martedì 19 novembre 2013

U M O R I S M O


Zalman Kleinman: Danza chasidica    
    
La disputa
 
Nei tempi che furono, molte questioni di natura dottrinale, religiosa, etica o filosofica si risolvevano con Dispute ovvero tenzoni dialettiche su argomenti controversi dalle quali emergeva vincitore l’uno o l’altro dei contendenti.
In una cittadina del centro Italia un vescovo cattolico era così accanitamente ostile agli Ebrei che per disfarsene definitivamente, non potendo in quel momento appellarsi ad altre leggi cittadine, decise di sfidare il rappresentante della comunità ebraica mettendo in posta il diritto stesso alla permanenza degli Ebrei i quali, qualora avessero perduto la disfida, avrebbero dovuto allontanarsi per sempre.
Ovviamente gli Ebrei non avevano il diritto di rifiutare la sfida ma, poiché le capacità argomentative degli Ebrei, ricchi di studi di Talmud Torah in ermeneutica e materie religiose erano ben note, il vescovo impose la regola che la disputa si dovesse svolgere con il solo utilizzo di gesti simbolici, nel più assoluto mutismo, certo così di neutralizzare la temuta verve dialettica ebraica.
Per quanto gli Ebrei fossero noti anche per la continua gestualità espressiva, nessuno trovava il coraggio di assumersi una responsabilità così gravosa in una sfida tanto bizzarra. Né il Rabbino né altri dotti né i maggiorenti si candidarono a rappresentare la Comunità Ebraica, temendo di cadere in un tranello dagli esiti nefasti.
Poiché qualcuno doveva pur presentarsi e le candidature andavano vacanti si decise allora che il prescelto fosse Samuele, un sempliciotto che faceva lo straccivendolo, ma l’unico che si era offerto volontario, confidando che il Signore Id-dio nella sua benevolenza illuminasse, in virtù di quell’eroico gesto, la mente confusa del poveretto.
"Sei meshughe - gli diceva la moglie - ti farai umiliare come al solito e ci toccherà di andare raminghi per l’Italia e chissà dove altro. Tutti si ricorderanno di te solo per i guai che ci procurerai".
"Che vuoi fare allora? - diceva il pover’uomo - qualcuno dovrà pur provarci, altrimenti ci cacceranno lo stesso. Speriamo che Kadosh Baruch Hu si ricordi del suo figlio devoto".
Arrivò il giorno stabilito, nel luogo deputato alla tenzone: la piazza davanti alla chiesa, che incombeva greve sui poveri Ebrei che si erano riuniti per assistere alla sicura disfatta, con i fagotti già pronti per fuggire altrove.
Dall’altra parte stava il Vescovo con il suo codazzo di pretini e di fedeli.
La disputa ebbe inizio. Il corpulento vescovo si piazzò nel centro della piazza e con un ampio gesto del braccio disegnò un mistico cerchio nell’aria. Poi compiaciuto e tronfio attese la risposta di Samuele lo stracciaio. Samuele sembrò con un salto attraversare il cerchio sospeso nell’aria e penetrarlo. Sbalordito il vescovo aggrottò le ciglia e il sorriso sarcastico sembrò mutarsi in un ghigno.
Allora l’alto prelato fece un passo avanti e alzando la mano mostrò ai convenuti pollice, indice e medio della mano destra e attese. Samuele scrutò accigliato il porporato, si fece largo fra i suoi e mostrò il dito indice indicando verso l’alto. Poi, quieto rientrò nei ranghi.
Dall’altra parte la folla dei fedeli cristiani ondeggiò intuendo che la sicumera e la protervia del loro paladino stavano scemando.
Ansimando, turbato e sorpreso, il vescovo prese un pane e un calice di vino, spezzò il pane e bevve il vino, certo questa volta che la irriducibile intuizione ebraica avrebbe mostrato il suo lato debole.
Ma Samuele non si perse certo d’animo e con un gesto che parve studiato ma d’effetto estrasse da un maletto di panno una umile mela, e con olimpica tranquillità la morse.
Stremato e grondante sudore il vescovo si accasciò sulle ginocchia e coprendosi il volto con la stola ammise di aver... perduto... Fu un tripudio! Gli Ebrei trascinarono Samuele in trionfo per le vie della Giudecca fra canti e lazzi rivolti agli incirconcisi.
Rimasto solo con i suoi prelati il vescovo pianse. "Ma... sua eminenza... che è successo, che significavano quei gesti ieratici ed enigmatici?"
"Ebbene, quando ho tracciato il cerchio io significavo che il Signore è ovunque sulla terra e nel firmamento. Lui mi ha risposto che anche la terra che calpestano gli Ebrei è in D-o".
Si tormentava le mani il rosso prelato.
"Poi con le tre dita ho mostrato la santa trinità, e lui mi ha risposto che
D-o è uno ed indivisibile. Quindi ho mostrato i simboli di nostro signore il suo corpo e il suo sangue e l’Ebreo mi ha ricordato che siamo tutti fratelli nel peccato originale. Ed io mi sono sentito umiliato e perduto, senza più poter argomentare altro". Poi chinò la testa nello scoramento, chissà se risentito o assorbito in nuove riflessioni.
Nella Giudecca continuavano i festeggiamenti e fu il turno di Samuele a spiegare le dinamiche che avevano condotto al trionfo il meschino.
“Quello ha fatto un cerchio per dirmi che avremmo dovuto andarcene dalla città ed io ci sono saltato dentro per dirgli che saremmo rimasti a tutti i costi. Poi mi ha fatto vedere le dita per darci tre giorni di tempo per lasciare le nostre case. Così ha fatto! Allora io gli ho risposto che non ci contasse proprio, mostrandogli il dito. È stato a quel punto, quando ha tirato fuori da mangiare che ho capito che avrebbe lasciato perdere, così ho tirato fuori anch’io… la mia povera cena”.


Libero adattamento di Israel Eliahu

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