mercoledì 28 agosto 2013

SHABBATH 25 ELUL 5773 / 30-31 AGOSTO 2013

Alois Einrich Priechenfried: Meditazione

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  19.12
Havdalah           20.09
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PARASHOTH NITZAVIM E VAYELEKH: Devarim 29,9 - 30,20; 31
HAFTAROTH: Yeshaʽyah 61,10 - 63,9; 55,6 - 56,8


Shalom a tutti.
Il calendario ebraico è basato su un ciclo metonico di 19 anni divisi fra Peshutim (normali) e Meubbarim (embolismici). Agli anni embolismici viene aggiunto un un tredicesimo mese, Adar Shenì. Negli anni Peshutim fra le parashot Pekudè, Kedoshim, Bechuqqotai, Masʽè, Vayelekh, una viene aggiunta a quella precedente. Per questo trovate Nitzavim assieme a Vayelekh.
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In Nitzavim (29,28) troviamo una frase che Dante Lattes definisce oscura: Le cose occulte appartengono al Signore nostro D-o e quelle rivelate toccano a noi e ai nostri figli in eterno, onde possiamo attuare tutte le parole di questa legge.

Ora vediamo un panorama di come l'esegesi biblica ha letto questa frase.

È importante questo confronto fra molteplici interpretazioni con sfumature diverse. È una regola quella di studiare sempre la Torah almeno in due proprio per determinare una dialettica, tanto che spesso è consigliato di porsi come il deuteragonista in opposto ad una tesi prevalente, proprio per stimolare il confronto e la nascita da questo, di un costrutto, un'opinione quanto più fondata possibile.

Toaff scrive nella Torah della Giuntina: Varie sono le interpretazioni di questo verso. Noi abbiamo preferito  questa che attribuisce al Signore la conoscenza delle cose occulte mentre dà agli uomini da intendere ed eseguire quelle rivelate.

Scrive Rashi: "Nessuno conosce i segreti del compagno. Per questo io non vi punisco per le cose occulte perché esse appartengono al Signore, ed egli compirà la punizione solo di quell'individuo. Mentre le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli ed è nostro compito estirpare il male e se non verrà compiuto il giudizio allora sarà punita la moltitudine". Come dire che non possiamo punire il peccato che non conosciamo, di questo se ne occuperà il Signore. Ma se non facciamo giustizia non verrà colpito solo il peccatore ma la intera Israele.

Ma Nachmanide rigetta l'interpretazione tradizionale di Rashi e dice: "Le cose occulte sono le colpe commesse senza averne coscienza, senza sapere che sono tali. Il giudizio per queste colpe inconsapevoli di cui non siamo responsabili spetta al Signore. Siamo responsabili solo dei peccati noti ed intenzionali".

Scrive Ibn Ezra: "Spetta a D-o giudicare e punire chi adora idoli in segreto, ma sta a noi punire chi lo fa palesemente".

Rabbi Judah dice che si è puniti solo per quei peccati che si commettono segretamente dopo la traversata del Giordano.

Rabbi Nechemiah pensa che non si verrà puniti per i peccati segreti ma solo dopo la traversata del fiume, D-o riterrà responsabili per i peccati pubblici.

Ancora Luzzatto: Appartiene al Signore punire le colpe occulte e a noi punire quelle palesi. Sta a noi eseguire tutte le parole di questa legge e incombe alla nazione vigilare sull'osservanza della Torah e punirne le trasgressioni.

Sforno legge queste interpretazioni come retaggio dei commentatori medioevali che distinguono fra i peccati per i quali un tribunale umano può comminare una pena e quelli la cui punizione resta nelle mani di D-o.

Rabbi Mordechai Yosef di Izbitza scrive che quando un uomo trasgredisce in segreto e nessuno lo sa allora il peccato non appartiene all'intera comunità.

Hertz dice: "Certe cose sono in potere di D-o solo e debbono essere lasciate solo a lui. Ma ad altre che sono rivelate - cioè le parole e i comandi della Torah - spetta a noi e ai nostri figli rendere obbedienza".

