mercoledì 29 gennaio 2014

SHABBATH 1 ADAR 5774 / 31 GENNAIO-1 FEBBRAIO 2014 - TERUMAH ROSH CHODESH


ORARI DI SIRACUSA
ore 17.04 - 18.04
Per le altre località clicca   Q U I

PARASHAH TERUMAH: Shemoth 25,1 - 27,19
HAFTARAH: Melakhim I5,26 - 6,13


Shalom a tutti.Con la costruzione del Santuario itinerante e del Tabernacolo comincia per il popolo ebraico una nuova dimensione della sua storia spirituale. Il D-o che finora ha accompagnato il suo percorso in una costante teofania, che si è manifestato nascosto nelle nubi o nell'invisibile, nella voce che dona e comanda, chiede ad Israele di risiedere in mezzo a loro. La nuova dimensione è quella dello spazio. È importante comprendere questa nuova condizione perché un giorno cesserà. Dopo la caduta del secondo Tempio e la dispersione del popolo ebraico nella diaspora, questa dimensione s'interromperà. Tornerà la parola ad essere la tessitura della dimensione temporale di Israele fino alla ricostruzione del Terzo Tempio in Eretz Israel.
Ma ora il Signore chiede di risiedere fra il suo popolo.
Lo fa dando disposizioni costruttive precise. Chiede di dare misura alla residenza del grande assente, chiede di dare corpo e dimensione spaziale all'assenza. Vedremo fra due settimane che sceglierà, per realizzare il mishkan, un architetto, un ingegnere, dunque un tecnico. Non un filosofo, uno studioso, un profeta, ma un architetto. Dice D-o: La mia chiamata giungerà per mezzo di Betzaleel ... lo riempirò dello spirito di D-o per mezzo dell'intelligenza, della conoscenza. - Lo riempirò di pensiero. Ricorda il grande Baharier che il nome Betzaleel si può scomporre e si potrebbe leggere be tzal El cioè nell'ombra di D-o. Il rapporto con D-o è questo, nella sua ombra. Come l'ombra è la manifestazione di una presenza, ma impalpabile, non materica, anzi staccata e distante, così a Betzaleel è dato di esprimere questa lontananza-assenza di D-o. Ne avevamo già parlato a proposito del grande architetto contemporaneo Peter Eisenman che utilizza, per i suoi canoni costruttivi, il principio dell'assenza come cardine della teologia ebraica.
Nadine Shenkar ci dice anche che la radice trilittera di (be) se el (sic) cioè s l l racchiude in sé due sensi, suonare e coprire d'ombra o essere all'ombra, cioè: "Bezaleel, attraverso il suo nome è sia colui che vive all'ombra della luce primordiale, o En sof -il suo lato passivo, che riceve- sia colui che fa risuonare, suonare nel mondo, la presenza - il suo lato attivo, rivelatore nella materia atomica dell'essenza nascosta del Creatore".
Ombra e luce, silenzio e risonanza.
Nel Sefer ha likutim Rav Isaac Luria di Safad (XVI sec) il Santo Leone di Safad scrive "Bezaleel partecipa al segreto del tetragramma perché la bandiera di Giuda era alla testa del campo. Betzaleel (All'ombra di D-o) ha infatti modellato con le sue mani l'ombra dell'interiorità del Nome ossia le tende e il Tabernacolo interni, mentre Ooliab ha eseguito le tende esterne dello stesso Mishkan. Come un frutto e la sua scorza".
Comprendete ora perché fosse importante parlare, seppur brevemente, di questo primo architetto-artista, anche se lo troveremo soltanto fra due Parashoth.
Nell'affrontare la derashah a Terumah si hanno sempre delle remore. Da una parte il rischio è quello di riordinare tassonomicamente le prescrizioni divine, dall'altra è quello di interpretare questo cambiamento straordinario con un'ermeneutica azzardata e sbilanciata verso cabbalismi immaginativi.
Anatoli Yaʽaqov nel suo Malmad ha Talmidim, Il pungolo dei discepoli, per prudenza sposta l'asse esegetico sulla metafora della Casa di Dio come simbologia delle strade del Signore, dei suoi insegnamenti. 
Cita infatti il salmo 84,2-11: "... beato chi abita la tua casa ... Un giorno nei tuoi atri è meglio che cento altrove, stare sulla soglia della casa del mio D-o è meglio che abitare nelle case degli empi". Poi sposta l'attenzione sulla kavannah nella preghiera, che porta alle strade e alla dimora divina e sull'intelletto speculativo. Dunque come vedete siamo ben distanti da una Parashah che invece indica una serie di prassi costruttive soffermandosi su ogni dettaglio. Trovate in allegato alcuni disegni.
Rav Elia Kopciowski invece affronta la questione della stratificazione simbolica: "È necessario tener presente che ogni frase, ogni parola nella Torah non ha un solo significato; ha anche un senso simbolico più ampio, come si deduce dal versetto - una parola ha detto
D-o, due ne ho udite (Salmi, 62, 12) - Ricordiamo quindi che il Tabernacolo e tutte le sue suppellettili, oltre al loro significato letterale, avevano un significato simbolico e costituivano per tutti i figli di Israele un richiamo costante ai principi etici, morali, religiosi dell'ebraismo".
