mercoledì 27 febbraio 2013

SHABATH 20 ADAR 5773 / 1-2 MARZO 2013


Famiglia ebrea (artista non identificato)

ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore 17.34
Havdalah          18.33

PARASHAH KI TISSA: Shemoth 30,11 - 34,35
HAFTARAH KI TISSA: Melakhim I, 18, 1-19   

Shalom
Prima di affrontare l'approfondimento settimanale vi propongo la lettura del seguente Midrash; come già sapete un midrash, dalla radice darash ricercare, è un racconto omiletico che approfondisce l'indagine esegetica dei testi Sacri. Il midrash haggadico ha un contenuto narrativo mentre quello halachico ha un contenuto giuridico. A volte hanno una funzione didascalica, ma spesso tendono ad attualizzare e comprendere problemi dell'epoca in cui furono scritti; scevri di schematismi e voli filosofici affrontano in maniera concreta, reale, i temi che vengono interpretati. Eccovi il testo che fa riferimento alla nostra parashà:
"Il popolo vide che Mosè tardava" (Es. 32, 1).
Era giunta l'ora sesta (gioco linguistico fra boshes tardava e
ba-shesh era venuta l'ora sesta) e Mosè non era ancora disceso, mentre quando era salito sul monte aveva annunciato ai figli di Israele: di qui a quaranta giorni, al principio dell'ora sesta io tornerò.
Allo scadere dei quaranta giorni, si formò una moltitudine di quarantamila persone, costituita in gran parte da quegli elementi sospetti che si erano aggregati agli Ebrei al momento dell'uscita dall'Egitto; li accompagnavano anche due taumaturghi egiziani, Junos e Jumbros, quegli stessi che dinanzi a Faraone facevano atti di magia, come è scritto: "ed anche i taumaturghi dell'Egitto fecero così, con le loro arti magiche" (Es 7, 11). Tutta questa moltitudine si presentò ad Aharon dicendo: ormai Mosè non torna più.
- No, sta scendendo dal monte - dissero Aharon e Chur.
Ma quelli non vi fecero caso.
Secondo altri fu il Satan che venne a confondere il mondo e disse agli Ebrei:
- Dov'è il vostro maestro Mosè?
- È salito sul Sinai - gli risposero.
- Ma se è giunta l'ora sesta! -
Ma anche a lui non fecero caso.
- Ma se è morto! - disse allora il Satan.
Non gli badarono ugualmente.
Allora il Satan mostrò loro, come sospesa fra cielo e terra, la bara di Mosè, sicché quelli, mostrandola a dito, dicevano:
"Sì, questo è l'uomo Mosè" (Es 32, 1). In quel momento Chur si levò e rimproverò aspramente il popolo dicendo: "O gente dalla dura cervice, non ricordate più quanti miracoli il Signore ha fatto per voi?"
Tutti gli si sollevarono contro e lo uccisero. Poi adunatisi alla presenza di Aharon gli dissero: "se tu ci costruisci un idolo bene, altrimenti faremo a te quello che abbiamo fatto a Chur".
Vedendo ciò, Aharon si spaventò e prese a intrattenerli con discorsi. Disse loro: "staccate i monili d'oro che sono agli orecchi delle vostre donne" (Es 32, 2). Era come chiedere una cosa impossibile, alla quale le donne si sarebbero opposte. Infatti, recatisi gli uomini dalle proprie mogli, queste si rifiutarono e dissero: "D-o ne guardi dal rinnegare il Santo Benedetto Egli sia, che ha fatto per noi tanti miracoli e prodigi! D-o ci tenga lontano dal fabbricare un idolo!" E siccome esse non vollero assecondare la richiesta, "allora tutti gli uomini del popolo staccarono i monili che avevano ai propri orecchi" (Es 32,3).
Disse Rabbi Jrmeja: quando Aharon vide che portavano i monili levò gli occhi al cielo e disse "a Te alzo i miei occhi, a Te che dimori nei cieli! (Sal 123,1). Tu che conosci tutti i pensieri, sai che io faccio l'idolo mio malgrado". Gettò quindi l'oro nel fuoco, vennero i taumaturghi egiziani e con le loro arti magiche fabbricarono l'idolo.
Secondo altri un certo Micha che, a suo tempo, Mosè aveva salvato traendolo fuori da un edificio dove era stato murato, prese una tavola sulla quale era scritto "sali o vitello", la gettò nella fornace e ne uscì un vitello che muggiva e saltellava. A quella vista il popolo cominciò a dire "questo è il tuo Dio o Israele" (Es 32,4). da Riccardo Pacifici: Midrashim fatti e personaggi biblici.
