giovedì 27 febbraio 2014

SHABBATH 29 ADAR R. 5774 / 28 FEBBRAIO-1 MARZO 2014 - PEQUDÈ - Si annuncia Rosh Chodesh



 Menachem Shemi: Sinagoga di Safed

ORARI DI SIRACUSA
ore 17.33 - 18.32
Per le altre località clicca   Q U I


PARASHAH PEQUDÈ: Shemoth 38,21 - 40,38
HAFTARAH: Melakhim I, 7,40-26



In un midrash si racconta come Moshè avesse subito una forma di lashon haraʽ, o meglio una vera e propria calunnia, la hatzaat dibà, dai calunniatori dell’epoca, i quali mormoravano che sarebbe stato impossibile che Moshè non avesse approfittato di tutti i talenti d’oro e d’argento che gli erano passati per le mani e per questo alla fine dei lavori rese conto di tutta, diciamo così, la contabilità. Elle fequdè ha Mishkan (cfr Dante Lattes: Nuovo commento alla Torah).
Ma si sa, la maldicenza racconta  poco su chi la subisce ma dice molto su chi la fa.
Proprio perché haShem non dimora dove dimora la maldicenza, per evitare ulteriore sakhsukhà, ovvero la semina della zizzania fra il suo popolo, grave reato assimilato all’omicidio, Moshè Rabbenu decide di rendere pubblico il bilancio dei metalli adoperati.
Comunque resta il fatto che la tassonomia che elenca i lavori è talmente precisa e dettagliata che poco spazio si lascia all’estro immaginativo degli artisti e dell’ingegnere, nonché ad arbitrii sulla gestione dell’ingente capitale raccolto. L’attenzione per quanto viene investito denota la consapevolezza di gestire un patrimonio collettivo importante. È il principio di una economia sociale. Philippe Simonnot in un libro dal titolo Il mercato di Dio. La matrice economica di ebraismo, cristianesimo ed Islam, Fazi, 2010, analizza la costruzione del valore fondativo dell’economia ebraica a partire dalla raccolta dei sicli per il censimento e dalla gestione della cosa pubblica con la raccolta di fondi, come avviene nel nostro caso.
Il fatto che si operi con tanta chiarezza e precisione dovrebbe essere spiegato a molti amministratori nostri contemporanei, poiché è la base del mutuo rapporto di fiducia fra la politica e la società.
Il valore del patrimonio, d’altronde, è fondamentale nella società ebraica, tanto da aver vincolato anche l’etica e le regole delle unioni matrimoniali nei clan e successivamente nelle tribù.
Se conoscete i gradi di parentela dei nostri Padri e delle nostre Madri, non vi sfuggirà certo di quanto le relazioni fossero condizionate dal mantenimento del capitale; ma anche successivamente la proibizione del coniugio con estranei ha a che fare non solo col rischio di idolatria ma anche con la necessità di tutelare un patrimonio ereditario che doveva restare all’interno della tribù, poiché l’eredità e la terra erano comunque date da D-o.
Dunque nelle nostre ultime parashot si individua anche la costruzione della comune ossatura economica del popolo ebraico, fermo restando che il principio primo era proprio il mantenimento di un equilibrio sociale di uguali, in quanto tutti transitori ospiti di questo mondo.
L’ebraismo dunque consegna all’umanità i fondamenti morali della tassazione per una equa e collettiva redistribuzione. È uno dei capisaldi dell’etica economica Toraica, gli altri lo hanno dimenticato, noi no. 
Shabbath shalom
Israel Eliahu