Quest'ultima è sicuramente quella con implicazioni che richiedono più riflessione. Sembra sottendere a colpe di cui potremmo non avere coscienza. Non a caso Nistarot ha anche l'accezione di cose misteriose inconoscibili. Ma se la Torah è il libro della legge che governa la nostra vita e il mondo, possibile che ci siano aspetti del progetto divino che noi non conosciamo? Ci sono anche nella Torah cose che sfuggono ad ogni elemento di razionalità, come nella kashruth, per ignoranza forse, per difficile decodifica interpretativa. Lo sappiamo, hanno un nome che le definisce: Chuqqim. Ma è vero anche che molte delle cose che ci sembravano incomprensibili anche solo 50 anni fa, oggi alla luce del progresso scientifico si sono palesate nella loro esplicita verità. Dunque è probabile che alcuni chuqqim di oggi saranno comprensibili domani.

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Un altro aspetto su cui riflettere: Sulle parole lanu u'levanenu compaiono nella scrittura dei puntini posti sopra ogni lettera. Naturalmente non hanno a che fare con la vocalizzazione, sono presenti anche nella scrittura del Sefer Torah che, come sapete, è priva di vocalizzazione. Dunque cosa sono? che significano?

Rashi scrive: "Le parole «per noi e per i nostri figli» sono sormontate da punti per insegnare che anche riguardo alle cose rivelate D-o punì la moltitudine solo dopo che essi ebbero passato il Giordano", da quando cioè accettarono su di sé il giuramento sul monte Garizim e sul monte Ebal, divenendo garanti uno dell'altro. La nota di Cattani ci dice anche che nel Talmud Babilonese in Sanhedrin 43b troviamo: "La presenza dei puntini indica sempre una limitazione".

Ed Ezra dice : "Ho messo dei puntini su quelle parole. Se Eliahu viene e mi dice che ho fatto bene allora io li toglierò".

Secondo Bemidbar Rabbah i puntini ci dicono che nel futuro D-o ci rivelerà i segreti che il testo stesso ci dice che apparterranno a Lui in eterno. Cioè i puntini mettono in discussione il contenuto del testo stesso.

In sintesi potremmo dire che i puntini sono posti su un testo che ha necessità di un chiarimento, di una derashà? o forse che Ezra lo scriba non era tanto sicuro di aver ben compreso il senso del testo? Certamente sono un'occasione in più per riflettere, un monito per approfondire.

Shabbath shalom

Israel Eliahu

SALMU 30: RINGRAZIAMENTU DOPPU NU PIRICULU DI MORTI


1 Salmu, cantu pi la festa didicata a lu tempiu. Di David. 2  Ti rrennu grazzie, Signuri, pirchì m’hai liberatu e supra i mia nun hai datu sazziu a i me’ nimici. 3 Signuri, D-u miu, a tia haiu gridatu e tu m’hai guarutu, 4 Signuri m’hai fattu acchianari da lu infernu, m’hai fattu arrisuscitari pirchì iù nun scinnissi dintra la cascia di mortu vurrucatu. 5 Cantati inni a lu Signuri, o soi fideli, renniti grazzie a lu so’santu nomi, 6 pirchì la so’ collira dura nu istanti, lu so’ bboncori pi tutta la vita, cu lu scuru s’apprisenta lu chiantu e a la matina eccu l’alligrizza ‘nta lu cori. 7 ‘Nta la abbunnanza haiu dittu: “Nenti mi farà annaculiari!”. 8 ‘Nta la to’ buntà, o Signuri, m’hai misu supra a nu munti sicuru, ma quannu hai ammucciatu la to’ facci, m’ha scunchiutu u cori. 9 A tia gridu, Signuri, e addumannu aiutu a lu me’ D-u. 10 Quali vantaggiu cu la me’ morti, da la me’ scinnuta ‘nta la fossa? Nenti nenti ti potrà lodari lu pruvulazzu e vanniari la to’ fidiltà? 11 Ascuta, Signuri, abbi misiricordia, Signuri, veni a darimi aiutu. 12 Hai canciatu lu me’ lamentu in danza, la me’ vesti di saccu ‘nta nu abbitu di cuntintizza, 13 accussì iù pozzu cantari senza posa Signuri, miu D-u, a tia la me’ lodi pi sempri.

