giovedì 24 gennaio 2013

SHABATH TU BISHVAT 5773 / 25-26 GENNAIO 2013


ORARI DI SIRACUSA
Accensione ore 16.58
Havdalah            17.59

PARASHAH BESHALLACH: Shemoth 13,17 - 17,16
HAFTARAH BESHALLACH: Shefatim 4,4 - 5,3

Shalom a tutti.

Procedendo nella lettura settimanale della Torah abbiamo visto come dalla narrazione si definiscono alcuni dei principi, dei precetti e dei simboli fondanti l'Ebraismo, perni sui quali si costruisce da sempre la nostra quotidianità e cordonatura sulla quale è tessuta la vita ebraica nell'osservanza dei precetti della Torah. Ne ricordiamo solo alcuni:
- La milah, suggello del patto fra D-o e Avraham e tutta la sua discendenza, il suo popolo. Simbolo di affermazione dell'identità ebraica, tema che affronteremo prossimamente nell'episodio di Sefora. Milah che nel misticismo giudaico e in particolare nel Sefer Yetzirah, rappresenterà il punto di contatto fra lo schema delle dieci sefiroth e il corpo dell'uomo, fra macro e microcosmo.
- La lotta di Yaʽakov con l'«angelo», cui si può far risalire il divieto di consumare il nervo sciatico degli animali.
- Gli stipiti delle case degli Ebrei che vennero segnati dal sangue dell'agnello del sacrificio, cosicché il Signore potesse riconoscere le loro dimore e scamparle dalla distruzione. A questo evento si può far risalire il precetto di annunciare l'ebraicità di una casa con la mezuzah. Il significato letterale della parola è appunto stipite. Se inizialmente la prescrizione divina fu applicata come santificazione della casa (ricordo però che va per così dire attivata toccandola e benedicendola e non lasciata come un orpello distintivo) nel medioevo si caricherà di valore apotropaico e cabbalistico, trovando spazio anche in un capitolo dello Zohar.
- Le azzime e il relativo tabù del lievito nel periodo che coincideva con la festa delle azzime dell'antico calendario agricolo. Divieto che rappresentava la cesura fra un raccolto ormai esaurito e quello nuovo ma che si carica di un altro valore, quello della memoria, derivato dalla fretta degli Ebrei nel fuggire dall'Egitto e non aver lasciato il tempo al pane di lievitare.
- In questa parashah ricordiamo la manna מן. La parola deriva da "che cos'è", la domanda che gli Ebrei si posero davanti a questo cibo che li soccorreva. In effetti per definirla si ricorre a similitudini: ... una cosa minuta, tonda, come la brina sulla terra. (Es 6,14) ... come il seme del coriandolo (Num 11,7) ... il gusto di schiacciata fatta col miele (Es 16,31). Seppure, come sottolinea Lattes, il fenomeno possa essere ricondotto a cause naturali, è pur vero che la Torah ne coglie la sua trasfigurazione simbolica. Infatti simbolicamente la manna si collega e rappresenta l'istituzione dello shabbat, non cadrà di sabato ma ne cadrà una doppia porzione il giorno precedente. Nel duecento Nachmanide vedrà racchiusa nella manna la sostanza divina di cui si nutrono gli angeli fattasi materia e che partecipa il fulgore della shekinah שכינה agli uomini.
Dunque in ogni passo della Torah riconosciamo i principi di gesti e comportamenti e riti che ci accompagnano. Così come, lo abbiamo già detto, anche l'uscita dall'Egitto deve corrispondere al nostro quotidiano percorso nella vita.
Ecco dunque l'ingiunzione che traluce dalla scrittura: Zakhor, ricorda. Il verbo zakhar, nelle sue varie forme, ricorre 169 volte nella Torah. L'incontro di D-o e dell'uomo non è come nelle altre cosmogonie e nelle storie mitologiche, sul piano della natura e del cosmo, non è più il dramma pagano del conflitto fra l'uomo e le forze del caos, ma la tensione dialettica che si realizza nella storia, nella rivelazione di D-o che agisce nella storia.
Per Israele l'ingiunzione a ricordare e, specularmente, quella a non dimenticare, è sentita come un comandamento. È la memoria trasmessa dai padri ai figli attraverso il libro che si fa testimonianza, che attiva i lacerti di un mondo che sarebbe solo racchiuso nelle pietre. Che sarebbe il Kotel haMaʽaravi הכותל המערבי senza la memoria?
