giovedì 13 giugno 2013

SHABBATH 7 TAMUZ 5773 / 14-15 GIUGNO 2013



 Boris Dubrov: L'apprendimento della saggezza della Torah 2005


ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  20,01
Havdalah           21.07
Per le altre località CLICCA QUI

PARASHAH CHUQQATH: Bemidbar 19,1 - 22,1
HAFTARAH: Shofetim 11, 1-33

La parola ebraica chuqqim traduce un’idea di non comprensione. Cose che appartengono alla sfera divina e che non ci è dato di svelare con un approccio razionale. In sé non sono solo misteriose, si utilizzerebbe il termine nistarot, ma appartengono ad una sfera altra cui non è concesso, per il momento, accedere. Molte delle nistarot nel tempo si sono disgelate: in fin dei conti qualsiasi fenomeno elettrico era percepito come velato di trascendenza o magia ed oggi appartiene alla nostra quotidianità. Quello che era occulto oggi non lo è, il dominio della conoscenza e della razionalità ci consente di non dover interpretare fenomeni naturali come il tuono la folgore l’eruzione vulcanica o lo tsunami. I chuqqim sembrano appartenere ad una serie di prescrizioni di origine divina, pertanto non spiegabili con gli strumenti del nostro ragionare. L’utilizzo da parte del popolo ebraico di alcuni riti o la presenza nel racconto biblico di alcuni avvenimenti ha indotto i nostri avversatori a ritenere che nel nostro mondo sopravvivessero pratiche magiche. Tuttavia sia chiaro che nel mondo ebraico la pratica magica e stregonesca non è ammessa. Partiamo comunque dal presupposto che D-o ha creato le cose visibili ma anche quelle invisibili agli uomini per chiarire che dal punto di vista della dottrina positivista non può esserci condivisione di letture razionali dell’avventura del creato.
Il fatto che nemmeno il Signore ci è svelato in una forma e che preghiamo Colui che non è conoscibile, pur essendosi rivelato nella storia, chiarisce subito il nostro rapporto con il transumano e l’irrazionale. Per questo non è dato a noi tentare di dominare la natura e di condizionare la forza con chissuf diventare dunque mekasshef, cioè magoshim. La natura è opera di D-o e a lui sta disporne. Tutti gli avvenimenti che parrebbero ricondurre a questa sfera nella Torah sono opera divina e non degli uomini. Moshè è uno strumento nelle mani del Signore e nelle 22 lettere della creazione. Che Moshè batta la pietra per farne scaturire l’acqua non è di per sé cosa misteriosa. Ancora oggi i beduini del deserto usano percuotere la roccia per comprendere dalla sonorità l’eventuale presenza di acqua, ma che la parola comandata da D-o si faccia strumento per far sgorgare acqua non è un prodigio magico ma divino. Non è l’uomo che opera ma è solo il tramite, esso stesso strumento.
Lo stesso, lo abbiamo già detto, va ascritto a tutti quegli strumenti che paiono avere valore apotropaico come amuleti, talismani o oggetti sacri che sacri in sé non sono, è solo il rapporto fra noi e D-o che comporta la sacralizzazione. Per un goy una mezuzah è semplicemente una scatolina con delle parole al suo interno.
Che poi rimangano tracce di questo complesso rapporto con il mistero del creato e con il tentativo degli uomini di esserne interpreti questo è sicuramente possibile. Si pensi all’espressione “mazel tov” espressione benaugurale certo, ma che rimanda alla buona stella dell’astrologia e alle incerte cosmologie degli umani.
D’altronde si comprenda come gli uomini abbiano sempre tentato di far corrispondere i propri umili destini a quelli superni, ad accordare il micro al macrocosmo.
Il tentativo di dare alla parola un valore superiore, quasi a trasformarla in linguaggio divino, lo abbiamo fatto con la musica, con i giochi sonori di allitterazioni e rime, con le flessioni rituali della voce, col canto, per questo si intende la parola incantesimo come atto magico.
Tuttavia il nostro rapporto con il divino e con il creato è e deve rimanere solo quello di umili interpreti, strumenti del quotidiano prodigio dell’esistenza. Tutti gli altri tentativi di ergere noi stessi ad attanti della trasformazione sovrumana sono destinati a fallire e a configurarsi come atti magici, per questo condannati dalla Torah e da tutta la letteratura rabbinica successiva: “Chiunque fa queste cose è in abominio agli occhi dell’Eterno”.
In questa logica anche la questione della parah hadummà, della vacca rossa deve essere letta come un intervento che appartiene alla sfera divina e che non ci è dato comprendere. Forse un giorno, se il Signore lo vorrà, la storia o la scienza ce ne daranno ragione.
Shabbath shalom
Israel Eliahu

Nessun commento:

Posta un commento