venerdì 14 marzo 2014

SHABBATH 13 ADAR S. 5774 / 14-15 MARZO 2014 - TZAV - SHABBATH ZAKHOR

Rembrandt: Banchetto di Ester, Achashverosh e Haman


ORARI DI SIRACUSA
ore 17.46 - 18.45
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PARASHAH TZAV: Vaiqrà 6 - 8 
HAFTARAH: Yrmeyah 7,21 - 8,3; 9,22-23



     Shabbat Zachor

Illuminati dalla torcia che tenevano in mano, attraversavano la notte.
Così grande era la loro fede che forse neppure si accorgevano di consumarsi insieme alla torcia stessa.
Neppure si accorgevano che quella rozza fiaccola era la loro memoria.
Erano cinque. Al più giovane disse l’anziano: “Tu sei la vocale, l’anima”. Al secondo: “Tu sei la consonante, il pilastro. Al terzo: “Tu sei la parola, l’universo”. Al quarto: ”Tu sei il silenzio, l’infinito”.
“E tu chi sei” gli chiesero gli altri “tu chi sei?”
“Sono il libro” egli rispose “Poiché come il libro mi apro sul mio corpo, sul mio spirito, poi, come un enigma mi dissolvo in me stesso. Sono il libro e senza voi nulla sarei”.
Da Edmond Jabes. Le Parcours. Gallimard, 1985

Shalom a tutti.
Questo Shabbat prima di Purim è Shabbat Zachor, uno degli Shabattoth speciali del nostro calendario. Lo ricordiamo, sono Shabbat Shuvah, Shabbat Shirah, Shabbat Shekalim, Shabbat Parah, Shabbat haGadol, Shabbat Chazon, Shabbat Nachamù.
Shabbat Zachor è dedicato al ricordo. Non in modo generico sul valore della memoria ma all’imperativo Ricordati di Amaleq. Un precetto positivo per rinvigorire la coscienza della ferocia e dell’odio immotivato di tutti gli ‛Amaleq che il nostro popolo ha incontrato nella sua storia. Questo Shabbat non prevede particolari osservanze se non per il fatto che dopo aver letto la Parashah Tzav come d’uso, si legge da un secondo Sefer Torah un maftir tratto da Devarim 25: 17-19
E questa è considerata una prescrizione della Torah. Per questo motivo bisogna avere la giusta Kavanah per la lettura del maftir e la coscienza di compiere una mitzvà. C’è inoltre il suggerimento di leggere dal Sefer più bello e di ascoltare la lettura al Beth haKeneset, proprio per suggellare quel senso di comunione e di unità che ha sempre salvato il nostro popolo. Chi non può essere presente alla lettura pubblica in Sinagoga ha comunque l’obbligo di leggere da un Kumash La parashah Zachor.
Questi versi sono tratti dalla Parashah Ki Tetze.
“Ricordati di quello che ti fece ‛Amaleq quando eri in viaggio allorché uscisti dall’Egitto, che ti assalì sulla strada e colpì tutti coloro che affranti erano rimasti indietro mentre tu eri stanco e sfinito, e non temette Id-o.  E quando il Signore tuo D-o ti darà tregua da tutti i tuoi nemici all’intorno nella terra che sta per darti in eredità perché tu ne prenda possesso, cancellerai il ricordo di ‛Amaleq di sotto il cielo, non dimenticarlo!”
Anche la Haftarah ha un rimando a ‛Amaleq ed è tratta da Shmuel 15. Racconta di questa perpetua inimicizia fra Israele e ‛Amaleq che, come sappiamo, è un paradigma dell’insensato, immotivato odio antisemita.
Risulta più velato il legame con la Parashah Tzav, ma i commentatori ci fanno notare che si parla di fuoco perenne, oggi rappresentato dal ner thamid che arde sopra l’Aron Kodesh, che è il segno perpetuo dell’Alleanza, memoria eterna del Tempio, fiamma che suggella la presenza Divina e l’ardere della nostra spiritualità per Israele; ma evidente è invece il legame con Purim.
Intanto ricordiamo che Haman e i suoi seguaci erano discendenti proprio della stirpe di ‛Amaleq ed anche Haman, nella storia di Purim cerca di cancellare il popolo ebraico e solo l’invito all’unità  (Ester 4: 16) della regina salva Mordechai e gli Ebrei.
Cè un ulteriore rimando che ho letto in un testo che vi propongo, ringraziando Hamefiz per la loro benevolenza, e che ho trovato in Momenti di Torà Adar II n° 7 II,  sul sito www.ebrei,net
Eccolo di seguito.