Per approfondire questo tema vi rimando a
Yosef Hayim Yerushalmi: Zakhor, storia ebraica e memoria ebraica. Pratiche editrice
Ed anche davanti ad Amaleq, alla feroce ed immotivata aggressione degli amaleciti noi abbiamo il dovere, l'imperativo di non dimenticare: perchè ʽAmaleq è sempre più forte, sempre in agguato, a volte si palesa nel suo abito di guerra, altre volte è subdolo, nascosto, si occulta, si maschera, si traveste.
Semplice riconoscerlo nelle divise naziste o nei movimenti che ad esse si ispirano. Meno semplice quando si è di fronte alla nuova maschera dell'antisemitismo che è l'antisionismo, che proviene da ambienti e persone di estrazione antifascista. Semplice quando ci si trova di fronte all'agguerrito ʽAmaleq, più difficile quando ci si trova di fronte a ideologie che ti chiedono di cancellare la tua identità e diversità ebraica con l'assimilazione, l'omologazione retaggio della haskalà illuminista. Se Marx negava agli ebrei il diritto di formare un proprio stato perché sarebbe stato solo una nazione di mercanti (ma era probabilmente l'avversione personale per il mondo giudaico-rabbinico dal quale proveniva) Lenin, pur chiamando l'antisemitismo il socialismo degli imbecilli, chiese agli Ebrei di negare le istanze che li riconducevano all'Israele ideale per confluire nell'internazionale proletaria. Bisognava, secondo lui, battersi per l'emancipazione ebraica fino a cancellarne le istanze particolaristiche .
Oggi da più parti si chiede agli Ebrei di rinnegare la propria discendenza che ci lega ad Eretz Israel e verso la quale ogni Ebreo deve tendere.
Per noi crescere con la Torah, farsi Torah significa costruire ogni giorno un'identità ebraica che si confronta dialetticamente con gli altri, sa condividere ma non si adegua a costumi che non le appartengono. Conosce il rispetto per il deuteragonista come per il compagno di strada, ma la memoria di ʽAmaleq e di Masada resta. In questi giorni di celebrazioni spesso si assiste a metabole del dramma, in una compartecipazione ad una tragedia epocale condivisa; ma spesso abbiamo dovuto ascoltare la blasfema retorica di chi, ancora impregnato del sovietismo più deteriore, quello della svolta del '67, tenta di somigliare, con una equazione terrificante, l'olocausto alla questione palestinese. Un sindaco emiliano si è rivolto ai giovani, raccolti per commemorare la shoah, paragonando l'ideologia nazista, che ha condotto all'olocausto degli Ebrei, alle politiche del governo italiano; opportunismo politico molto discutibile e sicuramente di macabro gusto. Ancora, un esponente di certa faziosità politica ha esplicitato a chiare lettere Israeliani = Nazisti secondo una equazione che dal '67 non ha mai smesso di circolare negli ambienti cui appartiene la persona di cui sopra.
Ricordatevi sempre degli Umberto Terracini, dei Pier Paolo Pasolini che dall'interno della compagine politica cui appartenevano hanno combattuto contro questa deriva, nell'Italia schiacciata sotto il malleus degli Alatri e dei sicofanti filo sovietici. Se è vero che nei paesi islamici il libro più venduto dopo il Corano è ancora oggi I protocolli dei savi di Sion e successivamente il Mein Kampf di Hitler, è anche vero che ʽAmaleq dell'occidente è portatore di una pseudo-cultura a volte sotterranea a volte palese, che riprende i temi della plutocrazia capitalista giudeo massonica ed è trasversale a tutte le ideologie politiche.
Noi non abbiamo bisogno di confrontarci con queste derive ideologiche che qualificano chi le esprime, il nostro sistema di riferimento, la nostra legge è la Torah, il nostro popolo Israele la nostra terra è quella che D-o ci ha destinato.
Orgogliosi della nostra diversità, fermento intellettuale e culturale di tutte le nazioni che ci hanno "ospitati" in una storia controversa e dura, spesso feroce, fuori dalla nostra patria che era, è e sarà Eretz Israel.

