giovedì 20 dicembre 2012

SHABATH 9 TEVET 5773 / 21-22 DICEMBRE 2012


Joan Landis, Shabath

ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 16,27
Havdalah    ore17,27
Per le altre località vedi  http://www.myzmanim.com/search.aspx 

Parashah Vayggash: Bereshith 44,18 - 47,27
Haftarah Vayggash: Yechezqiel 37,15-28

Nella prefazione al suo libro "Personaggi bi­blici attraverso il Midrash", Eli Wiesel esprime alcune considerazioni che sono illumi­nan­ti per comprendere il rapporto dell'Ebreo con la Torah e la sua narrazione, dunque con la sua stessa storia. Scrive Wie­sel: "La storia ebraica si rivolge al presente. Negando la mitologia essa influi­sce sulla no­stra vita e sul nostro ruolo nella società. Giove è un simbolo ma Isaia è una voce, una coscienza. Zeus è morto senza essere vis­suto ma Moshè resta vivo ... Non fosse per la sua memoria che egli vuole collettiva, l'Ebreo non sarebbe Ebreo, o più semplicemente non esisterebbe.


... Se noi abbiamo la forza e la volontà di parlare è perché i nostri padri si esprimono attraverso ognuno di noi ... l'Ebreo si sente più vicino al profeta Elia che al proprio dirim­pettaio ... l'Ebreo si ricorda di loro (i Padri) e li vede al crocevia della loro esistenza ... sono esseri umani, non dei ... il loro cammino s'inscrive nel suo, pesa sulle sue scelte, la scala di Yaʽakov dilania le sue notti … de­scrivere, parlare di Moshè vuol dire seguirlo in Egitto e fuori dall'Egitto ... queste storie sono di un'attualità sorprendente: Giobbe è nostro contemporaneo".
La storia di Giuseppe accompagna per quattro settimane la nostra lettura della Torah, in una lunga narrazione; non è una storia come le altre. D-o è assente in questa storia d'amore, in questa faida di fratelli.
Scrive Wiesel che la storia di Giuseppe è quella di una serie di metamorfosi: familiare, sociale, filosofica ed ebraica. Perché Giu­sep­pe da ragazzino arrogante e suppo­nente, sarà vinto, poi diventerà potente, sarà un eroe di castità e purezza, poi conoscerà la consapevolezza del perdono e finalmente di­venterà un Giusto.
La sua esistenza illustra la teoria di Kir­ke­gaard sui quattro cicli della vita umana: Il primo è quello della bellezza, il secondo quello della morale, il terzo quello del riso, e l'ultimo quello del sacro.
Giuseppe diventerà uno tzaddik ma lo dovrà solo a sé stesso, alla sua metabole; nella sua condizione egli seppe accettare la sventura e il potere senza mai rinnegare quello che era, ottenendo un trionfo che doveva soltanto a sé stesso; scrive ancora Wiesel: "Giuseppe fu il primo Ebreo a soffrire per mano di altri Ebrei, seppe però dominare il suo dolore e la sua delusione, e unire il suo destino al loro".
Per saperne di più: Eli Wiesel: Personaggi biblici attraverso il midrash.
Potete trovare altri midrashim molto sugge­stivi sulla storia di Giuseppe nel libro di Paci­fici: Midrashim, fatti e personaggi biblici.
L'arrivo di Giuseppe e della sua famiglia in Egitto non trova attestazione nei documenti Egiziani, ma l'Archeologia ha dimostrato che una parte del Delta del Nilo fu fortemente semitizzata ai tempi degli Hyksos, anzi si suppone che la stessa dinastia dei faraoni che regnarono in Egitto ai tempi di Giuseppe  appartenesse al ceppo semitico nord-occi­dentale, dunque quasi parenti del popolo Ebraico. Tutte le informazioni che possiamo evincere dalla lettura di questa parte di Torah possono essere confermate da dati storici. Dalla oniromanzia ai titoli di «capo coppiere» e «capo panettiere» dei due compagni di pri­gionia di Giuseppe. Anche il titolo di Giusep­pe quale sovrintendente della casa trova ri­scontro nelle fonti egiziane.
Riguardo alla carestia prefigurata da Giusep­pe troviamo un'iscrizione nell'isola di Sehel a sud di Elefantina, dell'epoca Tolemaica, che riguarda un periodo di sette anni di carestia verificatasi ai tempi di Geser della terza di­nastia:
"Ero nella tristezza sul mio grande trono, dice Par-oh. Coloro che erano nel palazzo vive­vano nell'afflizione ed il mio cuore era terri­bilmente abbattuto perché il Nilo non era ve­nuto a tempo per un periodo di sette anni; i cereali erano magri, ogni uomo era privo di respiro, il bambino era nel pianto ..."
Anche il nome di Potifar viene trovato in una stele funeraria e il nuovo nome imposto a Giuseppe dal faraone, Zafnat-Paʽneach,  trova riscontri nell'onomastica egiziana.
Il fatto che di un personaggio così importante come Giuseppe non si sia trovata traccia nella cronaca dell'antico Egitto ha lasciato supporre ad alcuni che in realtà Giuseppe sia passato nella memoria egiziana col nome di Imhotep, anch'egli vissuto, secondo le cro­nache egiziane, nel terzo secolo e che svol­geva presso il faraone le stesse incombenze di Giuseppe. La storia di Imhotep sembra ri­calcare la cronaca biblica di Giuseppe. En­trambi moriranno a 110 anni, ma di Imoteph non è mai stata trovata la sepoltura.
Questa lettura della storia biblica e del suo riscontro nella cronaca egiziana fa arguire che non fu la cultura ebraica ad essere in­fluenzata da quella egiziana ma il contrario, proprio come è scritto nel salmo 105,17-22:
"D-o mandò un uomo davanti a loro, Giusep­pe che fu venduto come schiavo, i suoi piedi furono serrati nei ceppi, sulla sua persona venne posta una catena di ferro fino al mo­mento in cui avvenne quello che aveva detto e la parola dell'Eterno, nella prova, gli rese giustizia (lo rese puro). Il re (faraone) mandò a farlo sciogliere, il dominatore dei popoli lo mise in libertà. Lo nominò Governatore (Si­gnore) della sua casa e amministratore di tutti i suoi beni. Poteva incatenare i prìncipi a sua discrezione e rendere più sapienti i suoi anziani consiglieri".

Shabbat shalom
Israel Eliahu

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