mercoledì 17 aprile 2013

SHABATH 10 IYAR 5773 / 19-20 APRILE 2013

Boris Dubrov: Studio

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  19.19
Havdalah            20.19
Per le altre località vedi  http://www.myzmanim.com/search.aspx

PARASHOTH ACHARÈ MOTH e QEDOSHIM: Vayqrà 16 - 18, 19 - 20
HAFTAROTH: Yechezqiel 22, 1-16; 20, 1-19


Nel diciassettesimo capitolo nella Parashah di questa settimana, Acharè Moth, troviamo il divieto di cibarsi di sangue. Cerchiamo di comprendere allora il valore del sangue per gli Ebrei e che cosa implica, poiché il contravvenire a questo divieto è un peccato contro D-o  e,  secondo molte fonti, se non c'è una sincera Teshuvà e la non reiterazione, comporta una pena gravissima: il Karet, cioè la separazione da Israele. La traduzione del termine Karet, letteralmente “tagliamento” è intesa da alcuni come separazione dalla vita, da altri come interruzione della discendenza, da altri impossibilità di una vita in un al di là. Noi preferiamo intenderla come la pena massima, cioè la separazione da Israele.
“La voce dei sangui di tuo fratello grida a Me dalla terra”: la frase che D-o grida contro Cain è esplicita, “La voce dei sangui”, il sangue è stato versato. Secondo alcuni commentatori anche la proibizione per gli Ebrei di frequentare le arene dove si teneva lo spettacolo gladiatorio, il pugilato e il pancratium deriverebbe dal fatto che con un cambiamento, una interpretazione “della particella elai, a me in alai, contro di me,  era contro D-o stesso, che il sangue della vittima gridava lo scandalo, lo strazio, lo scempio…” (Raniero Fontana Avodah Zarah. Mimesis, 2011).
Tra l’altro nella Torah la parola è al plurale, i sangui e generalmente le parole che vengono utilizzate al plurale come in questo caso o che addirittura non hanno singolare come maym acqua e chaym vita indicano una grande quantità o una molteplicità costitutiva del concetto espresso.
Siamo un po’ lontani da quanto espresso da Hamas secondo cui uccidere, versare il sangue degli Ebrei è un modo per avvicinarsi a D-o (Repubblica 27 novembre 2000).
La sacralità del sangue dà voce a due espressioni contigue ma non ambivalenti in quanto sono l’una e l’altra riconducibili alla stessa qedushà. Abbiamo visto il valore del sangue in alcune ritualità enunciate nella Torah: Moshè asperge il popolo per sancire l’alleanza con D-o (Shemot 24, 8); gli stipiti delle porte segnate col sangue del capretto, ne abbiamo parlato a Pesach; D. Piazza ricorda come Maimonide (Egitto, XII sec) intenda il sacrificio dei capretti e la successiva azione di tingere col sangue gli stipiti come preciso segnale antiidolatrico; e ancora il rituale di purificazione tramite aspersione con sangue dopo la guarigione dalla tzaraʽath (Anna Foa ha recensito un volume David Biale: Blood and belief. The circulation of a symbol between Jews and Christian, Berkeley 2007). 
Cerchiamo di capire allora il significato di questo elemento rosso (adom) e vitale: la parola sangue inteso come elemento dell’organismo umano in ebraico è dam  דַם la sua radice alla parola adam, uomo, è evidente; ed è evidente la relazione con la parola adamà, terra. Dam è allora quell’elemento vitale che esprime in sè il principio primo vitale, quello che trasforma  la materia prima  in essere vivente, nell’adam, per azione divina.
 D-o il Signore formò l'uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici l'alito vitale e l'uomo divenne un'anima vivente.
Dam è il nefesh, l’anima animale, quella più vicina al corpo, la somma di tutti i processi biologici, l’intelligenza della vita.
Vi ricordo che vi sono cinque gradi dell’anima: Nefesh, Ruach, Neshamah e le due proprie degli zaddiqim e delle persone spiritualmente avanzate, Chayah e Yechidà (stato supremo dell’anima nell’unione con D-o).