giovedì 20 febbraio 2014

SHABBATH 22 ADAR R. 5774 / 21-22 FEBBRAIO 2014 - VAYAQHEL

Karla Gudeon: Shabbath Shalom

ORARI DI SIRACUSA
ore 17.26 - 18.25
Per le altre località clicca   Q U I

PARASHAH VAYAQHEL: Shemoth 35,1 - 38,20
HAFTARAH: Melakhim I, 7,40-26

Shalom a tutti.
Si racconta che una volta un rabbino in sogno salì in cielo. Quando fu in paradiso gli fu permesso di accedere al tempio dove trascorrevano la loro vita eterna i saggi del Talmud, i Tannaim. Egli si accorse che erano semplicemente seduti intorno ad un tavolo e immersi nello studio della Torah. Deluso, il rabbino espresse il suo stupore: “È tutto qui il Paradiso?”. Ma d’improvviso udì una voce: “Ti sbagli: i Tannaim non sono nel Paradiso, è il Paradiso che è dentro di loro(in A. J. Heschel: Il Sabato).
Passare dalla dimensione dello spazio che nutre la nostra quotidianità per sei giorni, a quella del tempo che è la dimensione dello spirito e della parola, significa immergersi nello Shabbath. Non c’è nulla nel mondo che abbia la sacralità come suo attributo innato. È la parola che santifica, dunque il tempo che santifica lo spazio. Lo Shabbath è il tempo che si eleva a misura dell’uomo. Lo spirito che si svincola dal mondo delle cose, o meglio che sa estrudere dalla materia l’essenza oltre la forma. Scrive ancora Heschel: “Lo Shabbat è un microcosmo dello spirito, come se riunisse in sé tutti gli elementi del macrocosmo dello spirito”.
Nutrirsi della pacificazione di questo giorno sacro agli Ebrei, significa comprendere il senso profondo ed ultimo del dono divino della vita, il privilegio di partecipare al progetto della creazione, come strumenti e nello stesso tempo come artefici.
Vivere la santità dello Shabbath è un cambiamento di stato, siamo noi che modifichiamo le nostre intime fibre nell’accoglienza. Non abbiamo bisogno di mediatori di oggetti rituali, non utilizziamo i Tefillin, eppure abbandoniamo la nostra anima al riposo del mondo nella Santità di questo giorno. Rabbi Solomon ben Abraham Adret di Barcellona diceva: “Il mondo che era stato creato in sei giorni era privo di anima; fu nel settimo giorno che al mondo venne data un’anima...”.
Coniugare la nostra anima a quella del cosmo, confluire umilmente in essa, ecco la pace dello Shabbath. Come la cadenza in musica prepara alla quiete nel silenzio, e chi ascolta ne trae beneficio, sollievo nella risoluzione e l’appagamento della propria aspettativa, così le giornate e il lavoro conducono alla quiete, alla sospensione dell’affanno, all’intima connessione con un mondo superno.
Spegnete la tv ed i telefoni, eliminate l’ansia della possibilità, il senso dell’accadere, non ascoltate il brulicare del mondo là fuori e udirete il ronzare sommesso della vostra anima che cerca la dolcezza dell’intima  parola, il sussurrare del cosmo, i segreti risonanti dell’infinito.
Solo allora coglierete l’ineffabile, l’armonia silenziosa dell’universo, il vibrare del sentimento del divino. Scoprirete l’eco della presenza di D-o in noi, ciò che ci fa uomini, che ci fa Ebrei.
Scrive Schweiger: “L’idea del Sabato israelitico è l’idea del cosmo, non come un gioco incomposto di forze cieche, di atomi; l’idea del flusso eterno, non come un errare meccanico oscuro, morto, ma dell’eternità come un regime, un regime illuminato. Il mondo come ordine universale, come serie di cose armonicamente disposte, come ordine unitario, intelligente, come il mondo di D-o”.
Ma anche la mansuetudine della contemplazione nell’abbandono del corpo e della mente al riposo.
La parola della Torah, la preghiera, avranno una profondità ed una intensità diverse. Fate che questo sentimento sia congiunto a quello della vostra famiglia, sentirete come nell’intima unione spirituale si nutra Israele e si perdano l’angoscia e la solitudine del principium individuationis.
Sospendere ogni atto che possa modificare lo stato di natura è un privilegio ed un obbligo. Ridimensiona il prometeismo insito nella natura umana a ricordo di Babele. Limita il nostro ego. È un momento di pacificazione con noi stessi e col mondo che ci ospita, nella benevolenza divina.
Lo Shabbath è ricordo dei due mondi: questo mondo e il mondo futuro; esso è un esempio di entrambi i mondi. Il Sabato infatti è gioia, santità e riposo; La gioia è parte di questo mondo, la santità e il riposo sono del mondo futuro (in A. J.  Heschel: Il Sabato).
Nel mondo futuro ci sarà lo Shabbat della storia che darà compimento all’idea messianica in cui  noi crediamo.
אֲנִי מַאֲמִין
אֲנִי מַאֲמִין
בֶּאֱמוּנָה שְׁלֵמָה
בְּבִיאַת הַמָּשִׁיחַ
וְאַף עַל פִּי שֶׁיִּתְמַהְמֵהַּ עִם כָּל זֶה אֲחַכֶּה לּו
Io credo con fede incrollabile nella venuta del Messia ed anche se 
dovesse tardare io continuerò ad aspettarlo ogni giorno a venire
 
