiudizio, tutti sentimenti che sono fatali alla credibilità di qualsiasi squadra. Che tu sia o meno il leader di questo gruppo, devi mettere educatamente in chiaro che non avrai nulla a che fare con questo comportamento e che esso non trova posto nelle tue conversazioni”.

sabato 5 aprile 2014

SIRACUSA 3 APRILE 2014: Incontro con i ragazzi del Liceo Classico Enrico Trimarchi di Santa Teresa di Riva (ME)


Nell'ambito del programma di incontri con le scuole, Israel Eliahu ha ricevuto i ragazzi del Liceo Trimarchi di S. Teresa Riva. Alla lezione sull'ebraismo è seguita la visita allo storico miqvè.


giovedì 3 aprile 2014

SHABBATH 5 NISSAN 5774 / 4-5 APRILE 2014 - METZORAʽ

 Albrecht Dürer: Il lebbroso, 1513

ORARI DI SIRACUSA
ore 19.05 - 20.04
Per le altre località clicca   Q U I
 

PARASHAH METZORAʽ: Vayqrà 14 - 15 
HAFTARAH: Melakhim II 7: 1-20; 13: 23

Shalom a tutti.
Le ultime due parashot, Tazrìà῾ e Metzorà῾, contengono prescrizioni per la purità e la qedushah. Si tratta della impurità della donna dopo il parto, della lebbra e dei suoi riti di purificazione, della lebbra della casa. Il termine tzara῾at, che si traduce impropriamente lebbra, ha evidentemente una estensione semantica vasta e si può riferire a malattie della pelle e comunque contagiose. Quello che ci preme approfondire è propriamente il concetto di purità; non ci troviamo di fronte a prescrizioni solo di carattere igienico e sanitario, anche se questa valenza è comunque evidente. Né è sufficiente considerare queste malattie e queste condizioni come metafore di stati di impurità spirituale come hanno fatto alcuni commentatori. In particolare un testo di Rav Riccardo Pacifici, in Discorsi sulla Torah, il quale scrive: “Anzi qui non si tratta, come a prima vista potrebbe sembrare, di infezioni fisiche o di malattie del corpo. Queste non sono probabilmente altro che i simboli di malattie morali e in ogni caso la genesi, lo sviluppo, la guarigione della malattia fisica è considerata in stretto rapporto con la vita spirituale”. Il fatto che l’intermediario per la guarigione fosse un sacerdote, secondo Rav Pacifici conferma questa considerazione per la quale siamo in un ambiente semanticamente denso e osmotico, tessuto fra malattia del corpo e malattia dello spirito. Scrive ancora Rav Pacifici: “Una riprova evidente di questa tendenza si ha in un detto talmudico ove si dice che molte di queste piaghe provengono da colpe di carattere sociale, prima fra queste la maldicenza, lashon hara῾, e che una delle sanzioni più frequenti a questa grave colpa sociale sia appunto la lebbra”.
Ricordiamo questo enunciato: “Vi sforzerete di essere Santi e sarete Santi poiché Io sono il Signore vostro D-o. Osserverete i miei decreti e li metterete in pratica. Io sono il Signore che vi Santifica (Levitico 20:7-8). Secondo alcuni col termine decreti si intendono le leggi non comprensibili in termini strettamente razionali.
Cominciamo subito col dire che il concetto di purità, Tahorà, e quello di impurità Tumà, nell’ebraismo non corrispondono a quello di buono e di cattivo, ma fanno riferimento ad una condizione di sacralità che consente di accedere al Santuario.
Tutte le regole e i precetti di riferimento li troviamo nell’ordine Tahorot della Mishnah e quindi nella decima parte del Mishneh Torah di Maimonide. In quel compendio dell’opera maimonidea che è “La guida dei perplessi” Maimonide parte dall’assunto di natura psicologica che la frequentazione ordinaria del Santuario ne svilirebbe il grande senso religioso e che non è raccomandabile entrarvi in ogni momento. Secondo Maimonide, D-o vietò agli impuri di entrare nel Santuario: “… benché ci siano molte specie di impurità al punto che tu quasi non trovi una persona pura”, dimostrando la quasi impossibilità di non incorrere in un atto di impurità durante la giornata, e conclude dicendo: “... ebbene tutto questo è un motivo per star lontano dal Santuario e non andarci in ogni momento … nessun uomo può entrare nel cortile del Tempio per il culto, foss’anche puro, finché non ha fatto le abluzioni”. Queste abluzioni rituali erano prescritte anche al Cohen haGadol e risulta evidente come non si trattasse di prescrizione igieniche ma di una prassi che consentiva un cambiamento di stato, una separazione fra due condizioni spirituali diverse. Prosegue Maimonide con questi enunciati: “I risultati di queste prescrizioni 1) Tenere lontano dalle contaminazioni, 2) Proteggere il Santuario, 3) Mantenere ciò che è diffuso ed usuale, 4) Alleggerire queste difficoltà, così che l’uomo non sia impedito dalla questione della purità e impurità a svolgere le sue occupazioni giacché questa questione della purità e impurità non riguarda altro che il Santo e le cose sante”. 