“L'anima si manifesta nella persona come Neshamah, il soffio vitale, la coscienza; Ruach, lo spirito, l'emozione; e Nefesh, l'integrazione del corpo, il nutrimento dell'anima. Le tre manifestazioni dell'anima accendono la persona come il fuoco illumina una lampada, Nefesh come lo stoppino, Ruach come l'olio e Neshamah come la fiamma, come è scritto in Proverbi
20, 27: Lo spirito dell'uomo è una fiaccola del Signore che scruta tutti i segreti recessi del cuore” Tratto dallo Zohar.
La sacralità del sangue consiste proprio in questo, nell’essere il principio divino infuso nella materia per vivificarla.
A testimonianza di questo vi ricordo che secondo la legge ebraica chi procurava la morte per colpa e non volontarietà veniva allontanato in esilio fino alla morte del Kohen hagadol, generalmente arrivato molto anziano a questo importante ruolo. Se l’omicida non ottemperava a questo obbligo di esilio e tornava alla propria residenza, il redentore del sangue, goel haddam, generalmente un parente della vittima, aveva il diritto, non l’obbligo, di poterlo giustiziare. Nel momento in cui l’omicida usciva dall’esilio di lui si diceva non ha sangue.
Non è certo un caso che anche in relazione alla shechità cioè la macellazione rituale ebraica per jugulazione le norme siano rigorose e rigide.
Nella macellazione degli animali selvatici, quelli che non si offrivano al tempio, il sangue che cade a terra deve essere coperto di terra, quasi dovesse ritornare all’adamà. La procedura si chiama in ebraico kissuy haddam.
Nella carne non deve rimanere traccia di sangue. La materia deve essere privata completamente del principio vitale, il dam hannefesh.
Il sangue che fuoriesce dall’animale al momento dell’uccisione non può essere mangiato e con una prassi di salatura deve essere estratto il sangue e il siero residuo nei tessuti della carne destinata all’alimentazione.
Pensate che secondo la letteratura rabbinica la proibizione di mangiare sangue è tanto rigida che è proibito assumere il proprio stesso sangue se esce da un taglio o da una ferita, anche se in bocca, dunque in questo caso si dovrebbe sputare.
È anche vero che il sangue è l’elemento più corrompibile e velocizza la putrefazione, probabilmente anche in questo caso possiamo vedere princìpi che comunque corrispondono ad elementari regole di sanità. La prassi successiva di osservazione degli organi degli animali esula dall’argomento trattato in questo approfondimento, magari ne parleremo in altra occasione.
Ci sono capitoli particolari che riguardano il sangue mestruale e il dam betulim ovvero il sangue della verginità, ma ne abbiamo parlato in altre derashoth.
Però in particolare vorrei che prendessimo in considerazione alcuni reati che equivalgono allo spargimento di sangue e dunque fanno riferimento in particolare al VI degli ʽasseret hadibberot : Lo tirtzach, non assassinare. Sapete che non essendo compreso il causare morte per legittima difesa, in battaglia o la pena di morte, tradurre come non uccidere non è corretto. Sebbene ogni uomo debba fare tutto quello che è in suo potere per evitare di condurre a morte un altro essere vivente anche in questi tre casi prescritti.
Dunque fra i reati equiparabili allo spargimento di sangue c’è il diffamare con parole o indurre a vergogna un altro individuo. Secondo alcuni pareri rabbinici la cosa è evidente anche dal fatto che la vergogna induce afflusso di sangue alle gote rendendo visibile questa uccisione spirituale. La maldicenza, la lashon haraʽ è uno di questi reati, ne abbiamo già parlato in altre occasioni, ancor più grave se induce un’intera collettività a macchiarsi di una colpa, tanto da non essere nemmeno prevista una teshuvà che il Signore impedirebbe. Diffondere il male con la parola è equiparabile all’assassinio, la morte spirituale è sempre peggiore del male fisico.