"I cieli gioiranno
E la terra esulterà
Risuonerà il mare e la totalità delle sue creature"
(Tehillim 96,11).
 
Shabbath shalom
Israel Eliahu

mercoledì 19 febbraio 2014

U M O R I S M O

Alexandr Onishenko: Danza ebraica, 1999
 
È morto il vecchi Esaù, lo shames della sinagoga di Gorizia.
Alcuni vecchi Ebrei pensano di andare dal rabbino Michelstaedter, famoso per i suoi incantesimi e per i suoi miracoli, a chiedergli di resuscitare Esaù perché non sanno come sostituirlo.
“D’accordo” dice Michelstaedter “però io ho bisogno di un presniz di Sesana (un dolce sloveno) e di un po’ di vino rosso. Tutti alimenti non kasher, mi raccomando”.
Il rabbino miracoloso giunge in casa dello shames, mangia una fetta di presniz, beve un bicchiere di vino rosso, poi con voce autorevole dice: “Alzati e cammina!”
L’ingiunzione rimane senza esito.
Allora il rabbino Michelstaedter si fa portare del vino Terrano del Carso, mangia un’altra fetta di presniz, quindi con voce tonante ripete: “Alzati e cammina”.
Ma neppure dopo questa ingiunzione, nonostante l’autorevolezza del rabbino miracoloso, succede qualcosa.
A questo punto rabbi Michelstaedter si fa portare una bottiglia di vino frizzante del Collio, mangia un’altra fetta di presniz, poi dice solennemente: “Esaù, alzati e cammina”.
Lo shames non si muove.
Allora il rabbino si avvicina, lo osserva e conclude: “Temo che sia davvero morto”.
 