Traduzione di Khaim Jehudà - Giovanni Ferdinando Giudice (di proprietà dell’autore)

giovedì 22 agosto 2013

SHABBATH 18 ELUL 5773 / 23-24 AGOSTO 2013


Michoel Muchnik: Shabath

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  19.22
Havdalah           20.19
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PARASHAH KI TAVÒ: Devarim 26,1 - 29,8
HAFTARAH: Yeshaʽyah 60

Shalom a tutti.
Ogni giorno, appena aperti gli occhi dal sonno, ringraziamo Kadosh Barukh Hu: Modè ani lefanekha Melekh chay veqayam...
Poi cominciamo la nostra giornata con le berakhoth, le benedizioni. Dapprima la netilat yadaym, l’acqua lustrale di purità, poi le benedizioni mattutine. Perché non dobbiamo mai dare niente per scontato. Tutto quello che possediamo, sia beni spirituali che materiali, la vita stessa deve essere riconosciuta come privilegio dell’esistere. Ringraziare Kadosh Barukh Hu per averci tolto il sonno dagli occhi vuol dire prendere ogni giorno coscienza della propria condizione, riconoscere il nostro «debito» col Signore e dedicare dunque a lui la nostra giornata.
La nostra giornata è scandita da benedizioni. Quasi ogni gesto che facciamo ma anche ogni emozione, come lo stupore davanti alla bellezza o al profumo o alla bontà di un frutto, è accompagnato da una berakha.
Nel Talmud, trattato Berakhot, 35 leggiamo: “È proibito all’uomo di godere di questo mondo senza benedizione”.
Questo non è solo un esercizio di memoria ma comporta la presa di coscienza che stiamo godendo di un beneficio, che in altri momenti, se ci mancasse, avvertiremmo come privazione. Non dobbiamo ricordare la bellezza di qualcosa solo quando non c’è. “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria” scriveva l’Alighieri.
Questo godere della vita è stupefacente ed è un valore per l’ebraismo; un valore positivo. Tuttavia, non deve essere la finalità del nostro esistere. Se così fosse dimenticheremmo la nostra responsabilità di rendere merito a haShem. Non siamo noi gli artefici di questo mondo, ne siamo, spesso immeritatamente, soltanto i fruitori. È questa la funzione che assolvono le berakhoth. La stessa ‛Amidà che recitiamo 3 volte al giorno è un compendio della nostra testimonianza di riconoscenza a Kadosh Barukh Hu.
“Tutti lodino e benedicano il Tuo grande Nome con sincerità, per sempre, perché è buono, D-o della nostra salvezza e del nostro aiuto per sempre, D-o di bontà. Benedetto Tu haShem, il Tuo Nome è buono ed è giusto ringraziarti”.

