giovedì 7 febbraio 2013

SHABATH 29 SHVAT 5773 / 8-9 FEBBRAIO 2013

 
Édouard Moyse: Sinagoga durante la lettura della Torah
 
ORARI DI SIRACUSA
Accensione  ore  17.13
Havdalah     ore  18.13
 
PARASHAH MISHPATIM: Shemoth 21 - 24
HAFTARAH MISHPATIM: Yrmeyah 34,8-22 (più 33,25-26)
 
Shalom a tutti.

Scrive Rabbi Moshè Chayim Luzzatto: "La vera presenza del bene e del male consiste nel fatto che il Signore, Benedetto Egli sia, ha collocato nel mondo la kedushà e la tum’a, la santità e la impurità. La kedushà è la vicinanza a D-o benedetto e la tum’a la lontananza. (…) per cacciare l’abominio della tum’a, il Signore ha designato per l’uomo delle azioni attraverso le quali si attira la kedushà e gli ha ordinato di compierle sempre: esse sono le 613 mitzvoth, i precetti". Cioè le leggi del Signore.
Perché il Signore si è limitato a dare soltanto dieci Devarim? La risposta è che le dieci parole contengono in sé tutte le altre leggi che l’uomo deve rispettare. Dunque implica non solo l’esistenza di una Torah scritta ma anche di quella orale, che non è un adeguamento della legge divina ma la esplicazione di quanto già contenuto nella Torah. Alcuni precetti sono misteriosi, ermetici, come quelli dei tefillin o della mezuzah, che non hanno prescrizioni scritte e dunque andavano precisate dalla normativa rabbinica successiva, cercata e compresa proprio nella decodifica della Torah. In Devarim 17,11 troviamo: "Non devierete da ciò che vi diranno né a sinistra né a destra". Si pone dunque la questione sulla validità di leggi date 3000 anni fa e che ancora devono mantenere il loro senso assoluto, sia da un punto di vista dell’etica che da quello normativo. Se per Platone il concetto di legge contiene l’idea di una normativa che consente di piegare la società umana alla necessità di una giustizia sottraendola allo stato di natura, per Aristotele l’idea di legge naturale si articola sulla universalità della ragione; una legge non scritta di cui gli uomini "hanno una comune divinazione e il cui sentimento è naturale e comune anche se non esiste fra essi alcuna comunità né contratto" Dunque degli a-priori in senso Kantiano come forme pure che sussistono prima dell’esperienza. Per gli Ebrei la Torah è perfetta per costituzione divina Torah min hasamayim ed ha in sé la capacità di produrre mutazioni e di rendere sé stessa adeguata all’evoluzione sociale. La legge del Signore è vivente, i nostri Maestri, nella incessante rilettura del testo sacro, ne hanno di fatto estruso il senso di continuità "parole-cose divine viventi", Divre Elohim hamayim.
Scrive Jaqueline Genot: "La legge degli anziani che i Farisei cominciano a selezionare, a costituire, a riformare, fin dal primo secolo della nostra era è storicamente il primo luogo di risposta a questa sfida dell’articolazione vivente della Torah nel divenire della storia".
Solo in questa prospettiva comprendiamo perché l’uomo ha colto nella solitudine del deserto, nel vuoto, nel silenzio che lo separava dal mondo ma che lo avvicinava a D-o Benedetto, la bellezza universale della legge.
Proprio perché la Torah non è una guida che rende schiavi, ma una scelta di libertà. In fin dei conti la libertà individuale si misura proprio nella possibilità della disobbedienza, nella propria totale responsabilità.
La legge del Signore è perfetta scrive Nahmanide (Ramban) in una sua omelia. Torat Adonay Temimah. L’osservanza della legge offre la possibilità di raggiungere una meta, non è essa stessa la meta, È un cammino, come indica la parola stessa, halakah da haloch, camminare.“Per gli Ebrei la legge, scrive Fromm, richiede l’azione e non la fede, è creata per la totalità e non per il singolo, per il popolo e non per una classe. La legge della Torah è espressione di una democrazia sostanziale”.
Max Weber scrive:“La legge deve avere un contenuto tale da costituire un sistema normativo vincolante per tutti i membri del popolo e insieme la capacità di salvaguardare l'individualità religiosa del singolo, un sistema che affondi le sue radici nell’idea religiosa che il popolo deve assimilare. L’atteggiamento religioso-etico fondamentale non viene trasformato in sistema teologico, ma sfocia direttamente nella Halakah, nella legge. Sicché questa diventa la più forte espressione del sentimento religioso, che non si forma nell’ambito del pensiero, bensì in una pratica nazionale, sociale, razionalmente significativa”.
Potremmo anche aggiungere che la Torah fonda una legislazione che non pone in sé un profilo escatologico, ma è strumento operativo che consente all’intera comunità di raggiungere quel grado di perfezione cui deve tendere Israele.
Affrontare la Parashà Mishpatim senza aver chiari questi concetti significa affrontare un mondo che parrebbe non avere legami con la modernità, senza riconoscerne il valore assoluto; senza comprendere la potenza universale della legge divina.
In Mishpatim sono espressi articoli, paragrafi di diritto civile e penale che devono regolare i rapporti fra gli individui di una collettività; ad esempio lo status giuridico del lavoratore. Si parta intanto dal concetto di dignità del lavoro insito nella Torah scritta e orale. Non è un caso che proprio fra i più dotti Ebrei troviamo un lavoro manuale, molti di essi erano contadini come Rabbi Eliezer ben Hykran, Rabbi Jochanan ben Zakkai, Rabbi Eliezer ben Azrja etc.
Il lavoro di un operaio porta beneficio alla comunità quanto quello del sapiente dedito allo studio.
Mishpatim affronta e regola giuridicamente la questione della schiavitù; se è vero che l’istituzione era accettata nel mondo antico è vero anche che oggi ha connotazioni molto più negative di allora, quando il temine indicava anche un rapporto di dipendenza di lavoratori.
Per un commento esaustivo, oltre alla lettura della parashah vi rimando a Nuovo commento alla Torah di Dante Lattes, editore Carucci.
Io vi lascio con questi detti Talmudici:
"Chi defrauda l’operaio è come se gli togliesse la vita. Egli vive del suo salario e ad esso è rivolto il suo desiderio".

Ed ecco questo racconto: "Un collega disse a rabbi Huna:
- Tu sei un uomo pio e rigorosamente retto. Da una sola mancanza non puoi essere assolto: alla vendemmia non hai dato al tuo servitore la parte di uva che gli spetta per legge.
- Perché avrei dovuto dargli dell’uva quando non c’è dubbio che egli me ne rubò più di quanta io fossi tenuto a dargli? - Fu la replica di rabbi Huna
- E per il solo sospetto che il servitore ti derubi tu credi di poterti permettere di derubare il servitore?"
Trattato Baba Mezia in Erich Fromm: La legge degli Ebrei, Rusconi

Shabbat shalom
Israel Eliahu
 


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