Da Ferruccio Folkel: Storielle ebraiche, BUR 1999

giovedì 13 febbraio 2014

SHABBATH 15 ADAR R. 5774 / 14-15 FEBBRAIO 2014 - KI TISSÀ



ORARI DI SIRACUSA
ore 17.19 - 18.18
Per le altre località clicca   Q U I

PARASHAH KI TISSÀ: Shemoth 30,11 - 34,35
HAFTARAH: Melakhim I, 18,1-39

 
Shalom a tutti.
Si dice sempre che l’ebraismo è la religione del fare. Ha una sua concretezza che si radicalizza negli atti performativi del quotidiano, nella gestualità concretamente finalizzata ad atti di una liturgia personale e collettiva. La legge mosaica dispone e regola i rapporti tra gli uomini, degli uomini col contesto sociale nel quale vivono, si nutrono e si riproducono. Il Signore determina con le Sue leggi anche le geometrie del culto, gli arredi, i tessuti, fino ai paramenti del Cohen hagadol. Tutto è norma, c’è quasi una matericità predominante rispetto al governo spirituale del mondo. Nell’ortoprassi ebraica l’aspetto spirituale è intimamente connesso con quello dell’agire. Anche la preghiera richiede comportamenti codificati che segnano l’appartenenza e la rendono manifesta. Pensate agli tzitzioth; sono simbolo del cosmo che ci conchiude e nello stesso tempo segno che ci proietta all’esterno, che svela la nostra identità. La natura comunitaria della vita ebraica sembra essere l’oggettivazione di un cammino condiviso sulla cordonatura delle leggi di cui ci nutriamo e nutriamo gli altri.
Anche il fuoco pantamorfo, volatile e sfuggente, non riesce a verticalizzare il pensiero se non nei tracciati della storia ebraica o delle teofanie toraiche. Tutto pare concretizzarsi nei gesti, nella storia nell’accadere.
Nella nostra parashah troviamo le regole anche per la miscela di oli profumati, unguenti sacri, che dovevano servire alla santificazione del Tabernacolo, degli arredi e delle persone. E cosa c’è di più aereo, di più impalpabile e volatile del profumo?! C’è scritto nel Talmud che il profumo è l’unico nutrimento dell’anima, forse perché come essa indefinibile, aerea, spirituale appunto. La sua sottigliezza e capacità di penetrazione ne fanno un elemento sub limine.
L’utilizzo di olii profumati conferiva all’unto una consacrazione, una distinzione. Tanto che si cominciava l’unzione dalla testa a significare un cambiamento di condizione. Come se una forza superiore si trasmettesse con questi gesti al designato. Aveva dunque una connotazione religiosa molto forte, tanto che anche la composizione aromatica sembra corrispondere ad una alchimia mistica.
Dunque l’ineffabile, il volatile si fa portatore di segno, quello che consacrerà i Re, nel verbo del profetismo, ed il Mashiach.
Ma un'altra dimensione dello spirito invisibile, impalpabile, affronta la teologia ebraica: è quella dell’assenza, della inconosciuta essenza di D-o che chiede di essere custodita nello spazio, anche se non rappresentabile. Definire una assenza fisica in una dimensione concreta come quella dello spazio è una forma di ossimoro complesso. Il pensiero occidentale greco-cristiano pone al centro dello spazio la presenza di D-o, la sua immagine intelligibile, la forma che ingabbia il segno, per l’uomo soggetto conoscente. Il pensiero ebraico, nella dimensione che è la parola, corregge la dimensione temporale nel vuoto dell’assenza, è la parola che si fa costituente della forma, come nella qabbalah visiva, nella scrittura che si fa di-segno.
Il Mishkan contiene il pensiero di D-o, la sua essenza, la sua assenza.
 
Shabbath shalom
Israel Eliahu

sabato 8 febbraio 2014

GOFFREDO PARISE: LO SPIRITO DI ISRAELE