Le berakhoth vanno recitate soltanto quando qualcosa ci è gradita o comunque è fonte di piacere e di beneficio.
Se è vero che le berakhoth rispondono ad una esigenza quasi minimale del quotidiano è vero anche che una sola è comandata dalla Torah, si tratta della Birkhat hamazon, la benedizione dopo i pasti; le altre sono istituzioni rabbiniche codificate; questo ci fa riflettere anche sul fatto che, in fin dei conti, possiamo essere artefici di berakhoth personali in un intimo colloquio con haShem. Se non tutto ci pare riconducibile ad una formula codificata, facciamo nostro il potere della parola e testimoniamo il nostro stupore o la nostra soddisfazione al Santo Benedetto con parole appropriate ma nostre.
Ogni berakhah è una responsabilità personale e va recitata a voce alta quando le condizioni lo consentono o comunque pronunciata sulle labbra. La parola interiorizzata non testimonia la nostra ebraicità; anche la parola va «indossata» per ricordare a noi e agli altri che apparteniamo al Signore.
Proprio come succede con gli tzizzioth, o i tefillin o la mezuzah che acquistano sacralità nel momento in cui noi, con Kavanah, attribuiamo loro il ruolo di mediatori con l’Eterno. Nulla di per sé è santo se non il Signore.
La normativa codificata è varia e a volte complessa, potete trovarla nello Shulchan ‛Aruch, nel Kitzur S. ‛A., nel vostro siddur, nel Talmud, e in molta letteratura ebraica d’uso come Lekhayim edito da Mamash, libro prezioso per la quotidianità ebraica. Vi suggerisco anche Berakhoth: introduzione alle benedizioni editato da Carucci nell’80.
Vediamo per esempio una berakhah fra le più ricorrenti: la benedizione per le cose nuove She-hecheyanu weqiyemànu wehigghi‛ànu la-zeman ha-zeh, Benedetto Tu o Signore D-o nostro Re del Mondo che ci ha fatto vivere, ci ha mantenuto e ci ha fatto giungere a questo tempo. Questa berakhah si recita per le feste della Torah o in particolari mitzvoth delle festività come suonare lo shofar, leggere una meghillàh o accendere i lumi della chanukkiah; prima della Milah e del Pidion ha-ben, il riscatto del primogenito. In ogni caso in quelle occasioni che hanno una ciclicità dilatata ma anche per il consumo di primizie annuali, eventi straordinari come l’incontro di un amico o una persona cara che non si vede da molto tempo, si riceve un regalo etc. Insomma quando l’evento ha connotazioni di novità. Ad esclusione delle scarpe nuove o di vestiti e accessori se sono di pelle animale o dei libri nuovi (forse perché venivano rilegati in pelle?) ed anche per il Sefer Torah.

Ma, come ben sapete, ci sono berakhoth per il vino, il pane, i vari tipi di cibo, per l’affissione della mezuzah, per le funzioni corporali, per i viaggi, per il prelievo dalla Khallà, per il Miqweh, per la netilath yadaym, per i miracoli, per il tuono, il lampo, l’arcobaleno, per i profumi, per il pericolo scampato, per chi vede i sapienti, per chi vede l’oceano, per le creature belle e per le cose strane e inusitate… etc. Insomma, impariamo a servirci, davanti allo stupor mundi, di questo strumento che ci fa partecipare al miracolo della creazione con la coscienza di essere privilegiati dall’esistere.
Shabbath shalom
Israel Eliahu

lunedì 19 agosto 2013

SALMU 29 INNU A LU SIGNURI DI LA TIMPESTA


1 Salmu di David. Dati a lu Signuri, dati a lu Signuri la gloria e lu putiri. 2 Dati a lu Signuri la gloria di lu so’ nomi, inginucchiativi a lu Signuri cu’ li paramenti sacri. 3 U Signuri trona supra l’acqui; u D-u di la gloria scatina u tronu. U Signuri, supra l’acqui immensi. 4 U Signuri trona cu la forza, trona u Signuri cu putenza. 5 U tronu dô Signuri scutula i cedri di lu Libanu. 6 Fa arrisatari comu a nu iencu lu Libanu e lu Sirion comu a nu giuvini viteddu. 7 U tronu saitta lingui di focu. 8 U tronu fa scotiri la terra, u Signuri fa scrusciri lu disertu di Kadesh. 9 U tronu fa sgravari li fimmini di lu cervu e spogghia li fureste, ‘nta lu so’ tempiu tutti dicunu: Gloria! 10 U Signuri è assittato supra a la timpesta, u Signuri s’assetta Re pi sempri. 11 U Signuri darà la forza a lu so’ populu e a idda darà la bbinidizzioni cu la paci.

