martedì 4 dicembre 2012

SHABBATH 24 KISLEV 5773 / 7-8 DICEMBRE 2012


Boris Dubrov: Festa di Channukka, 2006

ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore  16.23
Havdalah    ore   17.25
Per le altre località vedi  http://www.myzmanim.com/search.aspx
All'uscita di Shabbath si accende il primo lume di Chanukkah.

Parashah Vayeshev: Bereshith 37 - 40
Haftarah Vayeshev: ʽAmos 2,6 - 3,8


L’
approccio ermeneutico alla Torah differenzia l'ebraismo da altre antiche concezioni assolute e sacrali dove viene chiesto alla ragione di abdicare senza riserve. Si pensi alla religione dell'I­slam, per la quale Dio è intervenuto solo nella mente del profeta e ha determinato una immu­tabilità nella storia senza intervenire.
Nell'Ebraismo D-o è anche teofania, a volte angelica, miracolistica, interviene nella storia, co­struisce con gli uomini una storia, nel paradosso dell'infinita distanza di D-o e della completa vicinanza della parola che da Lui deriva (Devarim 29,28; 30,11-14). 
La Parola nella sua autorevolezza esige di essere eseguita ma anche interpretata. Solo così la storia nelle sue dinamiche si disvela dipanandosi. La Torah, be ruach qodesh, si rivela in una dimensione  di progressione temporale che nell'apparente immutabilità della sacralità del te­sto contiene il germe dello sviluppo e della contemporaneità. A volte è la dinamica umana, so­ciale degli uomini, il loro percorso nella storia che richiede una ermeneutica che la anima, che la connette alla parola divina fuori dalla letterarietà statuaria della scrittura. Accanto alla To­rah she bi ktav si manifesta la Torah she be al peh, la Torah orale.
Rabbi Jonah ben Abraham (secolo XIII) dice - È scritto ”ti darò due tavole di pietra, la Torah e la Mitzvah” (Shemoth 24,12). La Torah si riferisce alla Torah scritta e la Mitzvah alla Torah orale. -
(Per approfondire vedi Piero Stefani: Testo e commento, in Ebrei moderni identità e stereotipi culturali. Bollati Boringhieri  1989)
A volte nel disegno Divino e nella sua interazione con il percorso degli uomini paiono però na­scere alcune almeno apparenti discrepanze nelle dinamiche della storia del popolo d'Israele. È il caso della storia dei primi nostri Patriarchi, benedetta la loro memoria, e di uno dei principi della Torah orale e scritta: la primogenitura. Questa è la consacrazione a Dio, in segno di culto e di lode, del primo figlio ”Il primogenito dei tuoi figli lo darai a me” (Shemoth 22,28). Il primo­genito era l'erede del padre, da una parte di carattere spirituale, tanto che interveniva la benedizione paterna, dall'altra per l'eredità materiale.
Questo diritto, che oggi la moderna giurisprudenza rigetta, è sempre stato presente nelle cul­ture di ogni tempo fino ad arrivare nel diritto normanno in Sicilia ad essere esteso anche alle donne. Non così nell'antico popolo ebraico dove era una prerogativa maschile. Il bekhor è an­che simbolo dinastico ma poteva per volere del padre o per sua propria determinazione ven­dere la primogenitura al fratello.
Scrive Roberto Colombo in un articolo pubblicato su Morashà e di cui vi consiglio l' intera let­tura al link di seguito :
“L’importanza del bekhòr, almeno durante il periodo dei patriarchi, era direttamente propor­zionale alla sua disponibilità e capacità di operare per il bene della società e della sua famiglia in particolare. A lui, assieme al padre, spettava il compito di aiutare materialmente i fratelli e di essere per essi un esempio anche di moralità. Perciò chi non era in grado di adempiere ai compiti che la tradizione gli assegnava poteva vendere, donare o perdere per volere del padre la propria primogenitura a favore di uno tra i suoi fratelli (Gen. 25°, 31-32.; Gen. 48°, 14). Esse­re un bekhòr, dunque, non era solo un onore ma anche un onere che veniva e viene tutt’oggi ricompensato con una eredità doppia rispetto a quella destinata ai fratelli. Ma il compito più importante assegnato al primogenito fin dai tempi di Avrahàm fu sicuramente quello di esercitare il culto sacerdotale (Ber. Rabbà 63°, 18), funzione questa che si protrasse fino a che passò di diritto ai Leviti discendenti di Aharòn (Num. 30°, 3)”.
Eppure nella storia ebraica, e dei primi Padri questo diritto pare non essere sancito dagli acca­dimenti. Anzi saranno proprio i figli minori a volte i preferiti, a tracciare storie e dinastie: si può parlare di primogenitura spirituale nei casi di Isacco, rispetto a Ismaele, di Giacobbe ri­spetto ad Esaù e di Giuseppe rispetto agli altri fratelli.
Per comprendere queste scelte non ci si può appellare alla diversa discendenza da parte di madre. La Torà richiede una maggiore sacralità ai primogeniti da parte di madre rispetto ai primogeniti da parte di padre.
Vigeva una norma consuetudinaria anti poligamica già dalle civiltà sumeriche che solo con una ditilla (decisione giudiziaria) consentiva facoltà di un nuovo matrimonio solo in un caso specifico: se colpita da malattia la moglie poteva consentire al marito una seconda moglie in pari grado evitando così un divorzio che pure le sarebbe spettato di diritto.
Nel caso di Giacobbe c'è un'anomalia. La poligamia non cercata viene accettata come il male minore.
Possiamo dire che l'ordinamento giuridico dell'antico Israele, come per molti altri popoli del medioriente, non toglieva in assoluto al marito la facoltà di praticare la poligamia o la poligi­nia, ma tollerava questa prassi entro certi limiti e necessità.
Dunque la determinazione della storia e degli eventi che ne seguiranno da parte di figli mino­ri e che relegano la primogenitura a figure di secondo piano, seppur attanti negli sviluppi degli accadimenti, proprio perché costante nella prima parte della storia di Israele, sembra suggeri­re un disegno i cui contorni forse a noi non sono chiari ma lo sono nella mente di D-o.
Shabbat shalom
Israel Eliahu
 

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