Se ci si addentra con attenzione nei movimenti antisemiti dal Medioevo ai nostri giorni, usando un sistema che vorrei chiamare di geografia psicologica, si giunge assai facilmente a comprendere come alla radice di ogni ondata di persecuzioni, molto più in fondo dei pretesti e dei rappezzi storico-economico-razziali, ardesse l’indistinto rancore della non conoscenza. Le ragioni sono molte e diverse: il naturale riserbo del mondo ebraico, l’oscurità della lingua, il fenomeno della concentrazione di gruppi di ebrei in comunità o ghetti che, nascendo da imposizioni, venivano facilmente scambiati per espressioni di settarismo, la pericolosa e facilmente equivocabile reticenza se non addirittura ostilità del mondo ebraico al proselitismo in epoche in cui si opponeva un proselitismo cattolico trionfante; e infine, e a causa di tutto ciò, la diffusa persuasione dell’Ebreo come straniero e parassita in terra d’altri, tenace sopravvissuto alla gigantesca rivoluzione religiosa nata col cristianesimo. Da un simile sostrato psicologico radicatosi nei non Ebrei  nutrito da un passivo conformismo nell’accettare l’idea delle persecuzioni nei territori della Diaspora come fatalità storiche, derivò quel tanto di antisemitismo popolare sufficiente, se non a giustificare nelle forme più acute, certo a tollerare uno stato di perenne violenza verso il popolo ebraico. Nel migliore dei casi, come in Italia dove l’antisemitismo si esprimeva in forme più blande che nelle zone dell’Europa orientale, l’Ebreo, anche se in via di assimilazione, veniva considerato un cittadino di seconda categoria o quanto meno un eterno apolide da avvicinare con diffidenza. Sono persuaso che in alcuni strati sociali e ancora in certi ambienti dell’economia e dell’industria tale diffidenza permane. E finché essa permane sussiste per l’Ebreo della Diaspora un indistinto quanto tenace pericolo. Sotto questo aspetto lo stato d’Israele rappresenta la più alta conquista morale del popolo ebraico dai tempi della dispersione ad oggi. Ho detto conquista morale e non pratica, sottintendendo nell’aspirazione alla riconquista dello stato d’Israele una necessità morale e religiosa più complessa di qualunque schematico assestamento materiale. Che il desiderio più che legittimo di sicurezza e sopravvivenza abbia richiamato in Israele una folla di Ebrei questo è fuori di dubbio; ma altrettanto fuori di dubbio è che lo stato di Israele non è soltanto lo stato di un certo numero di cittadini che in questo momento abitano in quel determinato territorio bensì lo stato ebraico o lo stato del popolo ebraico: la spiegazione di queste parole non è territoriale ma storica e va ricercata appunto nella fusione tra concetto di stato e tradizione religiosa … Nel caso di Israele, che rappresenta la concentrazione del popolo ebraico, è necessario riunire i due concetti di potere spirituale e temporale in uno solo scaturito direttamente dalla storia; cosicché in nessun Ebreo la coscienza nazionale e la tradizione religiosa possono scindersi in due valori a sé stanti essendo già fusi in un solo contenuto teocentrico. In altre parole non si può parlare di Ebreo laico e Ebreo religioso senza cadere in contraddizione. Poiché il concetto della nazione si rifà alla Torah, ovverossia alla tradizione religiosa … L’ebraismo non pretese mai di assurgere a religione universale proprio perché fu prima di tutto uno stato; uno stato chiuso entro precisi confini geografici assegnatigli da Dio. Questa spiegazione permette di comprendere le ragioni della profonda e rapidissima fusione del popolo ebraico con la terra che fu sua.
Tratto da Goffredo Parise L’Ultimo Sabato di Israele. In L’illustrazione Italiana, Aprile 1959.