Traduzione di Khaim Jehudà - Giovanni Ferdinando Giudice (di proprietà dell’autore)

giovedì 8 agosto 2013

SHABBATH 4 ELUL 5773 / 9-10 AGOSTO 2013

Josef Johann Süss: Studiosi ebrei discutono

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  19.39
Havdalah             20.39
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PARASHAH SHOFETIM: Devarim 16,18 - 21,9
HAFTARAH: Yeshaʽyah 51,12 - 52,12

La parashah Shofetim ha un contenuto prevalentamente giuridico. La legge espressa dalla Torah trova compimento non solo nella prassi strettamente religiosa e nell’applicazione di una giurisprudenza altamente evoluta e che è tuttora cardine del pensiero ebraico, ma anche delle normative di amministrazione della giustizia più moderne. La legge del Signore è perfetta, scrive Nahmanide, e il popolo ebraico è ancora qui a testimoniarlo, quando tutte le altre grandi civiltà del passato sono solo archeologia.
La parola  Halakhah, la legge ebraica, deriva da halokh, cioè camminare; sta ad indicare un percorso, un cammino, ci dice che questa non è la meta, ma lo strumento che ad una meta deve condurci: il tempo nuovo della giustizia e della pace, il tempo del Mashiach, il senso e la finalità della storia.
La legge ebraica è frutto delle disposizioni divine, dunque parte da vincoli religiosi, ma si fa portatrice essa stessa di contenuti religiosi. Il coincidere, all’interno dell’ebraismo dei vincoli di sangue e parentali, dei vincoli che legano l’organizzazione tribale di Israele e dei vincoli religiosi ha determinato una compenetrazione fra società, storia e religione.
Scrive Fromm "L’anello di congiunzione della correlazione fra unità fisica e metafisica, dunque la compenetrazione del corpo sociale da parte dell’«anima» del corpo culturale: questa è la legge.
Carattere primario della legge è dunque questo: essa deve avere un contenuto tale da costituire un sistema normativo vincolante per tutti i membri del popolo e insieme capace di salvaguardare l’individualità religiosa del singolo, un sistema che affondi le radici nell’idea religiosa che il popolo deve assimilare. L’atteggiamento religioso-etico fondamentale non viene trasformato in sistema teologico, ma sfocia direttamente nella HALAKHAH, la legge. Sicché questa diventa la più forte espressione del sentimento religioso, che non si ferma nell’ambito del pensiero, bensì in una pratica nazionale, sociale, razionalmente significativa".
Dobbiamo a Moshe l’unità di Israele, avvenuta  proprio attraverso la proclamazione della legge dopo l’evento sinaitico. L’unità che si concretizza nella fusione di etica etnica religione corrisponde alle parole di D-o che leggiamo in Esodo 19,6: “Voi mi apparterrete come un regno di sacerdoti e un popolo santo”.
"Oltre la metafisica è evidente che la legge del Signore esige l’azione, l’applicazione della giustizia fra gli uomini - scrive ancora Fromm - La legge è creata per la totalità, non per il singolo, per il popolo e non per una classe. Dinanzi alla legge tutti sono uguali; essa è l’espressione di una democrazia sostanziale, non formale".
Oggi, ad esempio, Israele ha una costituzione talmente evoluta da potersi dire uno stato sociale. In occidente non ve n’è d’eguali, immaginate altrove. Mentre al parlamento del Cairo dibattono sulla questione se si possa avere coniugio sessuale dopo la morte della moglie, e per quante ore dopo il decesso; mentre in Pakistan processano una bambina down per blasfemia e in Iran fanno esplodere come attentatrice suicida un'alienata mentale, qui non solo non si conosce la costituzione dello Stato di Israele, ma nemmeno si conosce la legge divina, la Torah, che dovrebbe essere fondamento di qualsiasi sapere legislativo e normativo.
Shabbath shalom
Israel Eliahu

giovedì 1 agosto 2013

SHABBATH 27 AV 5773/ 2-3 AGOSTO 2013

Giovanni Lanfranco: Il ritorno dei messaggeri da Canaan, 1621-4

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  19.46
Havdalah           20.47
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PARASHAH REÈH: Devarim 11,26 - 16,17
HAFTARAH: Yeshaʽyahu 54,11 - 55,5