A questo proposito potete leggere Le leggi della Maldicenza Chafetz Chaim  di Rabbi Israel Meir Hakcohen Kagan che trovate a questo indirizzo.
Non è questa la sede per approfondire da un punto di vista storico la questione del sangue e degli omicidi rituali. Vi dico semplicemente che l’accusa mossa per tanti secoli agli Ebrei e che ha cagionato migliaia di morti, nei primi secoli del cristianesimo era mossa ai cristiani stessi dai pagani, dagli idolatri.
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Qedoshim è una summa di quelle leggi che riguardano ogni sfera dell’umanità e che benché enunciate altrove vengono ribadite, poiché è proprio attraverso la loro osservanza che Israele potrebbe ritrovare la Qedushà perduta, la Santità che il Signore ci comanda.
“ Vi ho distinti dagli altri popoli affinché apparteniate a me”. In effetti la radice della parola Qedushà rimanda al concetto di distinzione, di separazione, di diversità. Solo al popolo di Israele il Signore impone la Qedushà.
“Sarete per me un reame di Sacerdoti”: quelli che porteranno sulle spalle l’eredità del disastro umano, ma anche la responsabilità della salvezza universale.
Il nostro appartenere al popolo eletto non deve farci dimenticare il concetto che ogni uomo porta in sé tutta l’umanità poiché tutta l’umanità è fatta a immagine e somiglianza di D-o.
Scrive Erich Fromm: È importante notare che l’atteggiamento nazionalistico, sebbene costituisca un elemento della tradizione biblica ed ebraica successiva, è controbilanciato dal principio opposto: l’universalismo. Il concetto dell’unità del genere umano ha la sua prima espressione nella creazione dell’uomo. Un uomo e una donna furono creati per essere gli antenati di tutta la razza umana – più in particolare dei grandi gruppi in cui la Torah divide il genere umano: i discendenti di Sem, Cam, Iafet.
La seconda espressione dell’universalità della razza umana si trova nel patto di D-o con Noach, antecedente a quello di D-o con Avraham...”
Scrive Lattes che la “costituzione della Santità è mista di elementi etici, nazionali, sociali, rituali, igienici... tutti quanti importanti per la retta condotta, per la disciplina spirituale, per la salute fisica e morale, per il benessere privato e generale della nazione”.
Comunque ritengo opportuno ricordare che nulla di per sé è sacro tranne il Santo Benedetto. Il resto è suscettibile di trasformazione, di santificazione, di attribuzione di una condizione in un passaggio da uno stato ad un altro attraverso il nostro agire, il nostro fare. Noi stessi, con le nostre azioni giuste, così come comandato dalla Torah, siamo portatori di Qedushà, di elevazione. Questo percorso della nostra vita ha il fine della consacrazione, opera che inizia dentro ognuno di noi, ma trova compimento quando tutta Israele raggiungerà questa condizione.
Per questo ogni tanto D-o ci chiede: “Dove sei?”.
A volte ci rendiamo conto di dover ricominciare daccapo la salita al monte; comprendiamo di esserci allontanati dalla via che Lui ci ha indicato con l’osservanza della sua legge.
Martin Buber scrive: “Quello che un uomo fa nella Santità qui ed ora non è meno importante né meno autentico della vita del mondo futuro.
Rabbi Hanoch di Alexander disse “Anche le genti della terra credono all’esistenza di due mondi. La differenza sta in questo: loro pensano che i due mondi siano distinti e separati l’uno dall’altro, Israele invece professa che i due mondi sono in verità uno solo e devono diventare uno solo in tutta la realtà”.
Vi lascio con un consiglio di lettura; un piccolo libro ma prezioso e sorprendente:
Martin Buber – Il cammino dell’uomo

Shabbat shalom
Israel Eliahu

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