giovedì 22 agosto 2013

SHABBATH 18 ELUL 5773 / 23-24 AGOSTO 2013


Michoel Muchnik: Shabath

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  19.22
Havdalah           20.19
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PARASHAH KI TAVÒ: Devarim 26,1 - 29,8
HAFTARAH: Yeshaʽyah 60

Shalom a tutti.
Ogni giorno, appena aperti gli occhi dal sonno, ringraziamo Kadosh Barukh Hu: Modè ani lefanekha Melekh chay veqayam...
Poi cominciamo la nostra giornata con le berakhoth, le benedizioni. Dapprima la netilat yadaym, l’acqua lustrale di purità, poi le benedizioni mattutine. Perché non dobbiamo mai dare niente per scontato. Tutto quello che possediamo, sia beni spirituali che materiali, la vita stessa deve essere riconosciuta come privilegio dell’esistere. Ringraziare Kadosh Barukh Hu per averci tolto il sonno dagli occhi vuol dire prendere ogni giorno coscienza della propria condizione, riconoscere il nostro «debito» col Signore e dedicare dunque a lui la nostra giornata.
La nostra giornata è scandita da benedizioni. Quasi ogni gesto che facciamo ma anche ogni emozione, come lo stupore davanti alla bellezza o al profumo o alla bontà di un frutto, è accompagnato da una berakha.
Nel Talmud, trattato Berakhot, 35 leggiamo: “È proibito all’uomo di godere di questo mondo senza benedizione”.
Questo non è solo un esercizio di memoria ma comporta la presa di coscienza che stiamo godendo di un beneficio, che in altri momenti, se ci mancasse, avvertiremmo come privazione. Non dobbiamo ricordare la bellezza di qualcosa solo quando non c’è. “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria” scriveva l’Alighieri.
Questo godere della vita è stupefacente ed è un valore per l’ebraismo; un valore positivo. Tuttavia, non deve essere la finalità del nostro esistere. Se così fosse dimenticheremmo la nostra responsabilità di rendere merito a haShem. Non siamo noi gli artefici di questo mondo, ne siamo, spesso immeritatamente, soltanto i fruitori. È questa la funzione che assolvono le berakhoth. La stessa ‛Amidà che recitiamo 3 volte al giorno è un compendio della nostra testimonianza di riconoscenza a Kadosh Barukh Hu.
“Tutti lodino e benedicano il Tuo grande Nome con sincerità, per sempre, perché è buono, D-o della nostra salvezza e del nostro aiuto per sempre, D-o di bontà. Benedetto Tu haShem, il Tuo Nome è buono ed è giusto ringraziarti”.

Le berakhoth vanno recitate soltanto quando qualcosa ci è gradita o comunque è fonte di piacere e di beneficio.
Se è vero che le berakhoth rispondono ad una esigenza quasi minimale del quotidiano è vero anche che una sola è comandata dalla Torah, si tratta della Birkhat hamazon, la benedizione dopo i pasti; le altre sono istituzioni rabbiniche codificate; questo ci fa riflettere anche sul fatto che, in fin dei conti, possiamo essere artefici di berakhoth personali in un intimo colloquio con haShem. Se non tutto ci pare riconducibile ad una formula codificata, facciamo nostro il potere della parola e testimoniamo il nostro stupore o la nostra soddisfazione al Santo Benedetto con parole appropriate ma nostre.
Ogni berakhah è una responsabilità personale e va recitata a voce alta quando le condizioni lo consentono o comunque pronunciata sulle labbra. La parola interiorizzata non testimonia la nostra ebraicità; anche la parola va «indossata» per ricordare a noi e agli altri che apparteniamo al Signore.
Proprio come succede con gli tzizzioth, o i tefillin o la mezuzah che acquistano sacralità nel momento in cui noi, con Kavanah, attribuiamo loro il ruolo di mediatori con l’Eterno. Nulla di per sé è santo se non il Signore.
La normativa codificata è varia e a volte complessa, potete trovarla nello Shulchan ‛Aruch, nel Kitzur S. ‛A., nel vostro siddur, nel Talmud, e in molta letteratura ebraica d’uso come Lekhayim edito da Mamash, libro prezioso per la quotidianità ebraica. Vi suggerisco anche Berakhoth: introduzione alle benedizioni editato da Carucci nell’80.
Vediamo per esempio una berakhah fra le più ricorrenti: la benedizione per le cose nuove She-hecheyanu weqiyemànu wehigghi‛ànu la-zeman ha-zeh, Benedetto Tu o Signore D-o nostro Re del Mondo che ci ha fatto vivere, ci ha mantenuto e ci ha fatto giungere a questo tempo. Questa berakhah si recita per le feste della Torah o in particolari mitzvoth delle festività come suonare lo shofar, leggere una meghillàh o accendere i lumi della chanukkiah; prima della Milah e del Pidion ha-ben, il riscatto del primogenito. In ogni caso in quelle occasioni che hanno una ciclicità dilatata ma anche per il consumo di primizie annuali, eventi straordinari come l’incontro di un amico o una persona cara che non si vede da molto tempo, si riceve un regalo etc. Insomma quando l’evento ha connotazioni di novità. Ad esclusione delle scarpe nuove o di vestiti e accessori se sono di pelle animale o dei libri nuovi (forse perché venivano rilegati in pelle?) ed anche per il Sefer Torah.

Ma, come ben sapete, ci sono berakhoth per il vino, il pane, i vari tipi di cibo, per l’affissione della mezuzah, per le funzioni corporali, per i viaggi, per il prelievo dalla Khallà, per il Miqweh, per la netilath yadaym, per i miracoli, per il tuono, il lampo, l’arcobaleno, per i profumi, per il pericolo scampato, per chi vede i sapienti, per chi vede l’oceano, per le creature belle e per le cose strane e inusitate… etc. Insomma, impariamo a servirci, davanti allo stupor mundi, di questo strumento che ci fa partecipare al miracolo della creazione con la coscienza di essere privilegiati dall’esistere.
Shabbath shalom
Israel Eliahu

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