giovedì 6 febbraio 2014

SHABBATH 8 ADAR RISHON 5774 / 7-8 FEBBRAIO 2014 - TETZAVVÈ







ORARI DI SIRACUSA
ore 17.12 - 18.11
Per le altre località clicca   Q U I


PARASHAH TETZAVVÈ: Shemoth 27,20 - 30,10
HAFTARAH: Yechezqiel 43,10-27


Shalom a tutti.

Abbiamo visto, nella parashah Therumah, come nel pensiero ebraico vi sia la santificazione del tempo nella creazione e nella parola divina, e come il Signore conceda all'uomo di santificare lo spazio nel Mishkan. "Una delle idee centrali dell'ebraismo - scrive la Shenkar - è il concetto di un sacro che non può essere fissato; di un popolo che mira a una terra ma che rimane sempre in viaggio, in un altrove; di una Gerusalemme non già posseduta ma sempre da acquisire". E Bruno Zevi, in un saggio breve ma intenso, Ebraismo e concezione spazio temporale dell'arte scrive: "Gli Ebrei sono Ebrei in quanto respingono la staticità delle cose e delle idee e credono nel mutamento e nel riscatto". Coinvolto in una responsabilità creativa, non nella mera contemplazione del creato, il costume di vita degli Ebrei è ritmato sul tempo. Le loro solennità sono segnate, in larga misura, dalle stagioni e dai ricordi. Nello Shabbath i religiosi individuano la santificazione del tempo, di D-o, dell'esistenza. "I Sabati - scriveva Herschel - sono le nostre grandi cattedrali: il rituale ebraico può essere qualificato come l'arte delle forme significative nel tempo, come architettura del tempo". Lo vedremo anche a Pesach, quando l'uomo si libera da ogni schiavitù e nella memoria ricomincia questo percorso di affrancamento da ogni Egitto, dalla materia, iniziando ancora una volta il percorso che libererà la sua anima. Non a caso alcuni testi cabalistici lo paragonano alla nascita, quando il bambino lascia l'ambiente amniotico. Dunque tutte queste disposizioni che il Signore dà, devono essere lette in questa dinamica dello spazio tempo. Ogni oggetto, ogni vestimento si caricherà, nei secoli, nei millenni a seguire, di afflati mistici, di stratificazioni simboliche complesse e a volte misteriose, moltiplicando lo spessore semantico di ogni dettaglio. Troviamo nel Trattato dei Palazzi, Zohar, Bereshit 38a: "Rabbi Shimon dice: Abbiamo appreso che, per creare il mondo, il Santo incise i segni del segreto della fiducia nelle trasparenze eminentemente segrete". Ma Heschel scrive "l'insegnamento dell'ebraismo consiste nella teologia dell'azione comune. La Torah sottolinea che l'interesse di D-o è per il vivere di ogni giorno, per le consuetudini della vita. La sfida non sta nell'organizzare grandi sistemi dimostrativi, ma nel modo in cui gestiamo il luogo comune". Questo assunto fa dire a Zevi: "Per questo il nostro santuario può essere una tenda sotto la volta celeste, un'arca mobile che segue il nostro itinerario. È un tempio che si chiama scuola perché vi si insegna la storia, può essere la scuola peripatetica del nostro errare, in quanto la storia è nel Libro che è in noi". Forse per questo nella Torah a volte il Tabernacolo viene chiamato Mishkan a volte Ohel Moʽed. Ohel è la tenda, Moʽed è il tempo delle feste, il tempo dell'uomo. Cosicché una traduzione possibile sarebbe Tenda del Tempo. Cogliamo un aspetto abbastanza criptico del choshen, il pettorale del Kohen hagadol: Lattes dice che è difficile leggere unanimamente un qualsiasi simbolismo nelle dodici pietre incastonate e corrispondenti ai figli di Yaʽakov e dunque alle dodici tribù. Vediamo ad esempio come lo Zohar commenta: "Queste dodici pietre preziose di Basso sono il riflesso sulla terra delle dodici Tribù cosmiche del mondo della Kedushah. Su ciascuna è inciso il nome della tribù collegata. Vedete subito come in ambiente mistico ogni valore simbolico possa trovare un'accezione. Per dovere di cronaca vi riporto di seguito le rispondenze delle pietre con le tribù.  
Prima fila: rubino-Reuven, topazio-Simeone, smeraldo-Levi; 
seconda fila: zaffiro-Giuda, opale-Issacar, diamante-Zabulon; 
terza fila: giacinto-Dan, agata -Gad, ametista-Neftali 
quarta fila: berillo-Asher, onice-Giuseppe, diaspro-Beniamino                       
In effetti sembra evidente come questo oggetto non avesse una concreta funzionalità liturgica ma piuttosto rappresentasse altro da , dunque avesse un valore trascendente. Ma in qualche situazione, per evitare autoriflessioni ermeneutico-filosofiche, conviene appellarsi al Wittgenstein che scrive: "In filosofia si corre sempre il pericolo di produrre un mito del simbolismo o un mito del processo spirituale. Invece di limitarci a dire, semplicemente, quello che tutti sanno e devono ammettere" o come scrive ancora "Voglia D-o provvedere il filosofo di uno sguardo acuto per ciò che sta sotto gli occhi di tutti". Dunque senza accedere forzatamente al gesunder Menschenverstand, al senso comune evocato da Rosenzweig in "Dell'intelletto sano e malato" proviamo, a volte, ad accordarci a quell'equivalenza fra pensiero ebraico e intelletto sano che intravede Glatzer, o perlomeno "a quell'attenzione per il concreto, l'individuale, l'irripetibile di ogni situazione singola che percorre tutta la cultura ebraica e ne condiziona, sottolinea Levinas, le forme culturali più caratteristiche, prima fra tutte il Talmud" (Gianfranco Bonola: Il disagio della filosofia). In questo Midrash la semplice pragmaticità ebraica: "E farai delle assi per il tabernacolo" (Shemoth 26,15). E da dove provenivano le assi? Il nostro Patriarca Giacobbe le aveva preparate. Quando egli giunse in Egitto, disse ai suoi figli - figli miei, voi sarete liberati da questa terra e il Santo Benedetto Egli sia, dopo la vostra liberazione vi ordinerà di costruire un tabernacolo, perciò preparatevi fin d'ora e piantate dei cedri, di modo che essi siano pronti quando Egli vi darà l'ordine di costruire il tabernacolo - Senz'altro fecero così e cominciarono a piantare; è detto infatti "le assi" quelle che loro padre aveva preparate (Tanchuma-Terumah). Come dire che mentre noi ci interroghiamo sui significati reconditi e sulle simbologie i nostri padri si sono armati di seghe e pialle e si sono detti "Bene, andiamo a prendere la legna!".
Shabbath shalom 
Israel Eliahu