Questo midrash è parzialmente assolutorio nei confronti delle responsabilità di chi volle la costruzione della scultura idolatra.
Alcuni commentatori sostengono che in realtà il popolo non voleva sostituire con l'idolo il D-o di Israele ma semplicemente la guida Mosè che non ritornava.
Questa interpretazione non è condivisa da moltissimi chiosatori che, anzi, leggono le scuse di Aharon come una stonata non assunzione della propria responsabilità. Dobbiamo inoltre tener conto che la figura del vitello, del toro, aveva dei vincoli molto radicati nella cultura religiosa di tutti i non Ebrei, quella moltitudine mescolata che si era aggregata al popolo di Israele che era uscito dall'Egitto.
Il culto totemico del toro, diffuso già nel mondo preistorico, era conosciuto presso i Babilonesi che lo adoravano col nome di Ninib o Moloch, presso i Fenici che lo conoscevano col nome di Hadad, ma era fortemente presente nei culti idolatri egiziani come incarazione di Osiride, o come il sacro toro Apis, incarnazione di Ptah. Apis rappresentava la potenza del faraone, uno dei cinque nomi del quale era "toro possente". Tra l'altro veniva adorato un solo toro; alla sua morte veniva imbalsamato e si procedeva alla ricerca di un'altra incarnazione del Dio. Nella morte Apis diveniva un Osiride, Osiris Apis ovvero quel Serapis che veniva adorato anche da Greci e da Romani.
Secondo alcuni studiosi una derivazione cananeo-palestinese di questa divinità è rintracciabile anche nelle civiltà nuragiche sarde.
Dunque una figura divina talmente diffusa nelle antiche civiltà mediorientali e mediterranee che non può stupire che potesse essere evocata da un patrimonio comune radicato in quelle persone che pur non essendo ebrei avevano seguito Israele fuori dall'Egitto. Si tenga conto anche che un dio egiziano, il maligno Set, il cui volto era zoomorfo, seppure di un animale difficilmente classificabile, era considerato il dio del deserto e dei popoli stranieri, un dio temibile che nel periodo del Nuovo Regno diventò, per gli egiziani, il dio dell'esercito.
Alla luce di quanto detto dunque l'ipotesi di un sostituto di Mosè che potesse guidare Israele si fa più labile, mentre appare più marcata la caduta in un culto idolatrico. Per questo sia Lattes che altri commentatori non sono particolarmente indulgenti con Aharon.
Quello che si presentò a Mosè al ritorno è la caduta sulla nuda terra dopo la salita al monte.
Hararat, Moriah, Horeb, Sinai, la montagna è sempre presente nel cammino di Israele. Dalla pietra dell'Horeb percossa da Mosè scaturì l'acqua lustrale che dissetò Israele, sul monte Horeb Mosè tese le braccia alzate verso D-o fino alla sconfitta di Amalek, sul Sinai Mosè ha ricevuto le Tavole, sul monte Hor Mosè vedrà ai suoi piedi la Terra che stilla latte e miele. Simbolo della elevazione spirituale, della verticalizzazione del pensiero verso D-o, della sacralità, la montagna è anche metafora della salita a D-o, dove D-o si manifesta, dove cielo e terra s'incontrano. Ponte e scala della pochezza e dell'ansietà della trascendenza umana che tenta di accedere alla dimensione superna. Dove non ci sono montagne gli uomini le costruiscono, dagli ziqqurat babilonesi alle Piramidi Egizie e Maya, dalle pagode alle grandi cattedrali.
Il nostro blog recita: Il nostro ritorno da lontano ci fa ascendere sul Suo monte santo.
E questo deve essere un monito perché ad ogni ritorno dobbiamo tenacemente ripudiare le forme idolatriche di cui la contemporaneità si nutre: suadenti più dello stesso oro, subdole più del Satan, tessono le fila dell'inganno. Per questo
D-o nella sua onniscenza, come all'Adam ci chiede "Dove sei?"
Shabbat shalom
Israel Eliahu

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