Scrive ancora la Shenkar: "Il Mishkan non è un luogo di culto, come comunemente si crede, ma un microcosmo del mondo, una struttura mobile che i Leviti montavano e smontavano a seconda del cammino del popolo nel deserto. L'opera artistica di Betzaleel ha essenzialmente lo scopo di collegare il cielo alla terra, di svelare i segreti del cosmo ai fedeli che entrano nel suo sagrato. Ciascuno degli elementi che lo compongono è esso stesso un simbolo e la complessità dell'insieme mira a tradurre l'infinita complessità della vita e della sua relazione con il mondo cosmico".
Davvero si concretizza la relazione fra microcosmo e macrocosmo? Non lo è forse lo stesso essere umano? Aveva bisogno il Signore Benedetto Egli sia di esprimere le leggi del creato in una dettagliata simbologia costruttiva?
Certo è che la complessa lettura in chiave simbolica ha impegnato tutti i grandi esegeti e cabbalisti, anche nello Zohar ritroviamo echi di questa ermeneutica.
Non è questa però la sede per approfondire questo argomento, molto articolato e complesso ma, soprattutto, esposto ai rischi di un'afasia mistica.
Tuttavia, benché ne parli anche Lattes, citando anche il Kauffmann, è opportuno soffermarci sulla questione dei Keruvim (vedete anche la tavola in allegato).
Queste due statue di legno ricoperto d'oro puro si ergono sull'arca chiusa. Ovviamente il primo interrogativo che ci si pone è perché l'artigiano ha potuto modellare, secondo istruzioni divine, due statue e nel posto più sacro, quando gli stessi comandamenti ne vietano la creazione?
Esodo 20,2-5: "Non avrai altro D-o all'infuori di me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro".
Deuteronomio 4,16-18: "Abbiate timore di pervertirvi fabbricandovi idoli, rappresentazioni o simboli di qualsiasi cosa: immagine di maschio o femmina, immagine di qualunque animale, immagine di un uccello che vola nei cieli, immagine di una bestia che striscia nel suolo, immagine di un pesce che vive nelle acque sotto la terra".
Come vedete dall'immagine che vi ho allegato, i due Keruvim si fronteggiano ad ali aperte. La Torah ci dice che la stessa voce di D-o scendeva fra queste ali quando si rivolgeva a Moshè. Ovviamente la prima elementare risposta che ci sale alle labbra è che questo è un ordine di D-o stesso e non riguarda strettamente la sfera della comprensione umana. È riferito solo a questa occorrenza e non ai suoi duplicati, ad esempio. Oppure si può obiettare che queste due figure non rappresentano alcunché di esistente e conosciuto dagli uomini, ma in Devarim si parla chiaramente anche di simboli e di idoli. Poco importa se non sappiamo con precisione quale fosse la morfologia esatta dei Keruvim celesti.
Scrive Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche: "Erano esseri alati con una forma che nessun mortale ha mai visto". Dunque si desume descritti da D-o stesso e mai visti dagli uomini.
Nel trattato Yoma del Talmud Bavli 54a, troviamo questo commento: "Quando Israele si radunava al Tempio per la festa di Yom Kippur il sipario del Kodesh hakodashim veniva tirato e i presenti vedevano i Keruvim toccarsi. Allora il Cohen hagadol diceva: - D-o vi ama come l'uomo ama la donna". Quindi troviamo lo stesso principio enunciato nello Zohar secondo il quale i due Keruvim rappresentano il principio maschile e femminile. Ma restiamo pur sempre in un campo di contraddizione, questi due esseri si protendono verso la stessa voce, la stessa Parola che li nega in quanto rappresentazioni materiche.
Io credo che il commento che segue possa avere un buon valore esegetico. Ve lo trascrivo così come è enunciato dalla Shenkar.
"... credo che vada accostato a un fenomeno interessante: Nel giorno di Shabbat non è permesso nelle case accendere il fuoco, ma nello stesso giorno il fuoco veniva acceso dai Kohanim nel Mishkan e in epoca più tarda nel Tempio per i sacrifici. Dunque non si tratta tanto di un divieto quanto di sfumature dell'interdetto: soltanto lo scopo finale definisce un divieto o il suo contrario. Poiché il fuoco è simbolo di lavoro umano, di cura, di creazione nella materia, non è permesso nello shabbat, ma quando serve per un lavoro spirituale, come i sacrifici nel Tempio, non c'è nessuna ragione per vietarlo. La statua è vietata perché l'uomo potrebbe adorarla, ma quando è simbolo della coppia nel Santo dei Santi, inaccessibile al pubblico ad eccezione di un giorno all'anno, si può trovare perfino sull'Arca dell'Alleanza".
Naturalmente vi propongo questi testi come stimolo ad una riflessione, ogni parola va soppesata e discussa con un interlocutore che sempre esprima un contraddittorio, secondo un'importante regola talmudica.
 
Shabbath shalom
Israel Eliahu

Nessun commento:

Posta un commento