Da questo risulta evidente come le prescrizioni che riguardano la puerpera e la donna mestruata non sono certo quarantene di natura sanitaria e tanto meno sociale. Lo stesso Maimonide ribadisce come la lebbra sia, già confermato dai Sapienti, una punizione per il turpiloquio. E ancora afferma di non saper spiegare alcune prassi cultuali e rituali che presiedono agli atti di purificazione come la vexata quaestio della vacca rossa o del rituale di purificazione con rami di issopo, legno di cedro e sangue già esaminati in un precedente approfondimento.
Cito dal volumetto La purità nella famiglia ebraica, a cura di Adina Cohen e Simy Elmaleh: “A differenza di alcune altre religioni l’Ebraismo non condanna la vita del corpo alla vergogna o alla repressione, ma al contrario la nostra Torah vuole elevare e dare forma nobile a tutto ciò che potrebbe avere un aspetto animale nella vita e portarlo così ad un livello spirituale più vicino al divino. Per questo, ad esempio, l’alimentazione che è sottoposta alle leggi della kasheruth, è preceduta e seguita da benedizioni, affinché l’uomo ritrovi D-o nei più piccoli atti della sua vita. Allo stesso modo il matrimonio, i rapporti fra i coniugi, sono sottoposti a leggi il cui scopo evidente è quello di elevare ad un livello più spirituale tutto ciò che potrebbe, al contrario, mettere in evidenza la somiglianza fra l’uomo e l’animale”.
Va da sé che molte delle regole di purità che scandivano la vita quotidiana ai tempi del Bet haMikdash oggi non siamo più tenuti ad osservarle, ma molte di queste sono da mantenere ogni volta che ci si avvicina al culto o si entra in Sinagoga. Pensate alla Tevilah che la donna deve compiere dopo sette giorni dalla cessazione del ciclo. Non c’è nessuna pratica igienica che la può sostituire perché è un atto di consacrazione, una legge divina.
Quindi questo concetto di purificazione non attiene alla sfera igienico-salutista né a quella morale, il periodo che segue la niddah non ha certo il valore di un esilio per una colpa né quello successivo al parto, dato che è l'esplicitazione di uno dei principi dell’Ebraismo.
Si fa riferimento al raggiungimento di un valore metafisico, di recupero di una corruzione dello stato di Qedushah.
Secondo un concetto mutuato da studi antropologici, in molte culture è impuro non solo ciò che lo è per sé stesso ma ciò che è anche veicolo di contaminazione. Il soggetto terzo può essere alterato e diventare esso stesso impuro. Se questo risulta meno comprensibile quando ci riferiamo alla niddah, troviamo però nel Sefer ha zohar libro III: “Quando un uomo tocca una donna mestruata il suo peccato risveglia il serpente superno e arreca impurità in un luogo dove non si dovrebbe”.
Difficile ricondurre la stratificazione simbolica e allegorica sul mestruo a razionali letture, quando ad esempio Yosef Caro (1488-1575) nel Sefer toledot Yishaq paragona l’impurità di Israele a quella della mestruata e non a quella arrecata da un cadavere. “Mentre infatti un Sacerdote non può entrare nella casa in cui vi sia un cadavere, gli è lecito entrare ove si trovi una donna durante il ciclo e dimorare con lei. Allo stesso modo il Santo Benedetto fa aleggiare la propria Shekinah sugli Ebrei sebbene essi siano impuri”.
Forse è più semplice comprendere il senso di questa impurità da condivisione o «contagio» se ci riferiamo a culti idolatri frequenti fra i fenici che celebravano con sangue il culto alle divinità.
Tuttavia non possiamo non comprender come in caso di malattie della pelle od altre che indichiamo sotto il nome generico di lebbra, il problema del contagio fosse un rischio concreto.
Per questo altri commentatori indulgono anche ad accettare determinate consuetudini come prevenzione di contagi per malattie epidemiche. Isacco Segre nel 1897 in “L’igiene nella Bibbia e nei libri rabbinici” edito in anastatica da Carucci nel 1980, legge le prescrizioni del Levitico anche come regole di profilassi sanitaria. In una silloge alla fine del primo paragrafo della parte terza Segre scrive: “Le misure profilattiche prescritte dal Sommo Legislatore per le malattie come lebbra e gonorrea ed altre ritenute contagiose e diffusibili si riassumono nelle seguenti:
a) Visita accurata e diligente da parte dei sacerdoti, degli individui sospetti di malattie diffusibili
b) Loro isolamento in località appartata per la durata di alcuni giorni
c) Abluzioni frequenti e ripetute delle loro persone in acqua viva, nella quale talora s’aggiungeva della cenere, che per la soda di cui è costituita, giovava ad una maggior nettezza della persona.
In questa sede non posso riassumere il volumetto. Ma non si può fare a meno di compiacersi che il buon senso dei nostri Padri trova conferma nelle più elementari e moderne argomentazioni salutiste e ricordate: “I sospiri distruggono la vita dell’uomo; la vita dei melanconici, degli iracondi, dei mesti non si chiama vita!”.
Shabbath shalom
Israel Eliahu