AMALEK E I NAZISTI (Imach Shemam – che Hashem cancelli il loro ricordo)
Nella meghillà di Ester c’è una predizione stupefacente sulla caduta
della Germania nazista (i”s). Nel passo dove vengono riportati i
nomi dei 10 figli di Aman (I”s) troviamo una particolarità, tre lettere
(la ת la ש e la ז) sono state scritte piccole ed una più grande (la
ו) rispetto alle altre. È risaputo inoltre, che la stessa versione, così
come scritta sul klaf che abbiamo noi oggi, è la stessa che fu scritta
più di 2000 anni fa, ed è la stessa che fu tramandata per secoli fin
dai tempi di Mordechai ed Ester ai giorni nostri.
Su questo passo (cap.9;13) sorgono due interrogativi: 1) Cosa ci voleva
indicare Mordechai (compilatore secondo molti della meghillà)
con le 4 lettere scritte in quel modo? 2) Perché Ester implora il
re di impiccare nuovamente i figli di Aman (i”s) come scritto: “Se
sta bene al re.....domani si facciano impiccare sulla forca i 10 figli di
Aman”, quando in realtà precedentemente (v.7) sono già riportati i
loro nomi tra i messi a morte?
Scrive il Talmud che ogni volta che troviamo la parola re sulla meghillàt Ester ci si riferisce al Re del mondo, a meno che non si trovi scritto il nome del Re Achashverosh esplicitamente. Quindi, ci insegnano i nostri chachamim, che nel passo su riportato Ester si sta rivolgendo senza dubbio al “Re” Hashem Itbarach implorandoLo che “domani” si impicchino i 10 figli di Aman (I”s). Allora bisogna chiederci a quali 10 figli di Aman si riferisce?
Nel novembre del 1945 ebbe luogo il processo di Norimberga dove
furono citati a giudizio 23 criminali nazisti (i”s) e trai quali, il 1°
di ottobre, 11 furono condannati a morte. In tribunale si trattò in
che modo dovessero essere messi a morte se per fucilazione o per
impiccagione. Nonostante l’ordinamento giudiziario militare dichiarasse a quei tempi che era vietato mettere a morte per mezzo di impiccamento i generali detenuti, la richiesta di Ester al “Re” doveva essere comunque esaudita! Dunque fu deliberato che la pena di morte dovesse essere proprio l’impiccagione. Tuttavia c’era ancora un dettaglio che non quadrava: i malvagi figli di Aman impiccati erano 10 ed i malvagi nazisti da mettere a morte 11. Con tutto ciò anche questo ordì Hashem Itbarach.
La notte tra il 14 ed il 15 di ottobre, Gring si tolse la vita con una
pillola velenosa, aggiungendosi agli altri morti suicidati, Hitler,
Himmler, Gebels (I”S). Ebbene furono impiccati precisamente 10
nazisti, proprio come aveva richiesto Ester al Re! Nondimeno sapete
qual è la cosa stupefacente? Le 3 piccole lettere scritte nella
meghillà trai nomi dei figli di Aman combaciano proprio con la
data 5707 תש”ז il giorno nel quale furono uccisi quei perfidi nazisti.
La lettera ו invece sta a indicare il 6° millenio dalla creazione del
mondo (5707 l’anno dell’accaduto). Per di più è tradizione rabbinica
(Talmud Meghillà e Grà) che i germani provengono proprio dalla
stirpe di Amalek capostipite di Aman. Quindi i 10 “secondi” figli di
Aman furono messi a morte per impiccagione dai rappresentanti
Anglo-Americani il giorno 21 di Tishrì 5707. La cosa più incredibile
di questa storia ce la rivela il New York Journal American del 16
ottobre 1946, nel quale si descrive l’accaduto durante l’impiccagione
così : “.....quando arrivò il turno di Julius Shtraicher di trovarsi
di fronte alla forca, questi spalancò gli occhi davanti agli 8 ufficiali
Anglo-Americani e ai giornalisti dei più noti giornali mondiali. Con
l’odio che bruciava nei suoi occhi gridò: “Chag Purim 1946!!” in quel
momento si aprì la piattaforma a lui sottostante in un gran fragore”.
Grido insolito! Perché non ha urlato Chag chanukka? Anche questa
festa celebra la vittoria sui nemici. Oppure Chag Pesach che festeggia
il primo trionfo ebraico sugli Egiziani!? E non dimentichiamoci
che quel giorno era il 21di Tishrì Hoshannà Rabbà poteva esclamare
“Chag Sukkot”, perché ha urlato proprio “festa di Purim!” Forse
Shtraicher inconsciamente sapeva che si era verificata la replica
dell’impiccagione dei 10 figli di Aman. Si era compiuto un nuovo
Purim, un nuovo “nafoch hu – e si capovolse” (la faccenda). Per tutta
la storia, molteplici nemici con l’intento di eliminarci si sono visti
ribaltare la situazione da Hashem Itbarch che ci salvò dalle loro
mani e li giustiziò proprio come un buon padre fa per i propri figli.
Da qui dobbiamo imparare un insegnamento enorme per tutte le
generazioni. Hashem ci insegna i fondamenti dell’emunà in ogni
tempo e situazione. Purim ci viene ad insegnare che è solamente

Lui che guida il mondo, non esistono i nazisti i”s, gli Aman, gli iraniani o i palestinesi, Hashem vuole che ci avviciniamo a Lui e riconosciamo la Sua Presenza e la Sua Mano in ogni evento della nostra storia. Che Hashem ci apra gli occhi nel capire le Sue strade e ci avvicini appieno all’emunà! Amen.


