mercoledì 11 dicembre 2013

SHABBATH 11 TEVET 5774 / 13-14 DICEMBRE 2013 - VAYCHÌ

Karla Gudeon: L'albero della vita

 
ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore 16.24
Havdalah          17.26
Per le altre località clicca  Q U I

PARASHAH VAYCHÌ: Bereshith 47,28 - 50,26
HAFTARAH: Melakhim II, 2,1-12
 

Shalom a tutti.
Il commiato di Jaʽaqob, che comincia al verso 2 del capitolo 49 e termina al 29, ha una struttura che sfugge a chi ha una Torah in versione Giuntina o quella delle edizioni di Moshè Levi od altre di facile reperibilità. Ma se controllate sulla Stuttgartensia la cosa balza agli occhi anche graficamente. Siamo di fronte ad un componimento metrico, uno dei più antichi che si conoscano. Dunque poesia ebraica. Poesia oracolare dacché il vecchio patriarca morente disegna il futuro dei figli, di due nipoti ma in realtà di tutte le tribù di Israele di cui le persone designate saranno i capostipiti. Rav Somekh, che ha scritto un volume edito dalla Nuova Italia nel 1990, ci mette subito in guardia dalle difficoltà che si incontrano nell’interpretazione del testo. A cominciare dalla definizione che viene generalmente data, quella di benedizioni (vedi ad esempio la derashah di Dante Lattes). A parte il fatto che le prime due forme oracolari contengono maledizioni, la radice brk rimanda oltre al significato di benedire anche a quello di salutare, quindi è probabile che si debba intendere nel significato di commiato che il vecchio padre dà ai figli. Questo dato non è certo irrilevante poiché rimanda ad un genere letterario a sé stante che ritroviamo in altri passi biblici come ad esempio quello di Moshè. Fra questi due testi c’è una forte parentela, quasi una filiazione dato che nel secondo Moshè Rabbenu si rivolge alle tribù di Israele con altrettanti spunti oracolari. Secondo Rav Somekh è difficile attribuire la paternità del commiato al nostro Patriarca, dovrebbe essere stato scritto in epoca successiva di molti secoli. Sembra sia permeato da istanze nazionali e “politiche” di cui Jaʽakov non poteva avere sentore, mentre sembra quasi essere assente quell’afflato affettivo che invece dovrebbero connotare le parole di un morente. Mentre non è necessario dubitare della concezione originale di un “Jaʽakov parlante”, gli oracoli certamente riflettono le condizioni e le aspirazioni  del periodo che vide il consolidamento della nazione ebraica ed esprimono l’affermazione della coscienza collettiva di Israele sulla condotta e il destino delle varie tribù”.

La critica si è espressa in modo unanime sul commiato, ritenendo che si tratti del frutto di un unico compilatore, probabilmente un Giudeo dell’età di David che ha utilizzato diverse fonti e materiali precedenti poiché non tutti i brani relativi alle tribù presentano una struttura omogenea. Resta intatto il messaggio, il contenuto che ci è stato tramandato dal testo.

“L’Idd-o dinnanzi al quale camminarono i miei padri, Abramo e Isacco, l’Idd-o che mi guidò da che son vivo fino ad oggi; l’angiolo cioè che mi salvò da ogni male, benedica questi giovanetti, si perpetui in loro il mio nome e quello dei miei padri ed essi si moltiplichino in gran numero sopra la terra” (Gen XLVIII, 15,16).
Il nostro Patriarca affida il proprio retaggio, la propria eredità spirituale ad un popolo nuovo con una struttura sociale che dovrà affrontare i millenni, sopravvivendo alla temperie della storia quando gli altri popoli verranno soggiogati dagli eventi lasciando solo tracce come testimonianza del loro passato.
Shabbath shalom
Israel Eliahu

Per saperne di più:
Alberto Somekh: Il Commiato di Jaʽaqob (Gen 49, 2-27). Un’ipotesi di interpretazione in chiave mediterranea. Firenze, La Nuova Italia, 1990

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