Quanto è accaduto oggi è simile alle persecuzioni
del passato, e tutto quello che è accaduto ai padri
si è verificato anche per i loro discendenti. In
occasione degli antichi avvenimenti, le generazioni
di allora composero le loro selichot e raccontarono
le loro storie. Ma la storia è la stessa. E così io mi
sono detto: andrò a spigolare nel loro campo "che
l'unghia del dito mignolo delle generazioni lontane
vale molto di più del ventre di quelle successive"
(Yoma, 9b). Inoltre recitare le loro preghiere farà
sì che le nostre vengano accolte, poiché le parole
pronunciate da chi è piccolo non si possono
comparare a quelle dei grandi. E così le loro labbra
si schiuderanno nella tomba, e le loro parole
saranno come una scala lungo la quale le nostre
parole saliranno al cielo.
Yom Tov Lippman Heller (1578 -1654)


Questo shabath è anche Tu biShvat ט״ו בשבט il Capodanno degli alberi.
Tu biShvat è una festa minore durante la quale è possibile lavorare, ma si evitano manifestazioni di tristezza; sono ad esempio vietate le orazioni funebri.
La festa risponde ad un ordine, un seder, che fu definito nel 1600 da Rabbi Yitzchak Luria. Si usano mangiare i frutti della terra di Israele: uva, fichi, melograni, olive, datteri, mandorle, pistacchi, noci, agrumi ma anche qualsiasi altro frutto sia generato da alberi. Il consumo dei frutti viene intercalato dalla lettura di brani della Torah e di commenti rabbinici. Si beve vino sia rosso che bianco.
Potete anche scaricare o stampare il seder a questo link
http://www.archivio-torah.it/libretti/seder_tubishvat.pdf
Sulle origini bibliche della festa vi trascrivo di seguito alcune note
La Torah racconta di come venne distribuita la terra di Israele alle dodici tribù di Israele. In particolare alla tribù dei Leviti e dei Cohen non venne assegnato alcun territorio dal quale ricavare sostentamento, ma vennero istituite le decime con le quali le altre tribù dovevano concorrere al sostentamento dei Leviti e dei Cohen.
In particolare, come sorta di tassa sul prodotto doveva essere versata la decima parte del prodotto dell'anno. La destinazione delle decime veniva decisa secondo il ciclo dei sette anni del calendario ebraico. Ogni anno una prima decima andava interamente alla tribù dei Leviti, e sulla parte rimanente di prodotto veniva applicata un'ulteriore decima che veniva differenziata a seconda dell'anno: nel terzo e sesto anno del ciclo essa veniva donata ai poveri; nel primo, secondo, quarto e quinto invece restava al produttore che, però, la doveva consumare personalmente a Gerusalemme. Il settimo anno, in quanto anno sabbatico, i prodotti della terra non venivano raccolti.
Qui il discorso ci condurrebbe a parlare del giubileo, ma avremo modo di farlo in altra occasione; chi volesse approfondire può cercare questo libretto: Ester Rostagno (a cura di) - Il giubileo rigenerazione della terra e dell'anima. Edtrice Lulav, 2000
L'osservanza di questa regola prevede, però, la definizione di una sorta di inizio d'anno fiscale per calcolare a quale anno siano da riferire i prodotti della terra. A questo scopo si può identificare come inizio di anno il momento in cui le precipitazioni terminano e le piante da frutta fanno sbocciare i primi fiori. In terra d'Israele questi eventi cadevano durante la prima quindicina del mese di Shevat e la data per la ricorrenza, Tu bishvat, venne fissata al 15º giorno del mese di Shevat.

Shabbat shalom vechag sameach

חג שמח
Israel Eliahu

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