Se volessimo tentare di elencare gli intellettuali Ebrei famosi nel campo delle scienze, delle lettere, dell’arte, della filosofia, anche solo degli ultimi due secoli, trascorreremmo ore ed ore in compagnia.
Adler, Marx, Benjamin, Adorno, Babel, Levi, Saba, Schmitz-Svevo, Erenburg,  Mahler, Bruch, Schoemberg, Celan, Chagall, Kraus, Kafka, Freud, Einstein… potremmo continuare ad libitum. Tuttavia dobbiamo fare una constatazione, per la verità ebraicamente dolente. La figura dell’intellettuale ebreo è, non vogliamo dire sempre, ma molto spesso scollata dalla sua identità religiosa ebraica, tanto che nella Praga della fine dell’800 si chiamava con l’appellativo ingiurioso Literat l’intellettuale assimilato. I percorsi di assimilazione alla società contemporanea, nel mondo enfatico e ridondante del progresso, e della società “civile”, che per gli ultimi due secoli ha tenuto bordone alla crescita intellettuale ebraica, hanno condotto a questa perdita identitaria e in qualche caso condotto all’odio di sé ebraico, così come formulato da Theodor Lessing. Eclatante il caso di Marx o di Weininger, ma anche quello di Kraus. Mahler si fece apostata per non naufragare nella Vienna di Cosima Wagner. Pensavano di allontanare quel mondo così lontano, ma poco oltre il confine dell’impero, popolato dalle povere comunità ebraiche aggrumate negli shtetl dove misticismo e a volte superstizione erano la cordonatura della miseria e della persecuzione. Una piccola minoranza religiosa era emersa per cultura, talento e capacità nel mondo affollato che aveva fino allora emarginato i suoi membri, isolati, costretti nei ghetti e aveva trovato un riscatto sociale nel mondo che li aveva espulsi ma aveva dovuto pagare un pegno: la perdita di quelle connotazioni che li rendeva visibili per la specificità culturale, religiosa,  anche nelle dinamiche della diversità del quotidiano. Era un prezzo folle, un tributo altissimo che in una manciata di decine di anni avrebbe disgregato il tessuto stesso della comunità ebraica, anche di quella italiana, impoverendolo di migliaia di unità. L’assimilazione è un dramma che in poche generazioni ha spogliato l’ebraismo conducendolo a prassi e riti dei goym per celebrare il trionfo inutile e vessatorio di una pseudo civiltà al tramonto. Molti oggi si sentono Ebrei per linea di sangue, per tradizione, per censo ma non coltivano le leggi della Torah, perché incompatibili con un mondo che va verso il baratro, e lo fa danzando. La shoà avrebbe dovuto aprire gli occhi ai tanti che oggi non osservano le mitzvot o si professano atei, come è emerso da recenti statistiche nel mondo ebraico italiano. Quando i nazifascisti sono andati a prendere dalle loro case gli Ebrei hanno guardato al cognome, alla discendenza genealogica. Hanno prelevato anche già convertiti al cristianesimo durante le funzioni in chiesa. A che è servita l’assimilazione? Dramma nel dramma, molti Ebrei hanno riscoperto di esserlo solo durante le persecuzioni razziali. Levi, Schoemberg fra questi, ma anche tante altre persone che pensavano che la salvezza potesse essere il mascheramento. La paura di riconoscere sé stessi negli altri, nella diversità, ci ha stanati dalle case borghesi dove la menorah ha convissuto con altri simboli o con i riti della celebrazione collettiva del nulla.
Per questo Moshè aveva messo in guardia gli Ebrei dal rischio dell’assimilazione vivendo a contatto con altri popoli; forse non poteva aver previsto la diaspora e dunque l’acuirsi del problema, ma aveva comunque posto fondamento alla difesa. Oggi la fascinazione del nulla è più suadente, più subdola, tesse una tela dalla quale difficilmente ci si libera.
Certo se siamo arrivati sin qui vuol dire che il nostro popolo ha resistito agli inganni greci, romani, anche alla barbarie dei re cattolici; oggi abbiamo anche l’opportunità di coltivare quella fiamma che non si spegne mai dentro ad ogni ebreo, anche se i nostri avi sono stati costretti all’abiura come conversos, come anussim, il Santo Benedetto Egli Sia ci ha dato l’opportunità di ritornare alla Torah. Le regole non le stabilisce la modernità ma la Torah.
Shabbath Shalom
Israel Eliahu