mercoledì 21 novembre 2012

INVITO ALLA LETTURA



Fra il 1835 e il 1836 Carlo Cattaneo scrive un saggio sulla questione ebraica. Prende lo spunto da un fatto di cronaca, un contenzioso fra Sviz­zera e Francia dovuto al fatto che cittadini francesi di religione ebraica avevano acquistato un terreno nello stato di Basilea Campagna; stato nel quale era stata approvata una legge costituzionale che proibiva agli Ebrei di avere possedimenti. La Francia si richiamò agli accordi intercorsi fra i due stati che ammettevano il possesso immobiliare dei suoi cittadini su ter­ritorio elvetico. Al di là della querelle, quello che interessa è la lucida ana­lisi politico economica e in particolare giuridica rispetto agli accordi inter­nazionali, ma anche al nuovo senso di condivisione e libertà  democratica, che fa Cattaneo. In particolare, il secondo capitolo che analizza le radici storiche delle interdizioni che avevano subito nei secoli gli Ebrei serve a comprendere i meccanismi di esclusione dal tessuto produttivo subito dal popolo di Israele e il conseguente ricorso all’ambito della gestione del de­naro e dell’economia bancaria, arte nella quale, non a caso, sono invece specialisti gli svizzeri. Nei successivi capitoli Cattaneo si occupa degli ef­fetti economici delle interdizioni, mentre l’ultimo capitolo è una difesa ap­passionata degli Israeliti dalle solite accuse di avidità ed usura. Scrive Cattaneo “I nostri avi condannavano l’Ebreo all’usura e al baratto e poi lo maledicevano come usuraio e barattiere”.
Cattaneo conclude con la sua convinzione  che eliminando ogni tipo di in­terdizione si otterrebbe una progressiva reintegrazione degli Ebrei nel tes­suto sociale ed economico dal quale erano stati espulsi con l’accusa di es­sere dediti al sordido guadagno.
Naturalmente il testo va riletto con la consapevolezza che quasi due secoli hanno modificato testi e contesti. L’analisi di Cattaneo risente essa stessa di pregiudizi gravi, in particolare ignorando che la gran parte della popola­zione ebraica europea viveva in condizioni di estrema povertà, soprattutto nei territori ad est, e l’idea dell’Ebreo ricco e crapulone era uno dei tanti spettri agitati contro le masse nei periodi di carestia e miseria. La retorica bolsa dell’ebreo plutocrate capitalista e artefice del complotto per il domi­nio del mondo trova anche oggi i suoi cultori equamente divisi fra destra e sinistra. È la devastante estensione dell’idea che dalle proprie tenebre, come scriveva Manganelli, non si riesce a sfuggire.
Vi trascrivo alcune pagine dall’edizione Feltrinelli del 1962.
  Una circostanza assai notevole si è che in Francia sulla fine del secolo XIII si cominciò ad involgere nelle persecuzioni an­che i banchieri cristiani e massime i Caorsini e gli Italiani. Questi ultimi, fra le sventure degli Ebrei, avevano tratto a sé la miglior parte del commercio in Francia. Ma in seguito i loro crediti vennero più volte appropriati al fisco; le loro persone incarcerate in una notte e i ripostigli delle loro ricchezze sco­perti colla tortura. Sembra quindi che si prendesse di mira l’usura per sé; e coll’ardor delle crociate s’intepidisse anche l’odio contro la credenza israelitica.  Si erano aperte le scuole e iniziati gli studj. L’errore che “ogni interesse è usura” signor­eggiava le menti. Ma l’insegnamento delle leggi romane, risur­to nelle università, cominciava a ristabilire la legalità dell’interesse. Quindi si cercava di conciliare le opinioni estreme con sottili distinzioni di usure lucratorie e usure com­pensatorie, di lucro cessante e danno emergente, si cercava di palliarle con termini fittizj, con vendite simulate, con cambj e ricambj………………………………………..
Invalse le idee commerciali, ristabilita l’autorità della legge romana e diminuita naturalmente l’usura per l’abbondanza di capitali mobili ai quali il sistema feudale impediva di investirsi liberamente in terre, cessò anche il furor di popolo contro l’usura. I popoli, conosciuto il valore dei capitali, cominciaro­no ad aver cari i capitalisti. Gli israeliti ripullularono in ric­chezza e perciò in numero; ma avevano rivali e non furono più i soli dominatori del commercio universale.
L’odio contro gli Ebrei degenerò piuttosto in dispregio, senti­mento assai lontano dal sangue.
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Nelle tenebre e nella ferocia del medioevo le popolazioni infe­lici, irritate dalla miseria, traviate dall’ignoranza trascorre­vano a farsi giustizia degli usuraj col sangue e la rapina. Gli Ebrei venivano cacciati da paese a paese ma l’amor del lucro diventata l’anima della loro esistenza li rendeva indomabili. ……………………………………………………………………
Fu allora che si stabilirono universalmente quelle ignominose esclusioni che da alcuni statuti non sono peranco espunte, ben­ché i popoli quasi arrossiscano di mostrarne ricordanza.
Esclusi dal diritto di possidenza e talvolta anche dal diritto di domicilio e di soggiorno; esclusi dalla parentela promiscua, ciò che non avviene in altre sette; esclusi quindi dalle affezioni in­time e dalla comunione delle cose e dalle eredità; esclusi dagli onori funebri, dalle armi, dalle magistrature, dagli studj libe­rali, dal libero studio della propria legge; esclusi dalle corpo­razioni fabrili e quindi dall’esercizio delle arti meccaniche; non potevano abitare sotto un tetto che ospitasse cristiani; se­vere leggi interdicevano ai cristiani il sedere a mensa, il giuo­care, il domestico conversare con loro. Non potevano tenere più servi; non servi cristiani perché era vietato; non servi ebrei  perché era prefisso il numero delle famiglie che avevano diritto di risiedere, e chi non era membro di una delle suddette famiglie doveva sgomberare; quindi le famiglie dovevano ser­virsi da sé.  Si volle relegarli al commercio dei cenci, interdi­cendo loro quello dei grani e delle altre cose necessarie alla vita; si vietò ai poverelli soccorsi da loro, di render loro un se­gno di rispetto. Erano relegati nella parte più fetida della città, che chiamossi ghetto, donde non potevano uscire se non in certi giorni e in certe ore; non potevano confondersi fra la folla nelle vie, perché la legge li obbligava a portare un segno di ignominia.

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