giovedì 22 novembre 2012

SHABBATH 10 KISLEV 5773 / 23-24 NOVEMBRE 2012


Boris Dubrov 2006

ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 16.26            
Havdalah    ore 17.26
Per le altre località vedi  http://www.myzmanim.com/search.aspx

PARASHAH: Vayetze (Bereshith 28,10 - 32,3)
HAFTARAH: Hosheaʽ 11,7 - 12,14

Shalom a tutti.
Questa è l'unica volta che la parola «scala» viene nominata nella Torah. E questo avviene nell'oc­correnza di un sogno. Anche se la raffigurazione successiva ha sempre rappresentato una scala a pioli di tipo tradizionale, ci dice Busi che la radice nsb, star ritti, fa pensare più ad una vertiginosa prospettiva verticale che dalla terra si erge verso lo spazio cosmico. Quindi un veicolo di congiun­zione dalla dimensione umana e terrena a quella superna. Secondo la tradizione ebraica dell'età tardo antica la scala che penetra le sfere celesti potrebbe essere metafora delle linee sulle quali si spostano gli astri negli spazi superni, simbolo archetipale della perfetta bellezza del creato; e per i cabalisti dell'età successiva rappresenta una complessa macchina teosofica che distribuisce le forze dell'emanazione del cosmo.
Nel Sefer ha Zohar la scala viene interpretata come la preghiera "poggiata sulla terra, corrisponde alla shekhinah perché gli uomini la intonano sulla terra e giunge al cielo, che equivale al Santo, sia Egli Benedetto", insomma svolgerebbe la funzione dei tefillin, il ponte, il veicolo della verticalizza­zione del pensiero a D-o.
Ma quello che ci interessa maggiormente è che questa rappresentazione avviene in un pensiero onirico autoriflessivo che, contrariamente a quanto avviene di solito nell’ampia casistica onirica della Torah, non viene interpretato ma, anzi, interiorizzato come una esperienza ineffabile, sublime.
Nella Torah generalmente il sogno, chalon, ha valenza profetica, traspone l'occorrenza del quotidia­no in una teofania, per questo necessita di un'interprete.
Scriveva Rabbi Chisdà: "Un sogno non interpretato è come una lettera non letta". E Yochanan ben Nappacha diceva: "Tutti i sogni dipendono dall'interpretazione. Le visioni notturne sono una forma incompleta della profezia".
L'esercizio dell'anima che si distacca dal corpo ogni notte per ascendere verso la propria sorgente celeste, come troviamo scritto nel Sefer ha Zohar, parrebbe aver necessità di una chiave di lettura legata ad un interprete che possa dare un senso alla visione.
E se la scala è una misteriosa manifestazione del divino, come pare, si potrebbe supporre che in essa sia celata una realtà dinamica in potenza, in cui il sogno si definisce quasi come un avverti­mento divino.
Ma è pur vero che Yishak Israeli alla fine del primo millennio definisce le immagini oniriche come strumenti dell'intelletto per comunicare le proprie forme all'anima e Saʽadyah Gaon come visioni che hanno una relazione col vissuto e l'esperienza sensoriale che nel sogno viene, in qualche modo, ricostruita.
Dunque che connotazione ha il sogno di Giacobbe?
Non è, come sarà Giuseppe Baʽal hachalomoth, il signore dei sogni, perché Giuseppe, vedremo, pos­siederà la chiave di lettura onirica, sarà interprete delle visioni notturne del Parʽoh.
Noi comprendiamo, come ha scritto Maimonide, che sogni e visioni sono un eccesso, una sovrab­bondanza di influsso divino che deborda suscitando il manifestarsi delle verità superne, ma Gia­cobbe nutre un altro sentimento davanti al suo sogno; Giacobbe prova quello che Heschel chia­merà in «L'uomo non è solo" lo stupore radicale, quello che si prova di fronte all'ineffabile.
Giacobbe prova il senso del sublime, quello che forse ancora non gli si era rivelato, che esiste una dimensione altra dello spirito; quello che raramente riusciamo a definire compiutamente e a comu­nicare ad altri.
In definitiva prende corpo quel sentimento che esiste in noi ma che si maschera nella quotidianità dei gesti: la consapevolezza dell'ignoto. E comprende che le ricerche della ragione - scrive Heschel - finiscono sulle soglie del conosciuto. Nel sogno Giacobbe si inoltra in questa dimensione che con­fusamente non riesce a definire, ma che lo meraviglia; e la meraviglia dice ancora Heschel, è all'i­nizio di ogni filosofia, di ogni elaborazione del pensiero che si eleva verticalizzando, verso il di­vino. Quando ci coglie il dubbio noi poniamo domande, ma quando ci coglie lo stupore non riu­sciamo nemmeno a formularle.
Termino con questa citazione da L'uomo non è solo:
"Il senso dell'ineffabile non assopisce la ricerca del pensiero, anzi, al contrario, perturba i placidi e dissuggella la nostra impressionabilità repressa. All'ineffabile ci si accosta attraverso una pro­fonda conoscenza, e non con ignorante sguardo animalesco. Per coloro che non cadono nell'errore universale di considerare come noto un mondo ignoto e di dare soluzioni prima di avvertire l'e­nigma, l'abbondanza di ciò che è esprimibile non sostituirà mai il mondo dell'ineffabile".

SHABATH SHALOM!

 

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