Parasha tzav

All’inizio della nostra Parashah il Signore comanda ad Israele, attraverso Moshè, di mantenere sempre acceso il fuoco sull’altare. Anche oggi, nelle Sinagoghe, c’è sempre un Ner Tamid che arde davanti all’Aron Kodesh, proprio in ricordo del fuoco che ardeva perennemente sull’altare dei sacrifici nel Tabernacolo, durante la permanenza degli Ebrei nel deserto, poi nel tempio di Gerusalemme.
Questa piccola parola di genere femminile, Esh costruita con due consonanti, Alef e Shin, lettere madri, significa fuoco. La sua stessa pronuncia evoca il vibratile elevarsi della fiamma pantamorfa. Il fuoco innalza lingue simili a foglie di palma. I 4 bracci della Alef il cosmo compiuto, la sovranità del Signore e i tre bracci della Shin “ma ale lulavin” come foglie di palma, armonia e simmetria, lo spirito divino, fanno di questa parola una costruzione in sé compiuta.  Anche la Torah, parola di D-o, è fuoco nero su fuoco bianco. Sempre quando il divino si manifesta il fuoco accompagna la teofania. Pare quasi che accompagni D-o come sua prossimità manifesta.

Si direbbe abbia una funzione di mediatore simbolico che rapporta l’umile natura degli uomini alla misteriosa rivelazione di D-o.

C’è una connessione intima fra il D-o d’Israele e il fuoco. Il fuoco è anche il simbolo parallelo all’acqua lustrale della purità. Nel fuoco ci si monda, ma mentre il fuoco divino non si estingue quello degli uomini va alimentato. Spesso nella Torah la parola divina è fuoco: “e un fuoco uscì dal cospetto del Signore”.

“Moshè guardò ed ecco: il roveto era in fiamme, ma quel roveto non si consumava” (Shemot 3,2). "Come questo roveto brucia in mezzo al fuoco - dice il midrash - eppure non si consuma, così gli Egiziani non potranno distruggere Israele”. Dove  gli Egiziani sono tutti gli Amalek, tutti i nemici di Israele passati e presenti.

In molte cosmogonie il fuoco è uno degli elementi primordiali e in molta letteratura apocalittica si prefigura l’azione del fuoco come ecpirosi. Nella temperie del pensiero ebraico medievale, Maimonide postula una equazione fra tenebre (choshekh) uno dei 4 elementi della creazione, e fuoco diafano, fuoco non luminoso, fuoco nero. Anche Nachmanide riprese il concetto di fuoco di tenebre nella dottrina della creazione perché  “…. il fuoco è detto oscurità poiché il fuoco elementare è oscuro”.

Scrive Busi: “La nerezza di quel fuoco contiene in sé tutte le sfumature che apparentemente nega, la sua impenetrabile oscurità racchiude anche - nella immaginazione cabbalistica - la visione di ogni oggetto futuro”.

Ma il fuoco è luce, scrive Rashi in un commento a Geremia: “nel luogo nel quale non c’è un lume non c’è pace giacché chi procede inciampa, e procede nelle tenebre".

A Channukà il fuoco testimonia non solo l’avvenuto miracolo dell’olio, ma il fuoco di Israele. La channukia di ogni casa deve essere ben visibile da fuori: anche questa luce illumina lo spirito, per questo è proibito usare i nerot come strumenti per guardare la quotidiana occorrenza. Eppure il fuoco è anche l’unico elemento nel quale l’uomo non può vivere, ma è in grado di crearlo, non così con gli altri elementi. Come abbiamo visto nella derashà su Shabbath, il fuoco che pure apre lo Shabbath con l’accensione dei lumi affidata alla donna e lo separa dalla settimana con la Havdalah affidata all’uomo, non può essere acceso durante lo Shabbath perché rappresenta il dominio dell’uomo sulla natura. Ma il fuoco che viene acceso è quello che rischiara la vita spirituale, nella luce della Torah, nella osservanza dei suoi precetti. Scrive  Jonathan Pacifici: “La benedizione dello Shabbathè proprio nella capacità umana di confrontarsi in maniera assolutamente impari con l’infinito ed accendere un lume alla presenza della Luce, perché se non ha ancora diritto alla Luce superiore, nulla lo esime dal cercare il massimo della luce della quale è capace”.  

Quel lume sabbatico -  scrive Giulio Busi - simboleggia dunque, nella diaspora,  quel fuoco perenne che ardeva sull’altare del tempio, secondo la prescrizione biblica: "Un fuoco continuo arderà sull’altare, non deve spegnersi" (Vaikrà 6,6). Solo la fiamma di quel fuoco poteva restare accesa di Sabato e testimoniava, nel silenzio di ogni altra luce, la presenza visibile del D-o d’Israele”.

Shabbath shalom
Israel Eliahu

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